È davvero un’opera di Artemisia Gentileschi la Maddalena in estasi appena scoperta in una collezione privata italiana? Di questo è convinta la storica dell’arte Delia Somma, che ha sottoposto il dipinto ad alcuni studi, pubblicati nel libro L’estasi di Artemisia Gentileschi: Indagine storico-scientifica di un’opera inedita (edizioni Tab), per giungere alla conclusione che l’opera, acquistata dagli attuali proprietari da una famiglia nobile torinese, dove era inventariato genericamente come opera del diciassettesimo secolo, sarebbe un autografo della pittrice.
La tela, in particolare, risulta essere una replica della Maddalena in estasi esposta al Palazzo Ducale di Venezia, opera di Artemisia Gentileschi. Nel Seicento, la richiesta di una replica di un’opera attestava il pregio e il successo dell’invenzione iconografica dell’artista. Era una pratica comune sia nella bottega di Orazio Gentileschi che in quella di sua figlia Artemisia. Tuttavia, Artemisia si distingueva per non replicare mai pedissequamente le sue opere, apportando modifiche nelle proporzioni, nei dettagli e nella combinazione dei colori. Questo tratto distintivo risulterebbe evidente, secondo Delia Somma, anche nella Maddalena in estasi appena riscoperta.
Una delle differenze principali tra la Maddalena in estasi del Palazzo Ducale di Venezia e la nuova scoperta risiede nel colore delle vesti, una soluzione che Artemisia utilizzò diverse volte nella sua produzione pittorica. In entrambe le opere, la figura della Maddalena sembra a stento piegata alla misura della tela, creando un senso di compressione che ingigantisce la figura, conferendo alla santa un potente effetto ipnotico.
La tela riscoperta è databile al primo periodo napoletano di Artemisia, come testimoniato dalla presenza del pigmento giallo di Napoli. Con un sapiente equilibrio di luce e tenebra, caratteristico del linguaggio pittorico di Gentileschi, l’artista esprime tutta la carica emotiva e spirituale della Maddalena, figura contraddittoria della cristianità, divisa tra l’ombra del peccato e la luce delle altezze mistiche. Gli studi di Delia Somma hanno inoltre rivelato che l’opera è stata dipinta su una tela di riutilizzo, dal momento che presenta al di sotto della pellicola pittorica il volto di un putto, abbozzato con pennellate chiare e parte di una composizione più ampia rispetto alla tela attuale.
“Nel corpus delle opere di Artemisia”, scrive Somma nel suo studio, “ci sono diversi casi di tele di riutilizzo, ovvero che presentano al di sotto del film pittorico un’opera non realizzata. Anche nella nostra Maddalena in estasi è stata riscontrata, attraverso i raggi X, un’opera non compiuta. Il progetto non realizzato da Artemisia, quindi la posizione del putto o Cristo bambino in alto a sinistra, inducono a pensare che stesse ideando una composizione di figure da dipingersi in una dimensione molto più ampia rispetto a quelle della tela attuale”.
La coesistenza di diverse stesure su un’unica tela è effettivamente frequente nel corpus delle opere studiate di Artemisia Gentileschi ed è attesta in opere celebri come l’Autoritratto come Santa Caterina d’Alessandria della National Gallery (1615-1617) composto da due tele cucite insieme, o l’Autoritratto come suonatrice di liuto del Wadsworth Atheneum Museum of Art di Hartford (1615-1617), dove la radiografia ha evidenziato la presenza di una testa femminile, capovolta, in corrispondenza della manica sinistra, e ancora l’Ester e Assuero (1626-1629) del Metropolitan Museum of Art nel quale la pittrice ha modificato, più volte, il trono e la pedana e ha coperto con una ridipintura un fanciullo e un cane che si trovavano ai piedi del re. Nel caso della Maddalena, come avviene anche nella tarda Susanna e i vecchioni della Pinacoteca di Bologna, “la composizione”, sostiene Somma, “si svolge per parti definite e accuratamente progettate. Intorno alla testa del bambino troviamo lo stesso alone aureolato, presente nella Susanna e i vecchioni di Bologna. Artemisia, dunque, scontorna la figura sulla preparazione bruna per poi utilizzarla en reserve nella composizione finale. Questa tecnica è frequente nella scuola napoletana, soprattutto in Massimo Stazione, amico della pittrice. Pennellate di abbozzo sono state riscontrate nelle analisi di diverse opere di Artemisia Gentileschi, anche nella Giuditta che decapita Oloferne di Napoli e nell’Aurora”. Scoperta dunque una nuova opera di Artemisia?