Ci sono voluti otto anni di lavoro ma sono finalmente terminati i lavori di restauro delle sculture di Michelangelo Buonarroti (Caprese, 1475 - Roma, 1564) nella Sagrestia Nuova delle Cappelle Medicee a Firenze. I lavori, diretti da Monica Bietti, funzionario storico dell’arte e già responsabile del Museo delle Cappelle Medicee, d’intesa con il Direttore dei Musei del Bargello, Paola D’Agostino, hanno interessato sia le tombe dei due Medici (Lorenzo, duca di Urbino, e suo fratello Giuliano, duca di Nemours) con le celebri statue, sia il parato della Sagrestia Nuova, e sono stati condotti da un corposo team composto da sole donne: le restauratrici Daniela Manna e Marina Vincenti, con le quali hanno collaborato Donata Magrini, Barbara Salvadori e Silvia Vettori, ricercatrici dell’Istituto di Scienze del Patrimonio Culturale del Consiglio Nazionale delle Ricerche (ISPC-CNR) e Anna Rosa Sprocati e Chiara Alisi dell’ENEA (Agenzia nazionale per le nuove tecnologie, l’energia e lo sviluppo economico sostenibile).
L’intervento ha permesso di recuperare i valori cromatici delle pareti della Sagrestia Nuova e delle sculture, e di approfondire conoscenze tecniche che ci permettono oggi di capire meglio le fasi costruttive e il metodo che Michelangelo applicò nella realizzazione dell’insieme. Si è trattato, spiegano le restauratrici, di un’impresa lunga e complessa, riuscita anche grazie ad una campagna di indagini puntuali e all’utilizzo di un’innovativa tecnica di biopulitura messa a punto dall’ENEA, utilizzata per la prima volta su dei capolavori del Buonarroti e in particolare sui sarcofagi e su parte delle sculture dei monumenti funebri di Giuliano duca di Nemours e di Lorenzo duca d’Urbino. Si tratta di una tecnica che utilizza delle colonie di batteri mangia-sporco (in particolare dei ceppi Serratia ficaria SH7, Pseudomonas stutzeri CONC11 e Rhodococcus sp Z-CONT) per ripulire i marmi dai segni del tempo. La Sagrestia Nuova, ultima impresa fiorentina di Michelangelo, necessitava di un’accurata manutenzione dopo l’ultimo intervento conservativo del 1988.
I lavori sono cominciati nel 2013, ma è stato tra il 2016 e il 2020 che si sono svolti i lavori più cospicui, possibili grazie ai fondi derivati dall’autonomia dei Musei a seguito della Riforma del Ministero del 2014 che ha istituito i primi venti musei dotati di autonomia speciale, tra cui i Musei del Bargello. Inoltre, tra il 2018 e il 2019, una partnership con IGT (già Lottomatica) ha permesso sia il co-finanziamento di parte della spolveratura e restauro sia la realizzazione di una nuova illuminazione della Sagrestia Nuova. Il lungo e complesso lavoro è stato condotto partendo dai parati marmorei e dalle paraste in pietra serena che segnano lo spazio architettonico delle pareti, per concludersi con l’intervento sulle sculture, nella seconda metà del 2020. Così come i parati marmorei anche le sculture erano coperte da depositi ed erano in più punti macchiate da residui di sostanze utilizzate in passato per proteggere le sculture durante l’esecuzione dei calchi, eseguiti dal Cinquecento a tutto l’Ottocento. La fase di progettazione del restauro è stata preceduta e guidata dalla campagna fotografica a luce visibile di Antonio Quattrone e, tra il 2019 e il 2020, da indagini fotografiche a fluorescenza indotta da luce ultravioletta e con luci infrarosse (IR) eseguite da Andrea Rossi, operazioni che hanno accertato lo stato conservativo delle sculture e hanno permesso di selezionare le metodologie più adatte all’intervento di pulitura. In collaborazione con ISPC-CNR sono state inoltre individuate aree significative su ciascuna scultura per effettuare misurazioni colorimetriche e di riflettanza del marmo.
