Che cosa sappiamo veramente su Caterina, la madre di Leonardo da Vinci? Ha suscitato grande scalpore, ieri, la notizia del ritrovamento, da parte dello storico e filologo Carlo Vecce, dell’atto di liberazione di una schiava circassa, di nome Caterina, rogato il 2 novembre 1452 dal padre di Leonardo, il notaio Piero da Vinci. Vecce, docente all’Università di Napoli L’Orientale, con già all’attivo pubblicazioni su Leonardo da Vinci, e riconosciuto come studioso autorevole, ha annunciato di aver ritrovato il documento presso l’Archivio di Stato di Firenze, e di aver tessuto attorno alla storia della probabile madre di Leonardo un romanzo intitolato Il sorriso di Caterina. La madre di Leonardo, edito dalla casa editrice Giunti (l’annuncio della scoperta è stato dato nel corso di una conferenza stampa di presentazione del libro). Il libro mescola fatti e fiction e includerà anche il documento appena ritrovato.
Durante la presentazione del volume, Vecce ha dichiarato di aver optato per un approccio in stile docu-fiction per fare in modo che la scoperta arrivi a più persone possibili, anche se, raggiunto telefonicamente dal New York Times, ha fatto sapere che è in preparazione un articolo scientifico sull’argomento. Molte le domande che la notizia ha suscitato presso il pubblico: si tratta davvero di una novità? È davvero una “scoperta storica di rivoluzionaria importanza” come ha detto il direttore editoriale di Giunti, Antonio Franchini, in un giudizio condiviso da un altro studioso autorevole, Paolo Galluzzi, accademico dei Lincei? Su quale base l’atto firmato dal padre di Leonardo avalla la conclusione che la Caterina citata nel documento, dove è detta “filia Jacobi eius schiava seu serva de partibus Circassie” (“figlia di Jacob e schiava ovvero serva di origine circassa”), sia proprio la madre di Leonardo da Vinci?
Possiamo partire proprio dalle novità della scoperta di Vecce. L’esistenza dell’atto, rogato a Firenze il 2 novembre del 1452, era già nota: viene infatti menzionato nelle Ricordanze di Francesco di Matteo Castellani, cavaliere fiorentino del Quattrocento, genero di Palla Strozzi (uno degli uomini più ricchi della Firenze rinascimentale) avendone sposato la figlia Ginevra, e figura interessante agli occhi degli storici contemporanei soprattutto per i rapporti che ebbe con alcune delle più illustri personalità del suo tempo (come Luigi Pulci e Lorenzo il Magnifico). Nel libro dei ricordi di Castellani si legge che “Ser Piero d’Antonio di ser Piero [il padre di Leonardo, nda] fu rogato della liberatione della Catherina balia della Maria, facta per monna Ginevra d’Antonio Redditi, patrona di detta Caterina e donna di Donato di Filippo di Salvestro di Nato, a dì 2 di novembre 1452, posto che la carta per errore dice a dì 2 di dicembre e così la less’io, Francesco Matheo Castellani, questo dì 5 di novembre 1452”.
Cosa accade dunque il 2 novembre 1452? Una certa Ginevra d’Antonio Redditi, moglie (“donna”) di Donato di Filippo di Salvestro di Nato (o Donato di Filippo di Salvestro Nati) decide di liberare una sua schiava di nome Caterina, che faceva da balia alla figlia di Ginevra, Maria. Castellani, che ha modo di vedere il documento tre giorni dopo, il 5 novembre, si accorge che ser Piero da Vinci ha però sbagliato data, avendo scritto “2 dicembre” invece che “2 novembre” (circostanza che ha portato l’AGI a fantasticare su un Piero da Vinci che commette l’errore perché “gli trema la mano” per l’emozione, dal momento che “quella schiava è la ’sua’ Caterina, la ragazza che gli ha donato il suo amore”). L’atto scoperto da Vecce, stando all’annuncio in conferenza stampa, aggiunge due nuovi elementi: il nome del padre della ragazza (Jacob) e la sua origine, ovvero la Circassia, regione storica del Caucaso settentrionale, lungo le sponde del mare d’Azov e del Mar Nero. L’ipotesi è che Caterina fosse stata rapita nella sua terra d’origine dai tartari, portata attorno al 1439 a Costantinopoli dove fu acquistata da mercanti di schiavi veneziani (la tratta degli esseri umani era un fenomeno diffuso nel Quattrocento sulle rotte mediterranee) e quindi portata a Firenze nel 1442.
