Dopo tre anni di lavoro, a Siena termina il restauro della Croce del Carmine di Ambrogio Lorenzetti (Siena, 1290 – 1348), che può finalmente fare rientro alla Pinacoteca Nazionale di Siena dopo l’intervento diretto e coordinato dalla Direzione regionale musei della Toscana del Ministero della Cultura. Il restauro è iniziato nel 2020, quando la Pinacoteca nazionale di Siena faceva parte della Direzione regionale musei della Toscana diretta da Stefano Casciu, e nei tre anni di lavoro ha visto avvicendarsi direttrici e curatrici prima di concludersi oggi nell’Istituto autonomo guidato da Axel Hémery. La croce del Carmine, dopo l’intervento diretto e coordinato da Stefano Casciu, curato dalla restauratrice Muriel Vervat e realizzato grazie al generoso contributo dell’associazione Friends of Florence attraverso il dono di The Giorgi Family Foundation, è stata presentata oggi nella sala dedicata della Pinacoteca dove resterà esposta in evidenza fino all’8 gennaio 2024. Al termine dell’esposizione temporanea la Croce del Carmine sarà poi ricollocata nella Sala 7 della Pinacoteca, insieme ad altre opere di Ambrogio Lorenzetti.
La monumentale croce dipinta, proveniente dal convento di San Niccolò al Carmine, venne depositata dal Comune di Siena presso il Regio Istituto di Belle Arti di Siena nel 1862, entrando così a far parte di quel nucleo originario di opere che compongono la collezione della Pinacoteca Nazionale. Le vicende relative alla storia del convento del Carmine consentono di supporre che la croce sia stata realizzata intorno al 1328-1330. In questi anni sono documentati lavori di rifacimento della chiesa, finanziati anche grazie alla partecipazione del governo dei Nove, che videro un ammodernamento dell’arredo, con la realizzazione di opere come il grande Polittico dei Carmelitani del fratello di Ambrogio, Pietro, anch’esso conservato in Pinacoteca (sala 7). La datazione è confermata dallo stile: l’opera si inserisce facilmente nell’attività giovanile di Ambrogio, essendo ancora strettamente legata alla pittura giottesca, ma già mostrando gli interessi che caratterizzeranno la produzione più matura del maestro e un gusto raffinato nell’elaborata decorazione a punzoni del tabellone e dell’aureola. Il volto di Cristo, con il naso dritto e gli occhi dal taglio allungato, appartiene a un tipo fisionomico che ricorre nelle figure degli affreschi della sala capitolare di San Francesco.
Sul piano della struttura l’opera, benché ormai priva di alcune parti, si inserisce in un contesto di croci dipinte a Siena fra Tre e Quattrocento, connotate dai complessi lavori di carpenteria con terminazioni a poligoni stellati e modanatura delle cornici, rispetto alle quali Ambrogio affina il canone gotico della tipologia.
Il suo interesse per l’osservazione della realtà emerge già nella scelta di raffigurare le venature del legno della croce, preferendo questo dettaglio realistico alla più consueta campitura blu. Ma la suprema abilità del pittore nella resa degli elementi naturalistici si esprime con evidenza nella figura del Cristo. L’anatomia del corpo è studiata nel volume, un chiaroscuro dolcemente sfumato descrive con delicatezza le fasce muscolari, sottolineando con efficacia alcuni punti d’ombra (nell’addome e nell’incavo delle braccia) in contrasto con la colorazione chiara della carnagione su cui spicca con forza il rosso brillante del sangue. Con una pittura composta da sottili pennellate morbide, Ambrogio Lorenzetti descrive la barba e i capelli castani che ricadono incorniciando il volto, dalla cui espressione si percepisce l’ultimo momento di dolore prima di rassegnarsi alla morte. La testa è reclinata in avanti, con un effetto drammatico accentuato dall’aureola a rilievo, e dal basso si osservano le labbra carnose, ma già velate da un riflesso cianotico, e le palpebre socchiuse che donano alla figura uno sguardo di commuovente umanità.
Lo stato di conservazione fortemente lacunoso ha a lungo condizionato l’analisi dell’opera per la quale, nella prima metà del Novecento, sono state proposte varie attribuzioni: dal riferimento al primo Quattrocento, per analogia con la croce di Taddeo di Bartolo per l’ospedale di Santa Maria della Scala (Pinacoteca, sala 11) che ha lo stesso impianto formale, all’accostamento a un generico ambiente lorenzettiano, poi a Pietro nello specifico. Fu per primo Carlo Volpe, nel 1951, ad accostare la croce al nome di Ambrogio Lorenzetti, proposta accolta in modo unanime e rinforzata negli studi successivi.
