Erieccoci di nuovo col cardinale Scipione Borghese. Questo quadro lo fece prelevare in fretta e furia dal convento francescano vicino a Perugia contandola su ai frati, dicendo loro ch’era opera troppo importante per essere custodita così malamente e sarebbe stata quindi ben più al sicuro in casa sua. Ne seguì una questione diplomatica non indifferente coi perugini, risolta allegramente da Sua Santità Paolo V, dichiarando in un Breve apostolico che l’opera era “cosa nostra” ovvero “cosa privata” dell’amato nipote. Raffaello, che è spesso troppo dolce quando lo La deposizione Arco di Giano, IV secolo d.C., marmo, Roma 90 influenza ancora il Perugino, cosa che una volta piaceva moltissimo e oggi lo fa apparire obsoleto, in questo capolavoro è assolutamente sweet and sour.
È opera di rottura totale col passato, firmata fieramente RAPHAEL URBINAS MDVII, e fu causa forse della fortunata chiamata di Raffaello a Roma nel 1508 da parte di Giulio II. Fu cruenta la genesi del dipinto, anzi del polittico del quale esso era opera centrale. Versa in pieno nel sangue che bagnava la penisola durante quel passaggio di millennio che era iniziato con le guerre francesi di Carlo VIII e si era concluso nelle catastrofi delle ambizioni unitarie del Valentino, il nipote di papa Borgia. Ci si scannava a meraviglia. L’opera complessiva è passata alla storia come Pala Baglioni, non per via dell’albergo di Bologna o di Firenze, ma per via della famiglia feudale Baglioni che tentò in tutti i modi d’imporre una signoria alla repubblicana Perugia durante le agitazioni del Quattrocento. Grifonetto Baglioni, per assicurarsi il controllo dell’eredità famigliare, fece fuori quasi tutti i parenti durante un matrimonio, roba da siciliani novecenteschi nell’Umbria d’allora. Fu a sua volta trapassato dalla lama nella via principale della città. Emozionante operazione che Oscar Wilde ricorda bene nel Ritratto di Dorian Gray: “Grifonetto Baglioni col suo giustacuore trapunto, il berretto gemmato e i ricci in forma di acanto, che uccise Astorre con la sposa e Simonetto col suo paggio, e che era di una tale bellezza che quando giacque morente nella piazza gialla di Perugia coloro che l’avevano odiato non potevano trattenere le lacrime e Atalanta, che l’aveva maledetto, lo benedisse”.
Atalanta era la mamma ovviamente, cosa molto italiana, e lei decise di chiedere la realizzazione della pala per la cappella di famiglia. Ecco la causa d’una pietas finora ignota al pittore mondanissimo. Del Perugino rimane solo il sottile alberello che si staglia sul cielo. La boccuccia femminile che era la sua cifra, e che aveva spesso influenzato Raffaello, diventa una schiusura di labbra sotto uno sguardo di dolore mentre lei, forse Maddalena, ma sicuramente Zenobia la moglie di Grifonetto, sorregge il braccio del Cristo, che più morto di così non potrebbe essere. La madre di Gesù è svenuta. Giovanni è talmente preso dal ruolo che gli viene il vento nei capelli mentre assume la prima vera posa neoclassica della pittura rinascimentale.
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Philippe Daverio, Il museo immaginato, Rizzoli, Milano, 2011, pp. 89-92
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Supercult. Philippe Daverio su Raffaello |
L'autore di questo articolo: Supercult
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