Quali documenti legano in maniera inequivocabile l’atto del 1452 alla madre di Leonardo da Vinci? La risposta breve è: al momento nessuno, anche se durante la conferenza stampa Vecce ha dichiarato, come riportato ancora dal New York Times, che “la prova che il documento si riferisca specificamente alla madre di Leonardo è rafforzata [...] da altre carte che tracciano una catena di proprietà e familiarità con Caterina, tutte legate al padre di Leonardo”. Stando a quanto è trapelato finora non abbiamo tuttavia prove inconfutabili che possano portarci a stabilire con certezza che la Caterina in questione sia la mamma del genio. Esiste però una serie di indizi (che, come tutti i film gialli insegnano, messi assieme non fanno una prova: possono però contribuire a creare una pista altamente plausibile) che ha portato alcuni studiosi, su tutti in particolare Renzo Cianchi, Francesco Cianchi, Alessandro Vezzosi e Viacheslav Chirikba, a ritenere altamente probabile l’ipotesi secondo cui la madre di Leonardo fosse una schiava circassa.
Fu Renzo Cianchi (1901 - 1985), fondatore del Museo Ideale Leonardo da Vinci, con sede a Vinci, il primo ad avanzare l’ipotesi sulla base del ritrovamento di alcuni documenti. Intanto, quelli che attestavano il fatto che Piero, seppur originario di Vinci, tra il 1451 e il 1452 esercitava la propria attività a Firenze (e dunque è altamente probabile che qui risiedesse), ragione che ha indotto Renzo Cianchi, e poi suo figlio Francesco cui si deve il merito di aver organizzato e pubblicato gli studi del padre nel 2008, a ritenere che Leonardo fosse stato concepito nell’odierno capoluogo toscano. All’epoca Piero da Vinci aveva un cliente, un certo Vanni di Niccolò di ser Vanni, che redasse il proprio testamento nel 1451: in questo testamento (Piero da Vinci fu uno degli esecutori) viene menzionata una “Caterina schiava”, e l’ipotesi era che Piero da Vinci avesse avuto con l’usuraio Vanni di Niccolò una frequentazione tale da averlo portato a conoscere la sua schiava e aver intrattenuto con lei una relazione.
Nel 2015 aveva fatto discutere una ricerca dell’Università di Chieti e Pescara, che aveva sottoposto a una lunga indagine le impronte digitali lasciate da Leonardo sui suoi fogli: su un campione di più di 200 impronte, era stata rinvenuta, facevano sapere Luigi Capasso, direttore dell’Istituto di antropologia e del Museo di storia delle scienze biomediche dell’Università di Chieti e Pescara, e Alessandro Vezzosi, direttore del Museo Ideale di Vinci, una struttura “a vortice con diramazioni a y, dette triradio”, che sarebbe “comune a circa il 65% della popolazione araba”, circostanza che secondo Capasso e Vezzosi rafforzava l’idea che nelle vene di Leonardo scorresse anche sangue levantino. Questa ricerca veniva però vista con grande scetticismo da Simon Cole, associato di criminologia all’University of California, che affermava che è impossibile determinare l’etnia di una persona sulla base delle sue impronte digitali.