A inizio lavori l’opera presentava diversi problemi conservativi. Durante l’Ottocento le infiltrazioni di acque piovane all’interno del Convento del Carmine a Siena provocarono al dipinto notevoli ed estese cadute di colore, risparmiando però il volto del Cristo che rimase protetto dall’aureola aggettante rispetto al livello della croce. Prima di questo intervento l’opera era stata già sottoposta a un restauro, realizzato fra il 1953 e il 1956 a cura dell’ICR di Roma sotto la direzione di Cesare Brandi. Tale restauro mise in evidenza le parti originali, grazie alla rimozione delle ridipinture successive, che furono sostituite da campiture neutre in sottolivello. Quel restauro, allineato alle teorie conservative del tempo, in gran parte valide ancora oggi, ha reso tuttavia la lettura dell’opera molto frammentaria. La mostra monografica su Ambrogio Lorenzetti, svoltasi a Siena tra il 2017 e il 2018, ha fatto emergere la necessità di recuperare una lettura migliore della Croce e Cristina Gnoni, allora direttrice della Pinacoteca Nazionale, propose quindi a Friends of Florence di finanziare il nuovo intervento, progettato da Muriel Vervat. L’obiettivo del restauro attuale è stato il recupero della materia originale, seguito però dalla reintegrazione cromatica delle lacune, per una lettura unitaria e più godibile dell’opera.
L’intervento è stato preceduto da un articolato programma di indagini scientifiche, a cura dell’IFAC-CNR e ISPC–CNR di Firenze che oltre ad essere stato un prezioso sostegno per il progetto di restauro, ha permesso di approfondire la sofisticata tecnica pittorica di Ambrogio Lorenzetti. La croce, che ha uno spessore di cm 4,5 e che è in legno di pioppo secondo la tradizione toscana, è rivestita da una tela di incamottatura e da due strati di gesso, il primo più spesso e il secondo più sottile, come prevede il metodo antico descritto anche da Cennino Cennini. Il supporto ha subito delle alterazioni e l’opera è mutila di alcuni elementi fondamentali, come la cimasa, i terminali laterali con le figure dei Dolenti e la base di appoggio che probabilmente presentava il Golgota o il teschio di Adamo. La larga ed elaborata cornice dorata è quella originale, caratterizzata da una doppia modanatura ornata lungo i bordi da un raffinato motivo ad archi intrecciati, incisi e dipinti. L’analisi stratigrafica ha evidenziato, tra i vari aspetti, la modalità di stesura del sangue che scorre dalle ferite di Cristo, eseguito con due tipi di rosso: uno di base, più corposo e ricavato dal cinabro, al quale si sovrappone uno strato più scuro e brillante in lacca rossa, ottenuta col rosso kermes, un pigmento prezioso, più costoso dell’oro, che è segnale evidente di una committenza di rilievo.
L’intervento inoltre è stato un momento importante per condurre uno studio più approfondito della tecnica esecutiva ed è stato accompagnato da riflessioni sulle scelte conservative, in particolare sul fondo oro e sulle grandi lacune che interessavano il corpo del Cristo. Il fondo dorato della croce, che imita un tessuto riccamente ornato, riveste un valore importante poiché presenta non solo una preziosa decorazione, ma anche una sofisticata riflessione da parte di Ambrogio sulla diffusione della luce. Questo valore è oggi meno evidente perché la luce elettrica permette di godere nitidamente di ogni dettaglio di un’opera, ma all’epoca di Lorenzetti, quando la Croce era esposta in chiesa, l’illuminazione era data solo dalla luce naturale che filtrava dalle finestre, modificandosi nell’intensità e nella direzione a seconda delle ore del giorno, e dalle fiamme delle candele. Queste fonti di luce davano alla materia pittorica una luminosità viva e mutevole che metteva in valore la plasticità dell’anatomia dipinta del corpo di Cristo, dove i punti di maggiore rilievo sono le spalle e le ginocchia. E proprio questo fondo dorato, realizzato dal pittore come un tessuto riccamente decorato quasi come fosse cuoio lavorato a bulino con figure geometriche probabilmente realizzate a compasso, appariva molto danneggiato. “Studiando il complesso disegno della decorazione”, spiegano Casciu e Vervat, “ci siamo resi conto che le figure erano state realizzate con il compasso, formando dei moduli simmetrici speculari tra i due lati del corpo di Cristo, e che era possibile congiungere le linee perdute dei cerchi, incidendo il nuovo gesso con un compasso come in antico, senza forzature né invenzioni. In quei punti, per distinguere chiaramente le parti reintegrate dalla doratura originale, si è dapprima riprodotto il colore rosso del bolo con la tempera, usando la tecnica della selezione cromatica, completando poi l’intervento riproponendo la doratura con oro in polvere sintetico, applicato con la stessa tecnica a selezione”. La pulitura ha fatto anche riemergere, in modo del tutto inaspettato, il legno dipinto della vera e propria croce sulla quale è inchiodato il Cristo e che, con la sua tonalità rosea e le venature ad imitazione naturalistica del legno, crea un forte e studiato contrasto con la preziosa decorazione del tessuto geometrico del fondo.
