Al Museo Galileo di Firenze si è concluso un importante intervento di restauro su di un prezioso Globo celeste del XVII secolo dedicato ai Signori delle Province Unite del Belgio, realizzato da Jodocus Hondius Jr. e Adrian Veen nel 1613. L’intervento, durato sei mesi, è stato reso possibile grazie al contributo di Friends of Florence, attraverso il dono di Catharin Dalpino, che lo ha dedicato al padre, Lt Col. Milton DalPino. Il restauro è stato realizzato da L’Officina del Restauro, sotto la direzione scientifica del Museo Galileo e l’alta sorveglianza della Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio per la Città Metropolitana di Firenze e le Province di Pistoia e Prato.
Presentato nel 2020 alla V edizione del Premio Friends of Florence Salone dell’Arte e del Restauro, il progetto è subito partito dopo che è stato trovato il donatore: i lavori di restauro del Globo hanno consentito il recupero della piena leggibilità iconografica dell’opera, restituendo vividezza ai colori e alle stampe. Hanno inoltre offerto l’occasione per approfondire la conoscenza della tecnica esecutiva.
“Il Museo”, sottolinea Francesco Saverio Pavone, presidente del Museo, “è felice e onorato di aver offerto l’occasione per questa importante iniziativa, resa possibile non solo per l’azione dell’associazione Friends of Florence e della donatrice Catharin Dalpino, ma anche grazie ai restauratori che hanno potuto, tra l’altro, fornirci indicazioni uniche sulla fattura dell’opera e sulle sue modalità costruttive. Mi auguro che tali sinergie fra enti e associazioni, insieme alle importanti competenze messe in campo dal Museo e dalla Soprintendenza, possano ripetersi in futuro su altre opere altrettanto preziose”.
“Il Museo Galileo di Firenze”, ha dichiarato Simonetta Brandolini d’Adda, presidente di Friends of Florence, "è un luogo davvero affascinante: attraverso i documenti e gli strumenti che conserva racconta quanto la corte toscana, ai tempi dei Medici e dei Lorena, sia stata promotrice della scienza moderna. “Attraverso le sue sale espositive, ci narra una storia che è parte fondamentale della nostra cultura. Il restauro del Globo Celeste, il primo progetto che la nostra fondazione ha sostenuto all’interno del Museo, è stato un’esperienza di conservazione e scoperta davvero straordinaria, e conferma quanto l’arte e la scienza siano profondamente legate. A nome di Friends of Florence ringrazio la donatrice Catharin Dalpino per aver sostenuto l’intervento, il Museo Galileo per averci offerto l’opportunità di salvaguardare un’opera testimonianza della scienza universale, la Soprintendenza per averci guidati nel progetto e i restauratori per averlo condotto con meticolosa attenzione”.
La collaborazione con il Museo Galileo proseguirà anche nei prossimi mesi in occasione del restauro della Sala delle Carte Geografiche in Palazzo Vecchio e del Globo terrestre di Egnazio Danti lì custodito. Il Museo fornirà la consulenza storico-scientifica indispensabile per la corretta esecuzione del lavoro di restauro e realizzerà la ricostruzione virtuale della Sala secondo il progetto originale di Giorgio Vasari e del Globo, pesantemente danneggiato da restauri e rifacimenti a partire dal XVI secolo. Un sito web dedicato renderà possibile l’esplorazione virtuale del Globo e dell’intera Sala.
