Lo scorso fine settimana, durante le Giornate Europee del Patrimonio 2023, è stata presentata una importante scoperta all’Aquila: nella chiesa di Santa Maria della Misericordia, situata nel Quarto di Santa Maria, uno dei quartieri del capoluogo dell’Abruzzo, vicino alla chiesa di San Silvestro, è stato infatti scoperto un notevole ciclo di affreschi del Cinquecento. Il ciclo è stato rivenuto nel corso dei lavori di restauro della chiesa (per la precisione nel secondo lotto dei lavori) iniziati nell’autunno del 2021, ed è emerso sotto l’apparato decorativo tardo-barocco.
I restauri servivano per riparare i danni subiti dagli altari della navata: quando sono state rimosse le parti lesionate della struttura settecentesca, si è subito arrivati alla scoperta di una serie di affreschi che si considerava perduta, apparsa invece, secondo gli esperti del Segretariato Regionale dell’Abruzzo del Ministero della Cultura, chiaramente leggibile e molto ben conservata. Ulteriori verifiche hanno quindi consentito di recuperare altre due opere in controfacciata, coperte dalle porte lignee di accesso alla cantoria. Sulla parete destra si possono adesso ammirare un Compianto sul Cristo morto e un San Girolamo penitente; in corrispondenza, nelle nicchie della parete opposta, ecco invece Gesù e la Samaritana al pozzo e un raffinato Sposalizio mistico di Santa Caterina. In controfacciata, invece, si trovano un’Allegoria dell’Immacolata Concezione e un Sant’Agostino (in corso di restauro) e un intenso Sant’Antonio da Padova con scene della sua vita. Ai piedi del Santo una data: MCCCCCXXXVIII (1538). Questi sono gli elementi che compongono il ciclo pittorico che, grazie alle fonti storiche, viene attribuito a Francesco da Montereale (Montereale, 1466 o 1475 – L’Aquila, 1541) e alla sua bottega (opera del pittore anche la Natività della Vergine, pala d’altare proveniente proprio dalla Misericordia e conservata al Museo Nazionale d’Abruzzo).
La lettura degli affreschi può cominciare dalla scena con Sant’Agostino e l’Immacolata Concezione, ambientata in una campagna aperta sul mare (con tanto di città portuale sullo sfondo). Agostino mostra il libro con la scritta “CONCEP/TA EST/ SINE M/ACVLA” riferita ovviamente alla Madonna, e sulla destra la Vergine inginocchiata in preghiera. In alto doveva trovarsi la figura del Padreterno con gli angeli, andata distrutta per far posto alla scala della cantoria. La presenza di questa particolare iconografia richiama un tema messo in discussione dalla Riforma avviata da Lutero con le 95 tesi di Wittenberg nel 1517. Il tema iconografico della nascita senza peccato della Vergine Maria (verso il quale anche l’imperatore Carlo V mostrava grande interesse anche per arrivare ad una soluzione dei conflitti politici tra i cattolici dell’Impero e i principi tedeschi) è qui accompagnato dalla figura di Sant’Agostino che doveva rappresentare l’esempio da seguire in quanto, oltre ad essere il primo teologo che parla della natura perfetta e speciale di Maria, si fece veicolo di precisi contenuti dottrinari che ebbero lo scopo di confutare le tesi eterodosse diffuse ai suoi tempi. Sant’Agostino, infatti, ribadì ripetutamente e con chiarezza i concetti della maternità fisica e insieme divina di Maria nonché la sua verginità, che ne fanno il simbolo della Chiesa, nello spirito vergine, per integrità e pietà, e madre nella carità.
All’interno della nicchia alla destra, uscendo della porta principale, si trova invece il Sant’Antonio da Padova con quattro episodi miracolosi della sua vita (il miracolo del piede riattaccato, quello del neonato che parla, quello del cuore dell’usuraio e quello della mula affamata: le storie fanno riferimento ai più famosi miracoli attribuiti al Santo e offrono oltre ad un campionario di peccati come la gelosia, l’avarizia, l’eresia, anche scorci di vita quotidiana). La figura del santo è incorniciata da due colonne classiche sopra le quali campeggia la scritta “ORA PRO NOBIS BEATE ANTONI” (“Beato Antonio, prega per noi”). Sul piedistallo alla base è ben in evidenza la data 1538. La presenza dell’affresco con sant’Antonio da Padova, pendant del Sant’Agostino con l’Immacolata, è da mettere in rapporto con il ruolo del santo, assertore del dogma dell’assunzione della Vergine, quale predicatore contro le eresie catara in Italia e albigese in Francia, tanto da prendere il soprannome di “Martello degli eretici”.