L’altra importante decisione metodologica ed esecutiva da prendere era quella relativa al trattamento delle numerose lacune, operazione fondamentale per ridare voce all’intenzione poetica e artistica di Ambrogio Lorenzetti e per valorizzare e restituire il valore narrativo della materia pittorica originale. Molte lacune sulla figura di Cristo potevano essere chiuse con facilità, ovvero portate a livello della superficie originale circostante e integrate con il metodo della selezione cromatica, semplicemente ripristinando quella continuità perduta, laddove le integrazioni non ponevano problemi di interpretazione. Questi collegamenti, accompagnati correttamente con un intervento di restauro pittorico rispettoso dell’originale, senza operare falsi né forzature, restituiscono all’osservatore la possibilità di una comprensione delle forme, della composizione e delle idee originali del pittore, nonché della preziosità ed eleganza dell’esito finale voluto da Ambrogio Lorenzetti, tutti aspetti che prima del restauro erano difficili da apprezzare.
Anche la grande lacuna che attraversa verticalmente il corpo di Cristo, caratterizzata da una notevole perdita di materia pittorica, è stata risolta, con delicatezza e rispetto dell’originale, per mezzo della tecnica della selezione cromatica: il colore aggiunto si distingue dalla pittura originale per la tonalità più chiara, ma evoca, nelle diverse aree, le tinte dell’incarnato o quelle del perizoma senza inventare volumi o dettagli che risultavano definitivamente perduti.
Solo per quanto riguarda le mani del Cristo è stata portata avanti una ricostruzione che allude maggiormente alle forme perdute, ma sempre con la tecnica della selezione cromatica. “Riteniamo infatti”, concludono Casciu e Vervat, “che per l’importanza della leggibilità complessiva dell’opera e anche del messaggio religioso e artistico, in accordo anche con la sensibilità odierna, questo fosse un intervento necessario. Come tutti gli interventi del restauro, in ogni caso, anche queste ultime integrazioni sono completamente riconoscibili e reversibili”.
“Il restauro della Croce dipinta di Ambrogio Lorenzetti della Pinacoteca Nazionale di Siena, generosamente finanziato dai Friends of Florence alla Direzione regionale Musei della Toscana , si presenta oggi come un necessario e delicato recupero di un grande capolavoro del Trecento senese, ma anche come un importante atto critico e metodologico”, dichiara Stefano Casciu, Direttore regionale musei della Toscana. “L’intervento è partito dall’opera che si trovava nello stato conseguente al restauro degli anni Cinquanta, durante il quale – secondo principi metodologici all’epoca innovativi – erano state rimosse tutte le antiche ridipinture, e non erano state reintegrate le numerose e vaste lacune, lasciando a vista il legno di supporto o la tela sottostante. Una idea di restauro che oggi si tende a superare per restituire alla immagine, e quindi alla poesia dell’opera, una lettura meno frammentata, mirando alla resa unitaria e ad una generale più ampia leggibilità, per mezzo di reintegrazioni sia della preparazione che della superficie pittorica e di parte dei volumi e dei colori, pur senza alcuna concessione a ricostruzioni arbitrarie. Grazie alla attenta pulitura dell’originale sono inoltre riemersi lo splendido tessuto operato e dorato del fondo, a motivi concentrici, il legno della croce dalle venature rosate e naturalistiche, e i valori sublimi del corpo e del volto del Cristo, resi da Ambrogio con tecnica sottile e intensa, ancora ben visibile nel volto che fortunatamente si è conservato quasi intatto. Un restauro difficile ma stimolante, condotto da Muriel Vervat con la sua ben nota grande sensibilità e competenza. Il mio grazie, va oltre che a lei, a tutti coloro che hanno dato contributi importanti per lo studio e la documentazione dell’opera e del restauro, e nuovamente ai donatori, in particolare alla famiglia Giorgi”.
