Il catalogo del Romanino (Girolamo Romani; Brescia, 1485 circa – 1566 circa) si arricchisce di una nuova opera, per una “clamorosa aggiunta”, come afferma la casa d’aste Bertolami presso la quale il dipinto andrà in vendita il prossimo 27 aprile, con una stima tra i 470 e i 620mila euro e base d’asta 400mila.
Il dipinto, una Deposizione di Cristo nel sepolcro, è stato riconosciuto come opera del Romanino da due specialisti che lo hanno studiato in via indipendente: Alessandro Nova e Francesco Frangi: un “capolavoro inedito”, stabilisce la casa d’aste. “L’impressionante dipinto inedito”, si legge nella scheda del catalogo d’asta, “rappresenta una clamorosa aggiunta al corpus di Girolamo Romanino, come hanno rilevato, indipendentemente, il Prof. Alessandro Nova e il prof. Francesco Frangi dopo l’analisi dal vivo della tela. L’opera si mostra, in effetti, come un apice nell’intera produzione del pittore quanto a intensità emotiva e pathos tragico”.
La composizione, prosegue la scheda, “si presenta serrata e sin quasi compressa, dominata dalla figura del Cristo morto che occupa tutto il primissimo piano della scena, con le tre teste appena retrostanti a fargli da dolorosa corona. Le due mani di Maria fanno drammaticamente capolino da tergo, la sinistra sorreggendo la testa abbandonata del Salvatore, la destra poggiata sul costato, poco sopra il taglio della ferita ancora sanguinante. Particolarmente drammatica l’espressione del volto della Vergine, con la fronte corrugata, gli occhi sbarrati e la bocca semi-aperta, a suggerire, più che un urlo, una sorta di sibilo o di rantolo che racchiude tutto lo strazio, la compassione e l’intima, fisica condivisione del destino del figlio, morto come uomo. Le figure di Giovanni Evangelista e Giuseppe d’Arimatea chiudono ai lati la scena, contrappuntando l’esplicita sofferenza di Maria con meste espressioni di muta rassegnazione. Al margine inferiore dell’immagine, il sepolcro di pietra e la corona di spine costituiscono, al di là della loro coerenza narrativa, stimoli visivi che spingono il riguardante verso un’ulteriore stadio di personale partecipazione affettiva”.
Nova e Frangi hanno attribuito convintamente l’opera al Romanino sulla base delle evidenze stilistiche: la composizione, le soluzioni espressive, la materia pittorica, il magistero coloristico, parlano di un artista di prima grandezza, tipici di un artista che guarda soprattutto a Tiziano e Giorgione, e all’arte lombarda, in primis Savoldo, senza trascurare Lorenzo Lotto, e che comunque presenta caratteri stilistici potentemente peculiari, capaci di far confluire la trama articolata dei suoi riferimenti all’interno di una pittura di realismo scabro, priva di accenti aulici ma non popolaresca: una pittura che trova il suo terreno più idoneo proprio nel registro tragico che ammiriamo nel presente dipinto, diretto, energico, essenziale ed emotivamente catturante.
“Anche la composizione, il modo di panneggiare, la paletta cromatica, le posture, in primo luogo di braccia e mani, e le fisionomie dei personaggi trovano stringenti termini di confronti all’interno del corpus di Romanino”, prosegue la scheda: “i più evidenti, anche per ragioni di contiguità iconografica e di clima espressivo, si riconoscono nel Cristo morto fra la Vergine e San Giovanni Evangelista, già in collezione privata fiorentina e oggi di ubicazione ignota, che presenta chiare analogie nel busto e nel perizoma di Cristo, nella fisionomia della Vergine e nell’accostamento delle loro teste. Non meno limpide le similitudini con il Compianto già nel Kaiser-Friedrich Museum di Berlino, perduto nel 1945 durante i bombardamenti alla fine della seconda guerra mondiale, che riguardano in primo luogo il volto di Cristo, ma anche le altre tre teste protagoniste del nostro dipinto”.
La tela, che si presenta in un ottimo stato di conservazione, proviene da una privata collezione lombarda. Chi sarà il suo prossimo proprietario? Il dipinto è accompagnato dall’Attestato di Libera Circolazione: questo significa che potrà anche andar via dall’Italia.