La produzione cartografica conobbe un intenso fervore nel primo Seicento. Le scoperte geografiche erano all’ordine del giorno e significavano la nascita di nuovi mercati e vie commerciali. Mappe e globi erano perciò oggetti ricercati, che richiedevano un costante aggiornamento. Perciò, la realizzazione e vendita di questi strumenti scientifici potevano apportare cospicui guadagni ai loro fabbricanti. Porto vitale nelle prospettive di indipendenza politica e economica delle Province Unite dei Paesi Bassi dalla corona di Spagna, Amsterdam vide competere fra loro ben tre dinastie di cartografi: i van Langren, gli Hondt e i Blaeu. A cavallo fra Cinque e Seicento, nell’arco di circa sei anni, la competizione si tradusse nella comparsa di ben diciassette edizioni di globi, ciascuna proclamata, ovviamente, superiore a tutte le precedenti. Nel 1611, Joost de Hondt, o Hondius (1563-1612), stabilita la preminenza sui van Langren, iniziò a lavorare a una coppia di globi, celeste e terrestre, del diametro di 21 pollici (53,5 cm). Dopo la sua morte, il lavoro fu completato dal figlio Jodocus Hondius “il Giovane” (1593-1629) e da Adriaen Veen (n. 1572). I fusi del globo celeste apparvero nel 1613, come indica un cartiglio con la dedica ai signori delle Province Federate del Belgio.
Il globo è costituito da 12 fusi, ovvero fasce di carta della larghezza massima di circa 14 cm, divisi in due parti ciascuno, e da due calotte circolari. Questi elementi cartografici sono applicati con precisione millimetrica sulla superficie di una sfera. Le figure delle costellazioni sono “illuminate”, vale a dire colorate, dopo il montaggio e protette da un velo di lacca. La rappresentazione cartografica è del tipo “convesso”: le costellazioni sono cioè mostrate come apparirebbero a un ipotetico osservatore collocato all’esterno della sfera celeste. Questo significa che le figure e i relativi asterismi appaiono speculari rispetto a come si vedono nel cielo notturno. La rappresentazione si rifà inoltre allo stile cartografico della dinastia rivale dei Blaeu. Compaiono tutte le costellazioni descritte da Claudio Tolomeo (II sec. d.C.) nell’Almagesto, con poche varianti; per esempio, i cheliceri dello Scorpione sono trasformati nella costellazione zodiacale indipendente della Bilancia. Si notano inoltre le costellazioni dell’emisfero australe tracciate dall’esploratore Frederick de Houtman (1571-1627). Le posizioni delle stelle a nord del tropico del Capricorno non recuperano quelle tradizionali dell’Almagesto, ma si rifanno alle misurazioni, molto più precise, di Tycho Brahe (1546-1601). Il ritratto di questo astronomo danese compare in un apposito cartiglio, a garanzia dell’accuratezza scientifica dei dati utilizzati.
Sono al momento solo due i globi celesti di Hondius e Veen del 1613 sottoposti a interventi di restauro. Fra il 1992 e il 1995, Sylvia Sumira ha lavorato al globo gravemente deteriorato dello Scheepvaart Museum di Amsterdam. Lucia e Andrea Dori hanno invece restaurato il globo del Museo Galileo. È da notare che, salvo il diametro di 53,5 cm della sfera che fa da supporto alla cartografia, la struttura interna dei due globi è radicalmente differente: due emisferi cavi congiunti nel primo caso, abbinati a un asse interno con una crociera di rinforzo; un singolo guscio sferico nel caso del Museo Galileo, abbinato a un asse semplice. Il globo, come ricordato sopra, è dedicato ai signori delle Province Unite del Belgio e riporta le stelle osservate da Tycho Brahe e quelle antartiche rilevate da Pietre Diercksz Keyser e Frederick de Houtman. La proiezione è convessa e i nomi delle costellazioni sono prevalentemente in latino. Al di sotto della costellazione di Ceto è disegnato il ritratto di Tycho Brahe.
Nel caso del globo celeste del Museo Galileo, la palla è stata costruita partendo da una forma sferica di dimensioni più piccole di pochi millimetri e di materiale sconosciuto ai restauratori che hanno condotto l’intervento, sulla quale, dopo la stesura di un probabile agente distaccante, sono stati applicati con colla proteica ben diciannove strati di carta. Una volta asciutta la cartapesta, è stata praticata un’apertura ovale (di 12 centimetri lunghezza e 10 di larghezza) ed è stato asportato il materiale all’interno semplicemente frantumandolo e facendolo uscire dall’apertura provocata in precedenza. A questo punto è stato inserito l’asse di legno di rovere lavorato al tornio alle cui estremità sono stati fissati i perni in ottone. Il globo con il relativo coperchio sono stati quindi riuniti con colla e all’interno del foro con una striscia di carta che le indagini hanno dimostrato essere carta di cotone e lino collata con colla animale.