Si osserva poi la scena raffigurante l’incontro di Gesù con la Samaritana presso il pozzo di Sicar, narrato nel Vangelo di Giovanni. La scena sacra raffigurata in primo piano con Cristo, la giovane donna e il pozzo al centro, risulta quasi un pretesto per raccontare la vita al di fuori delle mura di una grande città. Alle spalle dei protagonisti si apre una larga visuale tra una ricca pianura con sullo sfondo un gruppo di alte vette montuose. La vera del pozzo in primo piano è il fulcro della composizione e si caratterizza per una dettagliata descrizione degli elementi decorativi, tratti dal repertorio classico antico, dove festoni floreali sono intervallati da teste di ariete.
Allo stesso artista della scena della Samaritana al pozzo, sul lato opposto della navata della chiesa, si deve anche l’affresco raffigurante la penitenza di San Girolamo. La scena descrive in un paesaggio roccioso, il santo, raffigurato come da tradizione nelle vesti di eremita mentre si percuote il petto con una pietra, è in ginocchio ed è rivolto verso un crocifisso fissato sul terreno brullo; ai suoi piedi si vedono gli abiti e il cappello da cardinale, simbolo della rinnegazione degli onori terreni. Sopra il protagonista si apre un ampio paesaggio, nel quale oltre alla scena del leone (al quale il santo estrae una spina dalla zampa e che da quel momento diventa suo compagno inseparabile), si vedono alcune scenette il cui significato, secondo gli studiosi che hanno avuto modo di osservare l’opera, non è particolarmente chiaro. Sulla sinistra alcuni marinai scendono da imbarcazioni per accendere un fuoco su una spiaggia deserta, mentre sulla destra, sopra un rilievo si distingue una forca dalla quale pendono due malcapitati, ai piedi dei quali delle figure a cavallo sembrano dialogare con un pellegrino.
L’affresco nella nicchia del secondo altare cinquecentesco a destra della navata raffigura invece il Compianto sul Cristo morto. Il corpo di Gesù, deposto dalla croce, giace su una roccia sorretto da San Giovanni, con attorno le figure della Madonna, della Maddalena e di altre due donne, e all’interno del sepolcro si possono notare Giuseppe d’Arimatea e Nicodemo. La scena si svolge ancora una volta sullo sfondo di un largo paesaggio tra le montagne, dominato da una grande città cinta da mura. Grazie all’atto notarile stipulato dal notaio Grascia dell’Aquila il 14 marzo 1536, sappiamo che l’affresco venne commissionato da un certo Giovan Battista di Cristoforo al pittore Marin Pietro di Giovanni Marino Ciccarone, artista molto probabilmente formatosi nella bottega di Francesco da Montereale.
La scena dello Sposalizio mistico di santa Caterina vede i tre protagonisti del tema iconografico (la Madonna, Gesù Bambino e santa Caterina: secondo un testo medievale, Caterina, dopo esser stata battezzata, ebbe la visione della Madonna con in grembo il bambino Gesù che le infilò al dito un anello, facendola sua sposa) affiancati da altri santi, in questo caso san Giacomo maggiore con il bordone, il cappello da pellegrino e un libro aperto. Alle spalle della scena principale un pesante panneggio occupa la parte destra, mentre a sinistra si apre un rigoglioso paesaggio sovrastato da una città e una rocca cinte da mura con torrioni, nel quale si svolge la scena del battesimo di Cristo. Particolarmente ben conservato, l’affresco si caratterizza per la vivacità dei colori ma soprattutto per la tecnica molto raffinata nella resa delle figure, attribuibili alle abilità pittoriche di Francesco da Montereale, attivo in questo cantiere nel 1538. Interessanti e pressoché integre sono anche le decorazioni a grottesche che incorniciano la nicchia. Un particolare tipo di decorazione pittorica parietale, che affonda le sue radici nella pittura romana di epoca augustea e che fu riscoperto e reso popolare a partire dalla fine del Quattrocento. La decorazione a grottesca è caratterizzata dalla raffigurazione di esseri ibridi e mostruosi, chimere, spesso ritratti quali figurine esili ed estrose, che si fondono in decorazioni geometriche e naturalistiche, strutturate in maniera simmetrica, su uno sfondo in genere bianco o comunque monocromo.