La galleria antiquaria romana Antonacci Lapiccirella porta all’edizione 2025 del Tefaf di Maastricht uno dei più significativi gruppi imarmorei di Carlo Finelli (Carrara, 1785 – Roma, 1853), che fu tra i massimi scultori neoclassici: si tratta delle Tre Grazie, già in viaggio verso l’Olanda (la galleria, nei giorni scorsi, ha pubblicato le immagini delle operazioni di preparazione per il trasporto sui propri canali social). Il prezzo richiesto dalla galleria è tra i 400 e i 500.000 euro. Finelli, il loro autore, era un artista eclettico, fautore d’una propria interpretazione del neoclassicismo: le sue opere offrivano una sintesi che combinava l’ideale classico della forma con la purezza del pensiero che i critici riconoscevano nei primitivi del XIV e XV secolo. Tuttavia, il divario tra l’ideale di Finelli e la sua realizzazione gli provocò una costante insoddisfazione che condusse a episodi come la distruzione del suo Marte nel 1844, una scultura che aveva già donato all’Accademia di Belle Arti di Firenze, che riprese con la scusa di ritoccarla per poi distruggerla. Stessa sorte toccò a un gruppo di bozzetti e ad altre sculture in marmo come due sculture di Venere e Paride. Inoltre, l’artista ordinò nelle sue ultime volontà la distruzione di tutti i modelli in gesso presenti nel suo studio, ad eccezione delle Ore danzanti e dell’Arcangelo Michele che sconfigge Lucifero che figurano tra i suoi capolavori e che l’artista intendeva donare all’Accademia di Belle Arti di Carrara. Fu anche in virtù di questi episodi che si diffuse il mito della stranezza della sua personalità ma anche quello della sua indipendenza e della sua genialità, che portarono alcuni suoi contemporanei a paragonarlo addirittura a Michelangelo.
Le Tre Grazie sono una delle sculture più emblematiche di Carlo Finelli, uno dei suoi principali capolavori. Nel 1824, dopo aver terminato il gruppo marmoreo delle Ore danzanti, forse la sua opera più famosa, per il russo Nikolai Demidov (oggi l’opera si trova al Museo dell’Hermitage), Finelli ebbe modo di riprendere il soggetto delle Tre Grazie che sia Antonio Canova sia Bertel Thorvaldsen avevano creato in precedenza, sebbene in uno stile molto diverso dalla versione di Finelli. Dopo che Finelli distrusse la sua prima versione delle Tre Grazie, ne realizzò una seconda, sempre in gesso, che distrusse nuovamente nel 1833. A quel punto, decise di lavorare direttamente sul marmo, “alla prima”, ovvero senza la guida di un modello in gesso. Si trattava di un metodo di lavoro molto insolito all’epoca, perché non c’era spazio per errori o ripensamenti: anche questa procedura poco ortodossa suscitò immediatamente un paragone con il metodo di lavoro di Michelangelo. Tuttavia, Finelli non completò mai quest’opera. Fu sempre nascosta ai visitatori dello studio e divenne famosa soltanto dopo la sua morte. Le Tre Grazie sono un caso unico per la scultura di quel periodo: l’opera è splendidamente rifinita, a parte il tronco e i piedi dell’albero che sono soltanto parzialmente definiti. Solo la superficie delle tre figure attendeva una leggera lucidatura finale. Probabilmente la storia del gruppo scultoreo e l’assenza di un modello in gesso suggerirono agli eredi e agli allievi di Finelli che questo fosse il modo in cui l’artista voleva che il gruppo fosse visto, anche se questa non era la prassi usuale all’epoca. Inoltre, tutti i contemporanei sostenevano all’unanimità che il “non finito” delle Tre Grazie ne aumentasse notevolmente il fascino grazie alla delicatezza dello stile. Questi fattori lo hanno reso quel capolavoro che è. Così ne parlava nel 1854 Giuseppe Checchetelli nella sua monografia su Finelli: “E, a vero dire, questo gruppo gruppo è tal cosa che incanta, né saprei giudicare se quelle estremità non finite tolgano più che non aggiungano a quel velo di magia che tutto involge questo lavoro. Vedi le tre donzelle intrecciar leggiadre le braccia senza darsi studio della persona, perché la grazia non ha vezzi fittizi; contempli que’ volti ingenui, quella trasparente serenità di pensiero, ed a buon diritto esclami, senza d’esse niuna cosa, neppur la bellezza aver pregio nel mondo”.
Per realizzare le Tre Grazie, Finelli s’ispirò direttamente alla statuaria antica, soprattutto per quel che riguarda le due figure ai lati. Quella alla destra dell’osservatore assume la posa dell’Apollo con l’arpa conservato a Roma ai Musei Capitolini, con le gambe incrociate, il busto disteso e una disposizione del braccio del tutto simile. Dall’altro lato vediamo invece una figura che richiama il Satiro a riposo di Prassitele, con il braccio appoggiato sul fianco. La leggerezza del movimento e la delicatezza della parte superiore del corpo evocano l’arte contemporanea di Canova, anche se una sorta di “dignità” complessiva separa queste figure da quelle di Canova, molto più sensuali rispetto a quelle di Finelli, così come al contempo anche da quelle molto più severe di Thorvaldsen. Questa caratteristica, come anticipato, costituisce l’ideale caratteristico di Finelli, che sapeva interpretare la nobiltà e lo stile “grandioso” anche in opere di “soggetto gradevole”, impregnandole di un “carattere monumentale”, come osservò un critico contemporaneo, Quintilio Leoni.
Nelle precedenti Ore Danzanti, il moto della figura rifuggiva ogni affettazione grazie anche agli ideali filosofici visibili nei volti delle ore del giorno, con la prima figura che simboleggiava la gioia del mattino mentre l’ultima figura, volgendosi altrove, la malinconia della sera. In questo secondo gruppo marmoreo la nobiltà meditativa delle figure, insieme ai loro attributi, incarna lo stesso messaggio delle Tre Grazie in cui comprendiamo la potente forza civilizzatrice della poesia sull’umanità simboleggiata dalla cetra ma anche, e altrettanto importante, dagli emblemi della generosità della natura: “E nell’osservarle una coronata di fiori l’altra di spiche la terza di pampini”, scriveva Checchetelli, “ti persuadi che le grazie sono esse della natura, le quali allietano del lor riso l’uomo e la terra; che guidano sovressa bella di fiori la primavera, di messe la state, di uve l’autunno”.
Dopo la morte di Finelli, le Tre Grazie furono ereditate dal collezionista Filippo Massani, e alla scomparsa di quest’ultimo passarono alla famiglia Camuccini: da allora le Tre Grazie sono sempre rimaste proprietà dei Camuccini. Il pubblico ha potuto vederle esposte di recente alla mostra Dopo Canova tenutasi a Carrara, a Palazzo Cucchiari, nel 2017. L’opera, adesso, è sul mercato. Riuscirà un museo italiano ad acquistarla?