Un Tiziano ritrovato: titola così la pubblicazione che la galleria Carlo Orsi ha presentato all’edizione 2024 della Biennale Internazionale dell’Antiquariato di Firenze per mostrare al pubblico una Madonna col Bambino e la Maddalena di Tiziano Vecellio (Pieve di Cadore, 1488/1490 – Venezia, 1576), che riemerge in questa occasione dopo una vicenda collezionistica cominciata nel 1937, anno in cui l’opera è documentata per la prima volta (il prezzo, ci ha detto la galleria, è riservato). È un dipinto dalla storia relativamente recente, dal momento che venne pubblicato nel 1952 da Wilhelm Suida, in un articolo su Arte Veneta. All’epoca si trovava in una collezione privata di New York e, secondo Suida, era il prototipo di altre versioni simili che Tiziano realizzò negli ultimi decenni della sua carriera (la versione migliore, escludendo il dipinto presentato da Carlo Orsi, è probabilmente quella dell’Hermitage di San Pietroburgo, che anticamente si trovava in un palazzo della nobile famiglia Barbarigo di Venezia). Il giudizio su quest’opera fu tuttavia condizionato dalla posizione di Giovanni Battista Cavalcaselle, che vedendo la versione Barbarigo la ritenne addirittura opera di un allievo, forse il figlio di Tiziano, Marco. Altre repliche, oggi identificate come di bottega, si trovano agli Uffizi (che l’ha data in deposito alla Camera dei Deputati) e al Museo Nazionale di Capodimonte.
Dopo la pubblicazione di Suida, la Madonna oggi da Carlo Orsi diventò oggetto di attenzioni della critica: diversi tuttavia gli studiosi che espressero perplessità o non inclusero il dipinto nelle loro ricognizioni su Tiziano. Tra i favorevoli si può invece menzionare Federico Zeri che visionò l’opera privatamente e non ebbe dubbi nel comunicare al proprietario, per scritto nel 1991, il suo parere favorevole (la riteneva opera del 1555-1560). Le acque attorno a questo dipinto si sono mosse soprattutto nel 2006, quando lo storico dell’arte ungherese Vilmos Tátrai ha scoperto un’altra versione dell’opera in una collezione privata unghesere (in questa variante, san Paolo compare al posto della Maddalena) e nel 2017, quando al Museo Civico di Belluno è stata allestita una mostra in cui la Madonna Barbarigo dell’Hermitage è stata messa a confronto con la versione ungherese scoperta pochi anni prima e con la versione degli Uffizi. In quest’ultima occasione, lo studioso Denis Ton, pur non potendo vedere l’opera di Carlo Orsi dal vivo (all’epoca era nota solo da fotografie), la riteneva, se messa a paragone con le altre varianti, un’opera autografa, seppur Tiziano avesse lavorato a suo avviso con aiuti. E alle stesse conclusioni sarebbe arrivata nel 2022 Irina Artemieva, che aveva co-curato la mostra di Belluno assieme a Ton e riteneva plausibile che Tiziano avesse eseguito in parte l’opera, tornandoci sopra anche a distanza di diversi anni rispetto alla sua data di esecuzione.
Già tempo addietro molti studiosi erano d’accordo sul fatto che l’opera in questione presenta l’intervento di più mani: in occasione della sua presentazione alla BIAF del 2024, a seguito dello studio di Enrico Maria Dal Pozzolo, il dipinto è stato presentato come opera di Tiziano, con intervento di Girolamo Dente. Suida aveva ravvisato che la veste rossa e il manto azzurro della Vergine, oltre allo scialle bianco del Bambino e alla tenda verde, mostrano un’esecuzione più antica rispetto allo scialle che copre la testa e le spalle della Vergine e alla maggior parte del vestito della Maddalena. Anche le aureole sarebbero state realizzate a suo avviso in un secondo momento. Dal Pozzolo, nel suo studio, ha aggiunto un’ulteriore osservazione, ovvero il fatto che la testa e la mano della Maddalena denotano un dislivello qualitativo e di conduzione marcato, tale da far pensare inevitabilmente a un altro artista che aiutò Tiziano, un suo collaboratore.
Il doppio intervento è stato confermato anche da una radiografia eseguita durante una campagna di analisi diagnostiche non invasive, condotta a fine primavera 2024 da Giuseppe e Luciano Malcangi. Tuttavia, l’analisi ai raggi X ha consentito di rilevare che il doppio intervento non riguarda le aree individuate da Suida. Sulla sinistra, nella radiografia, si può infatti notare facilmente la presenza di una finestra che poi venne coperta in seguito: Tiziano, dunque, voleva ambientare diversamente la scena in una prima fase. Inoltre, il Bambino aveva un’aureola a raggi, non aveva la collanina di corallo, aveva la mano destra rivolta verso l’alto, e il drappo della Vergine copriva il suo ginocchio. Il pentimento più clamoroso è però nella figura della Maddalena: inizialmente, infatti, Tiziano aveva dipinto una figura maschile con tanto di barba, che offriva qualcosa al Bambino (anche se non si comprende che cosa).
Secondo Dal Pozzolo, una spiegazione plausibile potrebbe essere che il dipinto venne realizzato per un committente che morì prima che il dipinto fosse terminato oppure che, per qualche ragione, non lo ritirò: rimasto nella bottega di Tiziano per diversi anni, fu modificato per trasformare la figura maschile in una Maddalena attraverso l’intervento di un collaboratore che, per ragioni stilistiche, Dal Pozzolo identifica in Girolamo Dente. Fu peraltro lui a includere anche la bizzarra palma del martirio, dettaglio alquanto strano, dato che Maria Maddalena non era una martire: non si conosce il perché di questa aggiunta e non è stata ancora trovata una spiegazione plausibile (Dal Pozzolo scansa subito possibilità “al limite dell’assurdo” come l’idea che la figura rappresenti Neomisia, una vergine martire venerata ad Anagni che ha il vasetto come attributo iconografico, o ipotesi ancor più bislacche, per esempio l’idea che l’opera sia il criptoritratto di una donna di nome Maddalena morta di morte violenta). Infine, per quanto riguarda la cronologia del dipinto, sulla base di affinità con altre opere ritenute simili (come l’Annunciazione oggi al Museo Nazionale di Capodimonte), Dal Pozzolo propone una realizzazione tra il 1557 e il 1559, con una redazione iniziale risalente forse ai primi anni Cinquanta.