Il giovane Antonello da Messina lavorò al Trionfo della Morte di Palermo? L'ipotesi dello studioso


Il giovane Antonello da Messina fu coinvolto nella realizzazione del Trionfo della Morte di Palermo, uno dei più celebri affreschi del Quattrocento, di cui ancora non conosciamo l’autore? Lo ipotizza il giovane studioso Riccardo Prinzivalli.

Il giovane Antonello da Messina potrebbe essere stato coinvolto nella realizzazione del Trionfo della Morte di Palermo, uno dei più rinomati affreschi del XV secolo? Questa l’ipotesi del giovane storico dell’arte Riccardo Prinzivalli, dottorando in storia dell’arte all’Accademia di Belle Arti di Palermo che ha appena pubblicato un paper sulla rivista scientifica Papireto per illustrare la sua idea.

La storia antica dell’affresco è piuttosto nota (ne abbiamo parlato nell’ultimo numero di Finestre sull’Arte Magazine in un articolo dedicato all’opera): anticamente, l’affresco decorava il cortile di Palazzo Sclafani, che nel 1430 venne trasformato in un ospedale (l’Ospedale Grande e Nuovo). Fu proprio a seguito della trasformazione in ospedale dell’antico palazzo nobiliare che venne eseguito il dipinto (forse attorno al 1446, secondo buona parte della critica), che faceva probabilmente parte di un ciclo più ampio sul tema dei “novissimi”, ovvero i momenti che attendono l’uomo alla fine della vita terrena (morte, giudizio universale, inferno e paradiso). Durante la seconda guerra mondiale, coi bombardamenti che devastarono Palermo, anche l’affresco subì pesanti danni, e fu staccato ricoverato dapprima a Palazzo Pretorio, fu infine spostato nel 1954 alla Galleria Regionale di Palazzo Abatellis, dove si vede tuttora. Non sappiamo però chi abbia dipinto l’opera. Le ricerche di Riccardo Prinzivalli propongono di collegare quest’opera a una possibile collaborazione tra l’ancora ignoto “Maestro del Trionfo della Morte” e un giovane Antonello da Messina (Messina, 1430 circa – 1479), all’epoca agli inizi della sua carriera.

L’opera raffigura la morte come uno scheletro a cavallo, armato di arco e frecce, che incombe su una scena popolata da personaggi di varia estrazione sociale: mendicanti, nobili, religiosi e figure allegoriche. Lo sfondo è un hortus conclusus, un giardino simbolico che richiama sia l’Eden perduto che la caducità della vita. La scena è un concentrato di riferimenti culturali, iconografici e stilistici che spaziano dall’influenza della pittura fiamminga e borgognona all’arte italiana del tempo. La rappresentazione di figure come i penitenti francescani, i poveri e i nobili sottolinea un messaggio morale e religioso, evidenziando forse i contrasti tra la vanità terrena e l’inevitabilità della morte. Dell’opera, tuttavia, sono state fornite svariate letture (rimandiamo all’articolo sul nostro cartaceo per maggiori informazioni).

Un aspetto interessante è la possibile presenza di due autoritratti nell’affresco. Due figure a sinistra, un maestro e un giovane assistente, sono stati interpretati come i ritratti degli stessi autori, ipotesi che secondo Prinzivalli, come si vedrà, rafforzerebbe il legame tra Antonello e l’opera. Questo dettaglio, insieme alla qualità stilistica di alcune figure, rende a suo avviso plausibile il coinvolgimento del giovane pittore messinese, che all’epoca stava assimilando influenze stilistiche da maestri napoletani e fiamminghi.

Artista ignoto, Trionfo della morte (1446; affresco staccato, 600 × 642 cm; Palermo, Galleria Regionale di Palazzo Abatellis)
Artista ignoto, Trionfo della morte (1446; affresco staccato, 600 × 642 cm; Palermo, Galleria Regionale di Palazzo Abatellis)

Le influenze culturali e stilistiche dell’affresco

Il Trionfo della Morte riflette la cultura visiva del XV secolo, caratterizzata da un complesso intreccio di influenze. “Gli studi più recenti”, scrive Prinzivalli nel suo paper, “hanno evidenziato che il Trionfo della Morte è stato realizzato in un peculiare contesto culturale che gravitava tra Spagna, Palermo e Napoli, all’interno delle corti di Renato d’Angiò e Alfonso V che avevano intessuto legami con la Borgogna e la Provenza, dando vita a un ambiente raffinato e internazionale in cui è stata ipotizzata la presenza di artisti come Barthélemy d’Eyck e Jean Fouquet. Roberto Longhi aveva pensato a una maestranza catalana e avanzato il nome di Bernat Martorell, dal canto suo Stefano Bottari ha osservato delle analogie con la pittura della cerchia di Pisanello e dell’Officina ferrarese di Cosmé Tura e Francesco del Cossa. Nel confronto tra la formazione napoletana di Colantonio e quella del Maestro del Trionfo della Morte, Evelina De Castro ha rilevato una cultura figurativa comune ai due maestri, riconoscibile dalla forte influenza della pittura iberica e fiamminga nella Napoli della metà del XV secolo, sottolineando al contempo chiare differenze stilistiche tra i due pittori, dei quali Colantonio sembra più legato ai modelli fiamminghi mentre il Maestro del Trionfo, forse più anziano, sembra guardare allo stile gotico internazionale di area iberica. Nicole Reynaud ha invece proposto di recente il nome di Barthélémy d’Eyck, accostando al Trionfo le immagini dei duchi angioini raffigurati nella vetrata del transetto nord della cattedrale di Le Mans e del manoscritto miniato Livre des propriétés des choses”.

