Una rappresentazione unica di un baldacchino islamico in una chiesa del XIII secolo, per la precisione la chiesa di Sant’Antonio in Polesine a Ferrara. A interpretare la singolare iconografia è la giovane studiosa Federica Gigante dell’Università di Cambridge che ha pubblicato i risultati del proprio studio nel numero di febbraio 2025 del Burlington Magazine. L’articolo di Federica Gigante analizza un affresco unico del XIII secolo situato nell’abside della chiesa di Sant’Antonio in Polesine a Ferrara, che era stato già oggetto di uno studio di Chiara Guerzi pubblicato nel 2005, nel quale l’iconografia veniva indirizzata per la prima volta verso i baldacchini aerei. Secondo Gigante, il baldacchino richiama le tende portatili islamiche, in particolare quelle di al-Andalus (ovvero la Spagna sottoposta alla dominazione islamica), tessute in seta e oro, spesso catturate dagli eserciti cristiani durante la Reconquista e successivamente riutilizzate o inviate come doni diplomatici in Europa. Questo affresco potrebbe essere l’unica testimonianza pittorica superstite della pratica di riutilizzare strutture islamiche preziose in un contesto cristiano.
L’uso di tessuti islamici nelle chiese europee medievali è ben documentato. Molti di questi tessuti, provenienti sia dall’Islam occidentale che orientale, venivano riutilizzati per avvolgere reliquie o i corpi di personaggi illustri. Un esempio è il Sudario di Saint Josse, una stoffa di Khurasan dell’emiro Abu Mansur Bukhtakin (morto nel 961), donata nel 1134 e conservata fino a oggi. Persino i sovrani cristiani venivano avvolti in sete islamiche, come dimostrano le sepolture nel monastero di Santa María la Real de Las Huelgas, in Spagna, che conserva una delle più grandi collezioni di tessuti andalusi medievali.
Questi tessuti erano anche molto presenti nelle rappresentazioni pittoriche italiane del XIII-XIV secolo. Un esempio è la Vergine con il Bambino di Ambrogio Lorenzetti (1335-40) conservata alla Pinacoteca Nazionale di Siena, dove un tappeto islamico è dipinto sotto i piedi della Madonna, ma lo stesso si può dire per la Nascita della Vergine di Pietro Lorenzetti al Museo dell’Opera del Duomo di Siena. Inoltre, le chiese italiane erano spesso decorate con drappi di tessuto islamico. La stessa Basilica Superiore di San Francesco ad Assisi contiene affreschi di Giotto in cui compaiono drappi con pseudo-calligrafia araba, ispirati a veri tessuti dell’Andalusia.
L’abside della chiesa di Sant’Antonio in Polesine presenta un raro esempio di decorazione pittorica che riproduce una tenda islamica, trasformata in un baldacchino sopra l’altare. Il convento, fondato nel 1249 da Beatrice II d’Este, divenne un luogo prestigioso grazie al sostegno della potente famiglia Este. La decorazione della chiesa iniziò a fine XIII secolo e includeva un ciclo di affreschi sulla vita di Cristo, oltre a un drappeggio dipinto che copriva la parte inferiore delle pareti dell’abside. Nel XV secolo l’affresco fu in parte coperto con storie della vita della Madonna e di Gesù, ma la tenda era comunque rimasta parzialmente visibile. Se le attenzioni della critica si sono sempre concentrate sugli affreschi più tardi, quelle di Federica Gigante, studiosa di storia islamica (si era già distinta lo scorso anno con la scoperta di un raro astrolabio a Verona), hanno invece preso in esame soprattutto la tenda.
L’affresco mostra un tessuto con motivi a stelle a otto punte, inscritte in medaglioni con dettagli dorati, su uno sfondo giallo decorato con rombi. Una banda superiore e inferiore contiene pseudo-iscrizioni in stile cufico, già notate, per la prima volta, da Guerzi nel suo articolo del 2005, imitando le scritte presenti sui veri tessuti islamici. Gli artisti hanno cercato di rendere il drappo realistico, dipingendo frange e pieghe, accentuando l’illusione ottica della stoffa appesa.