Avendo potuto osservare l’interno, specificano Lucia e Andrea Dori, “abbiamo verificato la presenza di stampe di libro e precisamente di una edizione di un testo di Paolo di Castro In Primam Infortiati Partem Commentaria. I fusi di carta sono 12 e due calotte a foglio unico e sono stati stampati da lastre di rame incise a bulino. Dopo la collatura della carta sono state colorate le costellazioni con pigmenti e coloranti con legante probabilmente a base di gomma arabica: rosso a base di minio, verdi a base di rame e coloranti e terre per i gialli e i marroni. La verniciatura del globo con resine naturali, gommalacca o altro accentuava la saturazione dei colori e delle stampe e ne permetteva l’uso manuale senza danni alla superficie. L’anello meridiano è di ottone ed è mancante del circolo orario”. Il cerchio dell’orizzonte non è originale ed è montato su una base di legno di tipo olandese con quattro colonnine tortili e un piede centrale dove si appoggia il meridiano.
Il globo presentava problematiche inerenti essenzialmente ai restauri pregressi. “La ricerca di documentazione”, spiegano i restauratori, “non ha prodotto purtroppo risultati positivi e siamo passati quindi all’osservazione e alle indagini diagnostiche non invasive. La fluorescenza ultravioletta ha evidenziato la presenza di patine non fluorescenti dovute probabilmente a colle pigmentate e vernici cerose con pennellate visibili e disordinate. L’infrarosso falso colore ci ha dato informazioni sui colori e sulle loro possibili composizioni mentre l’infrarosso riflesso ha messo in evidenza la stampa senza sovrapposizioni di altra natura. Ma è la radiografia che ha dato i risultati più sorprendenti, confermando la costruzione della sfera intera e non riscontrando alcuna frattura o separazione al difuori dell’apertura visibile al polo sud di cui abbiamo parlato in precedenza. Dalla radiografia è infatti emersa la sagoma di un ramo con due incarti alle sue estremità di cui ancora non sospettavamo il contenuto”.
La superficie del globo, fanno sapere Lucia e Andrea Dori, presentava almeno due depressioni dovute sicuramente a traumi meccanici o cadute accidentali e alcune zone dove erano evidenti sfregamenti e graffi che mettevano in risalto l’interno della carta. In generale l’alterazione dei materiali soprammessi rendeva poco leggibili le stampe e le costellazioni, e la loro disomogeneità creava zone di colorazione diversa. L’assorbimento del particellato atmosferico da parte delle patine a base cerosa rendeva più cupa e scura la superficie della carta. E come spesso accade in oggetti simili, la parte più sporca e ingrigita era quella dell’emisfero boreale mentre quello australe presentava più danni meccanici dovuti proprio alla posizione. Molto visibile al polo sud il coperchio di carta originale tenuto in sede da una striscia di carta scurita e incollata su tutta la sua circonferenza, mentre il cerchio dell’orizzonte in ottone non presentava particolare ossidazione o danni di rilievo ma solo sporco superficiale e impronte di sostanze grasse. La fascia dell’orizzonte, di legno come la base di fattura forse riferibile al secolo scorso, molto ondulata per il probabile uso di legno non stagionato assemblato in maniera non ortodossa, aveva subito sicuramente una manutenzione precedente.
Il globo di Hondius e Veen è stato dapprima sottoposto a una campagna di indagini diagnostiche, dopodiché è stato programmato l’intervento con inizio delle operazioni di pulitura eseguendo i test preliminari per individuare i solventi idonei alla solubilizzazione delle sostanze presenti sulla superficie della carta. Al di sotto era presente un ulteriore strato di deposito superficiale e residui di collante proteico che sono stati asportati fino alla soglia di sicurezza, per non impoverire le carte, con metilcellulosa in acqua deionizzata a pennello e tamponcino. La pulitura, delicata e selettiva, ha permesso il recupero delle tonalità originali delle costellazioni dipinte di giallo, rosso, verde, azzurro, marrone e della bellezza delle stampe dove adesso è evidente l’uso del bulino, con segno definito e pulito, per l’incisione delle lastre di rame.