Gli studi recenti sottolineano come la tecnica pittorica del maestro anonimo fosse sofisticata e innovativa. Il disegno preparatorio a sinopia, le finiture a secco e l’uso di pigmenti pregiati come l’azzurrite e il cinabro evidenziano un approccio tecnico avanzato. La combinazione di stili e tecniche suggerisce una bottega cosmopolita, capace di dialogare con le principali correnti artistiche europee.

Le analogie con altre opere del periodo, come gli affreschi con le Storie di San Bernardino nella cappella La Grua Talamanca di Palermo e le tavolette dei Beati francescani (opere per le quali è stata proposta da Fiorella Sricchia Santoro l’attribuzione ad Antonello da Messina), rafforzano l’ipotesi di una continuità stilistica tra il Maestro del Trionfo della Morte e un ambiente artistico legato alla committenza francescana. In particolare, la resa grafica e la disposizione delle figure in queste opere richiamano elementi presenti anche nella produzione giovanile di Antonello da Messina.

Dettaglio
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Il legame tra Antonello e il Maestro del Trionfo della Morte

La possibilità che Antonello abbia collaborato con il Maestro del Trionfo della Morte non è nuova: già nel 1981 Salvatore Tramontana aveva ventilato la possibilità di un coinvolgimento di Antonello nell’impresa. Secondo Prinzivalli, quest’idea trova supporto in diverse analisi stilistiche e documentarie. Nato a Messina intorno al 1430, Antonello si formò a Napoli sotto l’influenza del maestro Colantonio, dove entrò in contatto con la pittura fiamminga, franco-borgognona e provenzale. Questo ambiente multiculturale lasciò un’impronta duratura sul suo stile, caratterizzato da un’attenzione al dettaglio e una raffinata resa luministica.

Il legame con il Trionfo della Morte potrebbe essere spiegato dalla vicinanza geografica e culturale di Antonello all’ambiente palermitano. Ci sono intanto, secondo Prinzivalli, tangenze storiche: Vasari scriveva infatti che Antonello fu a Palermo, notizia di cui non abbiamo riscontro certo ma che era stata ritenuta verosimile già da Ferdinando Bologna, secondo il quale il giovane Antonello dovette vedere il Trionfo della morte quando era ancora in esecuzione, rimanendone influenzato. “Bologna individua nei brani realistici dell’affresco quelli dai quali il messinese doveva aver tratto le impressioni più vivaci”, scrive Prinzivalli, “come nella parte inferiore sinistra con i mendicanti, dove avverte in misura maggiore un collegamento con la prima fase di Colantonio, affermando che chi ha realizzato il volto del cieco con il camauro doveva aver visto il San Girolamo del pittore napoletano. Un collegamento che lo studioso indica in forza ai legami con la componente borgognone-provenzale della quale l’arte napoletana del momento era intrisa”. Sempre secondo Bologna, il luogo dove la cultura figurativa borgognona e quella catalana si incontrano era la Napoli della prima attività di Colantonio, laddove s’era formato Antonello da Messina (lo studioso tuttavia riteneva che l’ignoto maestro provenisse dalla Spagna, in particolare dal nord-est della penisola iberica, e che fosse in contatto con la cultura di Bernat Martorell).

“Le prime opere di Colantonio e di Antonello”, scrive Prinzivalli, “sono spesso accostate a quelle di artisti stranieri di cui non si ha ancora certezza di una loro presenza a Napoli, nonostante i diversi indizi che lo suggeriscano, come la sorprendente ascendenza di alcuni di questi dipinti con quelli napoletani”. Tra queste opere, Prinzivalli individua il San Girolamo e il San Francesco che consegna la regola di Colantonio, e il Trittico dell’Annunciazione attribuito a Barthélemy d’Eyck e realizzato per la cattedrale di Aix-en-Provence. Le caratteristiche di quest’ultimo dipinto, in particolare, sarebbero state “avidamente assimilate dalla pittura di Colantonio, compresa la resa grafica delle figure umane, degli oggetti e degli ambienti”, mentre in Antonello “appaiono sensibilizzate alla sintesi formale e alle novità prospettiche e luministiche emergenti in Italia, in particolare a quelle maturate da Piero della Francesca e alle esperienze fiorentine e romane di Jean Fouquet”.