Osservazione con microscopio portatile sul sarcofago del monumento funebre di Lorenzo de’ Medici, duca di Urbino. Foto per gentile concessione del CNR. |
Indagini colorimetriche sulla statua della Notte del monumento funebre di Giuliano de’ Medici, duca di Nemours. Foto per gentile concessione del CNR. |
Indagini colorimetriche sulla statua dell’Aurora del monumento funebre di Lorenzo duca d’Urbino. Foto per gentile concessione del CNR |
Il restauro della Sagrestia ha avuto una prima breve fase di intervento sui paramenti marmorei nel 2013. I lavori cominciarono con una serie di test preliminari di pulitura sui paramenti lapidei del lato sud della Sagrestia, individuandone le forme di degrado. Il flusso continuo dei visitatori, con la costante circolazione del particellato atmosferico incoerente ed il suo depositarsi sulla superficie dei marmi, ne aveva intensificato la coerenza soprattutto per le condizioni di alta umidità. Le soglie dei portali di ingresso e la parte inferiore di tutte le lesene in pietra serena, soggette alcontinuo sfregamento delle mani dei visitatori, si presentavano annerite sia per l’accumulo di sostanze grasse, sia per la consunzione delle stesse superfici.
“Per la rimozione dei depositi coerenti dagli elementi in pietra serena”, spiegano Manna e Vincenti, “dopo un’accurata spolveratura, è stato necessario applicare degli impacchi di polpa di cellulosa e sepiolite per supportare una soluzione basica al 10%, interponendo carta giapponese variando i tempi di applicazione a seconda delle zone. Le superfici interessate sono state poi risciacquate accuratamente con acqua demineralizzata. I paramenti in marmo sono stati trattati con una soluzione al 50% di alcool decolorato e di acetone puro utilizzando compresse di cotone idrofilo alternando un solvente apolare, a seconda delle zone, per rimuovere parzialmente le sostanze cerose alterate. I depositi di natura più coerente sono stati rimossi con acqua demineralizzata e spugne morbide compatte. Tra il 2013 e il 2014 è stato affrontato il restauro della parete ovest con la stessa metodologia approntata per la parete sud. Il restauro degli elementi lapidei del primo registro in corrispondenza della parete est si è concluso tra il 2015 e il 2016”.
L’esperienza maturata nei primi anni dell’intervento ha facilitato le operazioni: nel corso di tre anni è stato quindi possibile completare la pulitura dei paramenti lapidei del primo registro della Sagrestia Nuova, dove le uniche difficoltà operative sono state le basse temperature rilevate durante i mesi invernali. Tra la fine del 2017 e la metà del 2018, per intervenire sulle pareti marmoree con gli intagli attribuiti a Silvio Cosini e altri, su cui sono addossati i monumenti funebri di Giuliano e Lorenzo de’ Medici. Il restauro è stato condotto da tre restauratrici con la collaborazione di allievi stagisti dell’Istituto per l’Arte e il Restauro Palazzo Spinelli rientrando così nella tempistica progettata. “Con il supporto delle indagini scientifiche a cura della Di.Ar. è stato possibile verificare lo stato di conservazione dei marmi con metodologie non invasive utilizzando la tecnica della fluorescenza indotta da luce ultravioletta e con luci a infrarosso”, spiegano ancora Manna e Vincenti. “Nel 2019, con pedana aerea, è stato messo in opera un intervento di manutenzione straordinaria degli elementi architettonici in pietra serena dell’ultimo registro della Sagrestia: marcapiani, cornicioni, finestroni e lesene con capitelli, compresa l’abside”. Durante i lavori sono state anche trovate alcune scritte con segnalazioni di avvenute manutenzioni, segnate a matita direttamente sull’intonaco: “1. Fatto la spolveratura a tutta la cappella il mese di aprile 25 1843; 2. Rifatta la spolveratura completata il giorno 19/marzo…..; 3.Fatta la spolveratura il 29 – marzo 1940 Campigli Ugo Giulio Barbanti Bertino Berti”. Da fine settembre a fine dicembre è stato completato il lato est, da fine gennaio a fine luglio 2020 quello ovest, sebbene i lavori siano stati sospesi a causa del Covid-19. La pulitura degli elementi in marmo e in pietra serena è stata condotta secondo la metodologia maturata nel corso degli ultimi restauri concentrando gli interventi conservativi sul capitello e sulla parte alta della lesena dell’angolo nord-ovest.