Durante la pulitura è stata evidenziata la ripatinatura giallo/marrone della parte del coperchio originale di cartapesta incollato all’apertura tramite una striscia di carta. I restauratori hanno effettuato una prova di asportazione della striscia di carta con metilcellulosa in acqua deionizzata e dopo l’avvenuto rigonfiamento, con bisturi e strumenti meccanici. “Sotto la carta”, spiegano Lucia e Andrea Dori, “abbiamo trovato l’apertura del foro che è stata riaperta probabilmente in un restauro precedente come abbiamo verificato in seguito. Insieme alla Direzione Lavori, per poter riposizionare il coperchio di carta in maniera più consona e precisa, si è deciso di asportare completamente la striscia di carta e sollevare il tappo per vedere anche l’interno del globo. Con grande sorpresa abbiamo quindi osservato la sfera come abbiamo descritto nella sezione sulla tecnica costruttiva e nello stesso tempo abbiamo verificato la natura e lo spessore degli strati che compongono la cartapesta. Altra grande sorpresa è stata la scoperta del ramoscello di legno di salice, inserito fresco in modo che si potesse piegare, alle cui estremità erano legati due cartocci di carta paglia che servivano probabilmente per migliorare una depressione della carta. Ovviamente questo ha confermato che la riapertura del coperchio di carta era stata effettuata durante un restauro di cui non avevamo notizia. Dopo la decisione di togliere questo ramoscello dall’interno, perché non più utile e non facente parte della struttura originale, si è deciso di aprire i cartocci di carta paglia per cercare notizie sull’intervento”.
Proprio all’interno del cartoccio più grande è stato trovato un pezzo di giornale piegato con la data del 24 dicembre del 1942, indizio che data il restauro sicuramente in quegli anni. Insieme al giornale era piegato una porzione di un incarto originale di fili da cucito della marca Cucirini Cantoni Coats, incarto servito per formare anch’esso il cartoccio. L’interno del globo ora visibile e in particolare la posizione molto precisa delle carte di libro all’interno, ha confermato l’ipotesi che lo strato visibile è il primoapplicato sulla sfera adoperata per controforma: probabilmente per avere lo stesso spessore di cartapesta i costruttori avranno calcolato al millimetro come e in che forma incollare i vari strati di materiale cartaceo.
“Per confermare l’originalità dell’apertura e della carta incollata ai margini del foro”, spiegano i professionisti, “abbiamo effettuato un prelievo della carta grigia e della colla che sono stati esaminati chimicamente: la carta è una carta antica a base di cotone e lino collata con colla animale e la colla è a base di caseina. Finite le operazioni di pulitura si è proceduto alla fermatura di alcuni sollevamenti di carta con metilcellulosa al 4% in acqua deionizzata e alla integrazione delle poche mancanze di supporto cartaceo con lo stesso collante e carta giapponese. L’apertura è stata richiusa incollando il coperchio sfruttando la stessa colla presente sullo spessore semplicemente inumidendola e facendola riattivare; dopo l’asciugatura si è applicato sul perimetro di giunzione delle due parti uno stucco a base di polvere di cellulosa, gesso, Klucel G in alcol etilico e in seguito l’integrazione con carta giapponese dove necessaria”.
Il restauro pittorico, dopo la saturazione degli inserti con lo stesso materiale adoperato per l’incollaggio, è stato eseguito con acquerelli in sottotono per le parti ricostruite e per le colorazioni delle costellazioni. Infine si è proceduto con la gerniciatura, dopodiché con la pulitura dell’orizzonte e della base di legno, ulteriormente poi disinfestate.