Esempio di questa fase dell’opera di Antonello sarebbe la Vergine leggente del Museo Poldi Pezzoli di Milano, la cui attribuzione è comunque dibattuta. Secondo Prinzivalli sarebbe tuttavia opera rilevante per riscontrare analogie con le figure dei mendicanti del Trionfo e con le monache dell’affresco della cappella La Grua Talamanca: confrontando le opere, scrive il giovane studioso, “si può notare come la tipologia dei volti e la resa dei panneggi negli abiti, morbidi e ben delineati, con pieghe incurvate, non spigolose, rimandi subito al copricapo della Vergine e al suo viso sottile ed espressivo con il particolare taglio degli occhi e le palpebre lievemente cadenti, compresi i lineamenti dei visi e delle vesti degli angioletti reggi corona posti ai lati. In entrambe le opere i corpi e i visi sono ben proporzionati, incredibilmente espressivi e stilisticamente conformi tra di loro e alle esperienze della contemporanea pittura centromeridionale. Questo accostamento sembra possibile allo stesso modo nelle sembianze dei personaggi rappresentati nella cappella la Grua Talamanca, nei Beati Francescani e tra i mendicanti del Trionfo, nei quali ritroviamo delle relazioni anche nelle pose di tre quarti e soprattutto nell’aderenza del segno grafico e degli stilemi che possono identificare il giovane maestro”. L’effetto complessivo, sostiene Prinzivalli, “conferisce un’inconfondibile senso di umanità ai volti e agli sguardi dei personaggi, resi nelle diverse opere con atteggiamenti e sembianze familiari, non idealizzate, sia nelle pose quiete che in quelle pietose e dolenti, ponendo l’osservatore in una particolare relazione con l’opera”.

Raffronti simili, a parere dello studioso, potrebbero esser avanzati per quel che riguarda i panneggi degli abiti, che nei Beati francescani presentano una sorprendente affinità con le rappresentazioni dei mendicanti nel Trionfo (secondo Prinzivalli, i mendicanti sono stati realizzati dallo stesso pittore attivo in Santa Maria di Gesù, e poi dopo rifiniti a tempera dal maestro che ha dipinto il resto dell’opera), oppure le mani, elemento spesso reso da Antonello in maniera singolare (nella prima fase della sua carriera sono allungate in maniera irrealistica, il che denoterebbe l’influsso di opere fiamminghe, franco-borgognone e provenzali).

Un elemento particolarmente suggestivo riguarda il possibile autoritratto di Antonello da Messina. Un’analisi forense condotta nel 2021 da Chantal Milani ha confrontato il volto del giovane pittore rappresentato nel Trionfo della Morte con il celebre Ritratto d’Uomo conservato alla National Gallery di Londra. I risultati, secondo Prinzivalli, suggeriscono una moderata compatibilità tra i due volti, indicando che potrebbero effettivamente rappresentare la stessa persona. Sebbene non si tratti di una prova definitiva, “certamente è inverosimile”, scrive Prinzivalli, “che questa somiglianza tra le due figure possa essere soltanto il frutto di una straordinaria casualità e si tratta comunque di un risultato davvero sorprendente e che non può essere trascurato se si considera che esiste la possibilità che i due volti messi a confronto raffigurino lo stesso soggetto pur potendo essere chiunque. Sommando a queste conclusioni i riscontri documentari sull’autoritratto di Londra e quelli sugli affreschi palermitani esposti in questo studio, si rafforza l’ipotesi e aumentano le probabilità che quei volti, già a prima vista così somiglianti nonostante il differente linguaggio pittorico, siano della stessa persona”.

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Antonello da Messina (attr.), Beato Galbazio, particolare; Antonello da Messina (attr.), Vergine leggente, particolare; Maestro del Trionfo della Morte, Trionfo della Morte, particolare; Antonello da Messina (attr.), Beato Giovanni, particolare
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Antonello da Messina (attr.), Beato Raineri, particolare; Autore ignoto, Storie di S. Bernardino da Siena, particolare; Antonello da Messina, Visita dei tre angeli ad Abramo, particolare; Autore ignoto, Storie di S. Bernardino da Siena, particolare; Antonello da Messina, Visita dei tre angeli ad Abramo, particolare
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Un capolavoro unico (e il ruolo di Antonello)

Il Trionfo della Morte rappresenta un unicum nella pittura siciliana del Quattrocento, una sintesi straordinaria di influenze culturali e artistiche. L’opera riflette il dialogo tra diverse tradizioni, dalla pittura fiamminga al gotico internazionale, passando per le prime manifestazioni del Rinascimento italiano. Il coinvolgimento di Antonello da Messina potrebbe aggiungere una nuova dimensione alla comprensione di questo capolavoro.

Se Antonello fosse davvero stato un collaboratore del Maestro del Trionfo della Morte, questo episodio rappresenterebbe una tappa fondamentale nella formazione del pittore, segnando il punto di partenza per una carriera che lo avrebbe reso uno dei protagonisti del Rinascimento italiano. L’affresco, a sua volta, emerge come il prodotto di una bottega internazionale, capace di fondere tradizione e innovazione in un’opera che continua a esercitare un fascino immutato. Chissà se il mistero sull’autore verrà mai svelato: certo è che per prendere la via dello scioglimento servirà studiare anche le direttrici indicate da Prinzivalli.


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