Colonie di ceppi batterici utilizzate sulle sculture di Michelangelo della Sagrestia Nuova delle Cappelle Medicee. Nome scientifico: SH7_Serratia. Foto per gentile concessione di ENEA |
Colonie di ceppi batterici utilizzate sulle sculture di Michelangelo della Sagrestia Nuova delle Cappelle Medicee. Nome scientifico: Rhodococcus sp.Z-CONT. Foto per gentile concessione di ENEA |
Colonie di ceppi batterici utilizzate sulle sculture di Michelangelo della Sagrestia Nuova delle Cappelle Medicee. Nome scientifico: Pseudomonas stutzeri CONC11. Foto per gentile concessione di ENEA |
Sito di restauro della Sagrestia Nuova del Museo delle Cappelle Medicee. Foto per gentile concessione di ENEA |
Il sarcofago di Lorenzo duca di Urbino si presentava alterato da macchie di colore scuro, estese lungo tutto il basamento, identificate dalle analisi eseguite dal CNR come ossalati e materiali organici e ricondotte a liquidi organici filtrati fino all’esterno del sarcofago in corrispondenza di queste macchie, da ricondursi alla sepoltura di Alessandro de’ Medici (figlio di Lorenzo duca d’Urbino), che, assassinato, fu sepolto senza essere eviscerato, come invece si usava all’epoca per la dinastia medicea. Per l’eliminazione di queste macchie organiche e di altre di varia origine, come fosfati, gesso, tracce di silicati, tracce di ossalato di calcio, sono stati individuati alcuni ceppi batterici in grado di rimuovere selettivamente questi depositi, senza influenzare con la loro azione la materia originale, il marmo. I ceppi scelti non erano cioè in grado né di precipitare né di solubilizzare i carbonati di calcio. Dopo aver testato undici diversi ceppi batterici su piccoli tasselli di prova, sono stati scelti i tre “migliori” per procedere alla biopulitura del sarcofago. Impacchi di cellule dei ceppi Serratia ficaria SH7, Pseudomonas stutzeri CONC11 e Rhodococcus sp Z-CONT sono stati applicati nei diversi punti del sarcofago, immobilizzati in uno speciale gel che mantiene la giusta umidità per i batteri e conferisce una giusta consistenza all’impacco, permettondo di applicarlo e di rimuoverlo facilmente, senza lasciare residui, né del supportante né delle cellule batteriche. Sono stati applicati i batteri, particolarmente... “affamati”: questo per favorire il loro “appetito” verso i substrati organici da rimuovere e rendere più efficace il trattamento di biopulitura. Due giorni per impacchettare il sarcofago e due notti di azione degli impacchi batterici, spiegano Sprocati e Alisi di ENEA, hanno permesso di rimuovere i deposti che alteravano fortemente il sarcofago.
“Il restauro dei due monumenti funebri si è svolto dall’ottobre 2019 al luglio 2020 con una sospensione da marzo a giugno dovuta al lockdown Covid 19”, spiegano ancora Manna e Vincenti. “Fino a marzo 2020 il restauro si è svolto durante l’orario di apertura al pubblico: un ‘cantiere aperto’ durante il quale ci sono stati numerosi momenti di confronto con studiosi e storici dell’arte ed abbiamo risposto alle frequenti domande e curiosità dei visitatori. Il nostro approccio è stato rispettoso e prudente nella rimozione dei prodotti alterati presenti sulla superficie delle sculture. L’impostazione metodologica del restauro ha tenuto conto della storia conservativa delle sculture, ricostruita in base ad una ricerca sui documenti fotografici. Nell’affrontare lo studio dello stato conservativo delle sculture, dopo un’accurata analisi visiva e la documentazione fotografica a luce visibile a cura di Antonio Quattrone e Daniela Manna, abbiamo richiesto l’ausilio della Di.Ar di Andrea Rossi con una serie di indagini fotografiche a luce Ultravioletta e Infrarossa utili ad individuare zone fortemente ingiallite e di altre tendenti al bruno, la presenza di materiale gessoso pigmentato nei sottosquadri delle zone con forti segni di lavorazione che hanno trovato una spiegazione nella pratica delle calcature delle sculture. Sulla superficie delle sculture sono infatti ancora visibili i segni lasciati dalle incisioni praticate con strumenti metallici per asportare i tasselli in gesso”.