Sopra il drappo, nelle lunette delle pareti laterali dell’abside, è raffigurata una struttura conica a due livelli, colorata in giallo e rosso, con decorazioni floreali e gemme dipinte. La sua somiglianza con le rappresentazioni di tende islamiche suggerisce che il baldacchino dipinto sia una riproduzione fedele di una vera tenda islamica. L’effetto illusionistico è enfatizzato dalla presenza di un cielo stellato e di uccelli dipinti tra le pieghe della tenda, creando l’impressione di uno spazio aperto sotto una tenda all’aperto.
L’uso delle pseudo-iscrizioni cufiche nell’affresco di Sant’Antonio in Polesine suggerisce che il tessuto rappresentato si ispiri a un modello islamico autentico. Questo tipo di calligrafia stilizzata era comune nei tessuti prodotti in Andalusia, Anatolia e Persia. Un esempio simile è la tunica di Don Felipe, la cui decorazione corrisponde a un drappo dipinto nella Basilica di San Francesco ad Assisi.
Il colore blu e oro dell’affresco richiama i tessuti imperiali del mondo islamico e bizantino, come il celebre Corano Blu (IX-X secolo) e il mantello dell’Imperatore Enrico II (XI secolo). Il paramento di Fermo, conservato al Museo Diocesano di Fermo, un tessuto islamico trasformato in pianeta liturgica e attribuito a san Tommaso Becket, ha una decorazione simile e potrebbe essere stato originariamente una tenda o un baldacchino, come quello dipinto a Ferrara.
Tra i pochi frammenti di tende islamiche sopravvissuti, si distingue il coperchio di un cuscino di María de Almenar (XIII secolo), tessuto in seta e oro con medaglioni e pseudo-scritture kufiche simili al dipinto di Sant’Antonio in Polesine. Altri esempi includono il manto di Don Rodrigo Ximénez de Rada e la pianeta del principe Filippo di Castiglia, entrambi tessuti in Andalusia nel XIII secolo.
Le tende islamiche erano spesso oggetti di bottino di guerra, regali diplomatici o simboli di potere regale. Nel 939, dopo la battaglia di Simancas, in Spagna, il re Ramiro II di León sottrasse al califfo Abd al-Raḥmān III una sontuosa tenda. Nel 1212, Alfonso VIII di Castiglia inviò a Papa Innocenzo III un baldacchino di seta appartenuto al califfo almohade Muhammad al-Nāṣir, che venne esposto nella Basilica di San Pietro.
Le tende venivano anche donate come simbolo di prestigio. L’Abbaside Hārūn al-Rashīd inviò una tenda a Carlo Magno, e nel 1338 i Mamelucchi scambiarono tende di seta con i Marinidi. Nel 1576, lo Scià Tahmasp dell’Iran inviò al Sultano Murad III una tenda cerimoniale. Anche in Occidente, le tende venivano offerte come doni diplomatici: nel 1248, Luigi IX di Francia inviò una tenda a Güyük Khan, nipote di Gengis Khan. A Ferrara, il monastero di Sant’Antonio in Polesine ricevette numerosi doni papali, tra cui tessuti preziosi, sete e ori, che potrebbero aver incluso una tenda andalusa, poi dipinta come baldacchino.
L’affresco di Sant’Antonio in Polesine rappresenta dunque un’eccezionale testimonianza della circolazione e riutilizzo di oggetti islamici in Europa medievale. È l’unico esempio noto di rappresentazione in scala reale di una tenda islamica trasformata in baldacchino per un altare cristiano. La sua fedeltà ai modelli tessili andalusi suggerisce che l’artista abbia avuto accesso a una vera tenda o a un tessuto simile. Non solo: data la presenza sull’abside della chiesa di chiodi e staffe che probabilmente reggevano tessuti appesi, è del tutto probabile che nella chiesa si conservasse una vera tenda islamica.
La chiesa di Sant’Antonio in Polesine offre quindi una finestra unica sulla continuità e trasformazione dell’arte e dell’iconografia islamica nel mondo cristiano medievale, dimostrando l’importanza di questi manufatti come simboli di potere, prestigio e sacralità.
Tende islamiche in un affresco ferrarese del Duecento: giovane studiosa interpreta l'iconografia |