“In una vita di direttore di museo, un restauro di questa importanza è più unico che raro”, afferma Axel Hémery, direttore della Pinacoteca Nazionale di Siena. “Cosa ci dice della storia del gusto il ritorno di uno dei capolavori della Pinacoteca, la Croce di Ambrogio Lorenzetti restaurata? Ci insegna che, oggi, trattandosi di un’opera molto rovinata, non possiamo più accettare l’aspetto di un restauro che è stato esemplare per il gusto degli anni Cinquanta del Novecento. Oggi, pur rispettando i principi del restauro enunciati dallo stesso Cesare Brandi che ne aveva organizzato il primo intervento, possiamo allo stesso tempo riconoscere onestamente le vicissitudini della storia e ridare vita, movimento, significato agli intenti di Lorenzetti grazie al lavoro di alta precisione e di fedeltà assoluta al pittore eseguito dalla restauratrice Muriel Vervat. È stato reso possibile dal sostegno dei Friends of Florence e della sua presidente Simonetta Brandolini d’Adda. L’operazione di lungo respiro è stata iniziata e seguita dal direttore dei musei della Toscana, l’amico Stefano Casciu, allora responsabile della Pinacoteca Nazionale di Siena, affidata alla direzione prima di Cristina Gnoni e poi di Elena Rossoni con la partecipazione costante della funzionaria restauratrice della Pinacoteca, Elena Pinzauti. A queste persone lungimiranti e impegnate nella salvaguardia dell’arte va il mio caloroso ringraziamento sia istituzionale che personale. A Muriel Vervat che unisce una profonda conoscenza delle tecniche artistiche a una mano sicurissima e a una facoltà d’immaginazione visionaria, temperata da sani dubbi, va la mia ammirazione e gratitudine”.
“Il restauro della Croce del Carmine di Ambrogio Lorenzetti è stato un progetto importante per la nostra fondazione poiché ci ha consentito di lavorare nuovamente per la conservazione del patrimonio di Siena, meta di tanti programmi di studio che, come Friends of Florence, organizziamo periodicamente per i nostri sostenitori”, sottolinea Simonetta Brandolini d’Adda, Presidente di Friends of Florence. “Siena da sempre è una città che affascina tutti i nostri benefattori. Quest’ultimo intervento, iniziato in piena pandemia, è stato davvero un progetto di grande soddisfazione, affiancare come donatori il meticoloso lavoro della restauratrice Muriel Vervat, seguito attentamente dal Direttore lavori Stefano Casciu e dal Direttore della Pinacoteca Nazionale Axel Hémery è stato un privilegio per Friends of Florence. Ci ha permesso di partecipare, passo dopo passo, al recupero conservativo del capolavoro. È stato un lavoro magistrale durante il quale la condivisione delle scelte e delle riflessioni fra la restauratrice e gli storici dell’arte è stata davvero generativa poiché ha consentito non solo di tornare a fruire dell’opera nella sua incredibile bellezza, ma anche di apprendere nuove informazioni sulla tecnica e sulla maestria di Ambrogio Lorenzetti, vero caposaldo del Trecento Senese. Come Presidente di Friends of Florence ringrazio Stefano Casciu Direttore regionale musei della Toscana per aver voluto, avviato e diretto il cantiere, Axel Hémery attuale Direttore della Pinacoteca Nazionale di Siena per la disponibilità e l’attenzione che ci ha sempre offerto, Muriel Vervat per il grande lavoro di restauro e tutti i professionisti che sono stati coinvolti nel progetto. Il nostro più sentito grazie va inoltre ai donatori The Giorgi Family Foundation che hanno scelto di sostenere l’intervento regalando a tutti noi e alle future generazioni la possibilità di godere della bellezza di questo grande capolavoro”.