La fase successiva delle indagini scientifiche è stata affidata al team dell’Istituto di scienze del patrimonio culturale del C.N.R. di Firenze. Lo studio ha utilizzato metodologie non invasive, applicate in situ, e micro-invasive, condotte in laboratorio su micro campioni prelevati, con l’obiettivo di caratterizzare i materiali alterati presenti sulla superficie delle sculture. L’intervento di restauro è stato affiancato ad un monitoraggio costante dei valori colorimetrici e di riflettanza del marmo lavorato. La pulitura delle sculture e dei sarcofagi è consistita nell’asportazione dei depositi incoerenti con pennellesse morbide ed aspirapolvere a bassa potenza, successivamente nell’asportazione selettiva e graduale dei depositi coerenti utilizzando una miscela di alcool e acetone a tampone e acqua demineralizzata a tampone, monitorando costantemente la pulitura con l’ausilio delle misurazioni colorimetriche. Nel novembre 2019 è stato coinvolto il team della Divisione Protezione e Valorizzazione del territorio e del capitale naturale dell’ENEA di Roma per eseguire alcuni test di biopulitura con batteri competenti per le sostanze presenti sulla superficie del sarcofago del Monumento funebre a Lorenzo. Nel luglio 2020 è stato richiesto l’utilizzo di un ablatore laser fornito dalla ditta El.En al fine di asportare residui di malta cementizia e sostanze proteiche mineralizzate tendenti al bruno presenti sul Sarcofago del monumento a Lorenzo e vicino alla mano sinistra del Crepuscolo. Nell’ottobre 2020 si è svolta la biopulitura del sarcofago di Lorenzo. È stata scelta la biopulitura, raccontano Manna e Vincenti, perché “ci è parso un metodo selettivo, graduale e morbido in grado di attenuare e asportare le cospicue macchie ed i residui delle sostanze presenti da secoli sulla superficie del sarcofago, un marmo degradato a causa di puliture drastiche e abrasioni meccaniche. Dopo l’applicazione dei batteri abbiamo constatato che il marmo ha mantenuto la sua coesione materica ed appare stabile”.
“Sul ponteggio, a tu per tu con la Notte e l’Aurora di Michelangelo, troppa bellezza tutta insieme ci provoca un senso di stordimento”, affermano invece Sprocati e Alisi. “Abbiamo bisogno di sentire quello che i restauratori e gli storici dell’arte ci stanno raccontando, storie nelle storie: rappresentazioni, artisti, eventi dell’epoca, passati restauri. La densità dei racconti e dei dettagli delle opere ogni volta ci svela l’eccezionale profondità che esiste oltre la superficie che noi sappiamo vedere. A nostra volta raccontiamo storie di ‘metodo e scienza’. Noi siamo biologhe, ‘raccoglitrici’ di batteri utili e innocui, piccole cellule potenti, invisibili, una vera fabbrica di molecole. Li cerchiamo in ambienti ostili, dove si sono adattati a condizioni peculiari sviluppando, per pressione selettiva, dei tratti metabolici di particolare interesse per applicazioni biotecnologiche in diversi campi. Li conserviamo in una collezione di laboratorio in house, ossia autogestita, per ora, ma che confluirà nella collezione Europea di microrganismi MIRRI. Se impariamo a conoscerli possiamo ‘guidarli’ per far loro esprimere le funzioni che desideriamo, li possiamo utilizzare, ad esempio, per rendere più sostenibile l’agricoltura, per bonificare i siti contaminati, per pulire un’opera d’arte senza usare prodotti tossici e aggressivi. Qui nella Sagrestia Nuova abbiamo ‘toccato Michelangelo’. Lavorare tra capolavori d’arte fa un po’ soggezione rispetto a un microscopio, a un incubatore, a una cappa sterile in laboratorio”.
Particolare del monumento funebre di Lorenzo duca d’Urbino prima del restauro con batteri. Foto per gentile concessione di ENEA |
Particolare del monumento funebre di Lorenzo duca d’Urbino dopo restauro con batteri. Foto per gentile concessione di ENEA |
Test con batteri sull’altare della Sagrestia Nuova del Museo delle Cappelle Medicee. Foto per gentile concessione di ENEA |
Risultati dopo test con batteri sull’altare della Sagrestia Nuova del Museo delle Cappelle Medicee. Foto per gentile concessione di ENEA |
Sagrestia Nuova, Michelangelo, Tomba di Giuliano duca di Nemours, dopo il restauro. Foto: Antonio Quattrone |
Sagrestia Nuova, Michelengelo, Tomba di Lorenzo duca di Urbino, dopo il restauro. Foto: Antonio Quattrone |
Paola D’Agostino, direttrice dei Musei del Bargello, afferma che “il progetto di restauro conservativo e di manutenzione che negli ultimi cinque anni e in fasi successive ha visto il coinvolgimento di diverse professionalità e di istituti di eccellenza della ricerca e innovazione scientifica italiana permette ora di ammirare i capolavori fiorentini di Michelangelo, con una nuova consapevolezza della fase delicatissima di scelta e lavorazione dei marmi. Desidero ringraziare la dottoressa Monica Bietti, le colleghe dell’Enea e del CNR, e le abili restauratrici che per mesi hanno lavorato a questo delicato restauro sperimentale. L’autonomia dei musei, voluta dall’Onorevole Ministro Dario Franceschini, ha permesso anche di finanziare, con fondi propri, progetti di tutela, di ricerca e di alto profilo scientifico, come quello conclusosi negli ultimi mesi. Desidero inoltre esprimere la mia più sentita gratitudine all’architetto Maria Cristina Valenti, alla dottoressa Francesca De Luca e a tutto il personale che presta servizio al Museo delle Cappelle Medicee per avere seguito questo progetto e aver sempre favorito il lavoro di tutte le professioniste, anche nei durissimi mesi dell’emergenza sanitaria che ha scandito il 2020 e l’inizio del 2021”.
