La Crocifissione del cosiddetto Maestro di San Vincenzo Martire è finalmente esposta al pubblico nella nuova sezione dedicata al Rinascimento di Palazzo Ducale a Mantova, inaugurata il 25 ottobre al Castello di San Giorgio, parte del percorso dell’istituto. Il dipinto, acquisito di recente da Palazzo Ducale, è un’opera di piccole dimensioni (94x73 cm) e rappresenta Cristo crocifisso, con Maria Maddalena inginocchiata ai suoi piedi, la Vergine che sviene sulla sinistra e i santi Giovanni Evangelista, Benedetto e Girolamo disposti alla destra del Redentore.
Il dipinto è stato identificato nel mercato antiquario e riconosciuto da Stefano L’Occaso e, indipendentemente da, Mauro Minardi, come opera del “Maestro di San Vincenzo Martire”. Il titolo “Maestro di... ”, assegnato per convenzione a un artista di cui si ignora il nome, rimanda a una pala d’altare mantovana di grandi dimensioni raffigurante la Madonna col Bambino tra i santi Vincenzo Ferrer, Giovanni Battista, Osanna Andreasi, Vincenzo Levita, Barbara e Romano, collocata nel Palazzo Ducale e proveniente dalla chiesa delle domenicane di San Vincenzo di Mantova: da qui il nome con cui è stato “battezzato” dagli studiosi l’ancora anonimo maestro.
Nel mondo della storia dell’arte, capita che alcune figure artistiche siano riconoscibili attraverso un corpus di opere coerenti, pur rimanendo sconosciute nel nome e nei dettagli biografici. È il caso del “Maestro di San Vincenzo Martire”, un appellativo che si riferisce alla prima opera riconducibile a questa mano anonima, un’opera particolarmente significativa nella tradizione pittorica del primo Cinquecento mantovano.
Le caratteristiche stilistiche e i dettagli di iconografia hanno permesso agli storici dell’arte di legare al Maestro di San Vincenzo Martire un nutrito catalogo di opere. Prima che la critica riconoscesse l’unità stilistica di questo gruppo, i dipinti erano stati erroneamente attribuiti a diversi artisti, fra cui Luigi Anguissola, Girolamo Marchesi da Cotignola, Francesco Zaganelli e Bernardino Bonsignori. Tuttavia, nessuna di queste attribuzioni ha mai trovato riscontro definitivo, fino a quando non è emerso il sospetto che queste opere condividessero tratti specifici con lo stile di Pietro Perugino.
Il Maestro di San Vincenzo Martire sembra essere stato fortemente influenzato da due maestri del Rinascimento italiano: Andrea Mantegna e Pietro Perugino, quest’ultimo definito dai contemporanei come “il meglio maestro d’Italia”. Il celebre Perugino era particolarmente apprezzato nella città di Mantova: Isabella d’Este, mecenate d’arte e una delle più importanti figure culturali dell’epoca, tentò in più occasioni di ottenere sue opere per la sua collezione. Due artisti mantovani ebbero contatti diretti con Perugino a Firenze, dove quest’ultimo manteneva una bottega agli inizi del Cinquecento. Fra questi, oltre al celebre Lorenzo Leonbruno, figura Bartolomeo Fancelli, artista di cui si hanno poche informazioni, ma che appare sempre più legato all’opera del Maestro di San Vincenzo Martire.
Secondo i documenti, Bartolomeo Fancelli lavorò presso la bottega di Perugino a Firenze nel primo decennio del Cinquecento, per poi trasferirsi a Mantova, verso il 1520. Di lui si conosce una sola opera firmata e datata 1507 e conservata in collezione privata. Suo padre, Bernardo, apparteneva a una famiglia di origine settignanese, trasferitasi a Mantova già nella metà del Quattrocento. Fra i membri più illustri della famiglia figura Luca Fancelli, architetto al servizio dei Gonzaga, mentre Chiara, figlia di Luca, fu moglie del Perugino stesso, sottolineando quindi i profondi legami della famiglia Fancelli con Mantova e con la cultura rinascimentale.
L’opera ora esposta al piano terreno del Castello di San Giorgio rivela un’influenza peculiare di Perugino, osservabile nella delicatezza dei volti e nella resa armoniosa delle figure, immerse in un’atmosfera di pacata sofferenza, ma anche della sobrietà prospettica e simbolica tipiche di Mantegna. Il Maestro di San Vincenzo Martire, a differenza di altri artisti mantovani, lavorava principalmente su tavola, un supporto raro per la produzione del primo Cinquecento nella città dei Gonzaga, prevalentemente orientata verso la pittura su tela o affresco. Quest’uso inconsueto della tavola evidenzia la formazione fiorentina e umbra dell’artista, suggerendo che la sua attività si svolse prevalentemente in ambito mantovano.
La Crocifissione, con la sua composizione e i suoi tratti stilistici, testimonia anche la possibile attribuzione a Bartolomeo Fancelli: la presenza di derivazioni dirette dallo stile di Perugino e il ritorno a Mantova del pittore fanno supporre che questa sia una delle poche testimonianze rimaste del suo lavoro.
“Chi altri se non Bartolomeo Fancelli, un mantovano nato alla corte del Mantegna e formatosi con il Perugino, avrebbe potuto proporre il curioso cocktail che ci offre la Crocifissione?”. Questa la domanda che si pone Stefano L’Occaso, direttore di Palazzo Ducale. “La nostra tavola mescola, infatti, la Crocifissione Chigi del Perugino, a Siena (chiesa di Sant’Agostino), con il Noli me tangere mantegnesco della National Gallery di Londra, dal quale copia la Maddalena. L’opera è stata acquistata dall’antiquario perugino Fabio Mearini, il quale ha fatto restaurare la tavola e che ringrazio”.
L’acquisizione e l’esposizione della “Crocifissione” segnano un passo importante per Palazzo Ducale e per il Castello di San Giorgio, non solo come testimonianza del Rinascimento mantovano, ma anche come testimonianza della diffusione delle influenze artistiche fiorentine e umbre nel nord Italia. Il nuovo allestimento dedicato alla collezione rinascimentale rappresenta un’occasione unica per approfondire la conoscenza delle correnti artistiche che attraversarono Mantova nel primo Cinquecento, un periodo di grande sviluppo artistico sotto la protezione dei Gonzaga.
L’esposizione permette inoltre di valorizzare la figura del Maestro di San Vincenzo Martire, un autore che, pur non essendo un grande innovatore, rappresenta una preziosa documentazione della pittura mantovana e della sua capacità di assorbire influenze esterne. L’opera, così ricca di dettagli e di simbolismo, si rivolge non solo agli studiosi di storia dell’arte, ma anche ai visitatori che potranno esplorare uno degli aspetti meno noti della produzione pittorica del Rinascimento italiano.
Gli studiosi e i curatori di Palazzo Ducale continueranno a indagare sul Maestro di San Vincenzo Martire, nella speranza di individuare ulteriori opere e dettagli che possano confermare l’ipotesi di attribuzione a Bartolomeo Fancelli. Il nuovo allestimento rinascimentale del Castello di San Giorgio potrebbe così diventare il punto di partenza per nuove ricerche sulla pittura del primo Cinquecento a Mantova, contribuendo a svelare ulteriori tasselli della complessa rete artistica che legava Mantova a Firenze e a Perugia.
In attesa di nuove scoperte, la Crocifissione si impone come una testimonianza rara della continuità artistica del periodo e della particolare influenza del Perugino sulla scuola mantovana, e rappresenta una prova tangibile del passato artistico della città dei Gonzaga.