“La Sagrestia”, dichiara invece Monica Bietti, storica dell’arte ed ex responsabile del Museo delle Cappelle Medicee, “è un luogo dove all’apparenza tutto sembra perfetto: e invece le vicende di questo spazio narrano di un susseguirsi di difficoltà e abbandoni, di oblio e rinascita. Una storia vissuta come se quei marmi non fossero pietre, ma cose vive. Il restauro di uno dei luoghi simbolo dell’arte presuppone conoscenza, esperienza, metodo e scienza unite a doti di sensibilità, intelligenza e apertura al confronto. Per questo il lavoro fin dall’inizio è stato testato e poi sottoposto a costanti verifiche ottiche, metodologiche e scientifiche. Il lavoro di restauro delle pareti ha permesso di approfondire le conoscenze tecniche sul modo di costruire o meglio sovrapporre le lastre marmoree e sulla maniera di eseguire le decorazioni figurative, vegetali e modulari, un vero e proprio esercizio che permette di distinguere le mani dei collaboratori di Michelangelo, documentati in questa impresa. Così come si comprende molto bene che dal blocco in marmo scelto da Michelangelo per ciascuna figura, egli con il metodo del ’levare’, partendo da un modello in terra a grandezza naturale, trova la forma, arrivando alla finitura tramite l’uso di diversi tipi di attrezzi. Lo stato di finitura delle sculture varia a seconda dei personaggi e anche in relazione alla loro collocazione e al rapporto con la fonte di luce. E questa è una novità e una scoperta resa possibile dal restauro”.
“A conclusione dell’intervento di restauro delle sculture e dei paramenti lapidei possiamo affermare che all’interno della Sagrestia nuova si è conservata, nei secoli, l’integrità materica di queste opere patrimonio dell’umanità”, commenta Marina Vincenti. “Dopo la pulitura possiamo nuovamente godere dell’eccezionale uso della tecnica scultorea da parte di Michelangelo: espressione del suo intimo rapporto con il marmo e della sua capacità di trasformarlo in luce. Il cambio costante della tessitura dei segni lasciati dagli strumenti di lavorazione utilizzati rende vivo e palpitante il contenuto simbolico e spirituale dell’uomo chiamato a dare forma al trascorrere del tempo”.
“La Sagrestia Nuova è un vero scrigno dove architettura e scultura unificano le emozioni”, afferma Daniela Manna. “I lunghi restauri, svolti nel corso di sette anni, hanno seguito una metodologia lenta, rispettosa, a volte sofferta per le condizioni ambientali del luogo, ma partendo dalle pareti hanno preparato la giusta scenografia per affrontare i restauri delle sculture del grande Michelangelo. Concreta aspirazione sarebbe quella di completare i restauri di tutti gli elementi architettonici del secondo livello per monitorare e unificare la visione d’insieme”.
“Il progetto diagnostico”, dice Silvia Vettori, “ha previsto l’impiego congiunto di metodologie non-invasive, applicate in situ, e micro-invasive, in laboratorio. Le indagini hanno permesso di caratterizzare i materiali di deposito e le macchie presenti sulle superfici lapidee, come fosfati, ossalati e materiale proteico, comprendendo le problematiche legate allo stato di conservazione, e di valutare l’effetto generale delle operazioni di pulitura che si sono rivelate efficaci ma pur sempre prudenti e rispettose”.
“La selettività, la gradualità e il rispetto della materia sono qualità necessarie per una pulitura corretta”, aggiunge Anna Rosa Sprocati. “La biopulitura eseguita nel restauro delle opere di Michelangelo ha risposto a queste necessità. I batteri utilizzati sono spontanei e innocui e sono stati scelti tra un’ampia collezione di laboratorio per essere in grado di metabolizzare selettivamente i depositi coerenti identificati in precedenza dalle indagini chimiche, senza spingere oltre la loro azione. Proponiamo l’esperienza armonica condotta nella Sagrestia Nuova di Michelangelo come modello di restauro innovativo e sostenibile, che fonde storia dell’arte, restauro e scienza”.