Lo studioso russo Viacheslav Chirikba, nel 2018, ha invece insistito su alcuni dettagli, anzitutto il fatto che, contrariamente all’uso del tempo, nelle carte legate alla nascita di Leonardo da Vinci non viene menzionato il nome della madre, ragione che induce a credere, ha scritto Chirikba, che “Caterina non avesse un cognome ufficiale e neppure un patronimico, e che non fosse nativa di Vinci. Di conseguenza, doveva appartenere al più basso ceto della società italiana: era una schiava domestica, una categoria comune nell’Italia del XIV e del XV secolo”. Chirikba specificava comunque che “Caterina era il più comune tra i nomi femminili dati alle schiave orientali dopo il battesimo cattolico”. Non è dunque detto che la Caterina liberata nel 1452 sia proprio la Caterina schiava che fu eventualmente madre di Leonardo. Ci sono però altri indizi che farebbero supporre che la madre dell’artista fosse una schiava: per esempio, sostiene ancora Chirikba, il fatto che Piero non sposò la donna dopo averla ingravidata, a causa del divario sociale troppo largo, e il fatto che il nonno paterno di Leonardo, Antonio, non la cita nel documento privato in cui è registrata la nascita del bambino. Solo dopo che Caterina si sposò (dunque, nel caso sia stata una schiava, a seguito della sua liberazione), e acquisì pertanto un cognome legalmente riconosciuto, viene menzionata da Antonio da Vinci nei documenti, sebbene senza il suo nome da nubile e senza patronimico. E ancora, ipotizza Chirikba, essendo Leonardo figlio illegittimo, e per di più di una schiava, non poté ricalcare le orme paterne e diventare notaio iscrivendosi all’Arte dei Giudici e dei Notai a causa del suo status. Già Chirikba aveva comunque ipotizzato l’origine circassa di Caterina, poiché la Circassia era terra di provenienza di molti schiavi venduti sui mercati di Venezia, Genova e Firenze, e anche per il fatto, ha scritto lo studioso russo, che “gli scritti di Leonardo denotano un evidente interesse per l’Asia minore, il Caucaso e il Mar Nero”. Infine, sosteneva Chirikba, “è altamente probabile che Caterina non fosse stata acquistata da ser Piero, ma fosse una schiava domestica appartenuta a uno dei suoi amici o dei suoi colleghi a Firenze”.
Ma come sappiamo che la madre di Leonardo da Vinci si chiamava Caterina? Lo dobbiamo sempre al nonno Antonio, che cita per la prima volta la mamma dell’artista nella dichiarazione per il catasto di Vinci del 1457: nel documento Antonio si dichiara ottantacinquenne, residente nel quartiere di Santa Croce a Firenze, marito di Lucia, sessantaquattrenne, padre di Francesco e del trentenne Piero, sposato con Albiera Amadori, di ventun anni (Piero da Vinci si sarebbe sposato tre volte dando a Leonardo dodici tra fratellastri e sorellastre), e padre di “Lionardo figliuolo di detto ser Piero non legittimo nato di lui e della Chaterina che al presente è donna d’Achattabriga di Piero del Vacca da Vinci, d’anni 5”. Da questo punto in avanti la storia della madre di Leonardo è piuttosto nota: sposò un abitante di vinci, Antonio Buti, detto “Attaccabrighe” (evidentemente era un tizio non certo noto per avere un carattere tranquillo e mite), ed ebbe altri cinque figli, quattro femmine e un maschio. E pare che verso il finire del Quattrocento si fosse ricongiunta con Leonardo a Milano, vivendo per qualche tempo con lui.
Il nome da sposata della madre di Leonardo era dunque Caterina Buti. Per completezza andrà riferito che sull’origine di Caterina esiste anche un’altra ipotesi, formulata da Martin Kemp e Giuseppe Pallanti, e decisamente meno esotica: che fosse una povera contadina originaria di Vinci. Intanto, Kemp e Pallanti precisano che le nascite di figli illegittimi, contrariamente a quanto potremmo pensare, non suscitavano scandalo ed erano piuttosto comuni nelle famiglie fiorentine, soprattutto quelle ricche. Inoltre, il figlio di una domestica o di una schiava poteva tranquillamente vivere assieme ai figli della moglie legittima del padre, e nascite simili erano riportate in maniera routinaria alle autorità civili. Tuttavia i figli illegittimi avevano alcune restrizioni (per esempio erano esclusi dall’eredità e, come visto sopra, non potevano essere iscritti a certe corporazioni, inclusa quella dei giudici e dei notai, ragione per la quale Leonardo non poté fare la stessa professione del padre). La stessa nascita di Leonardo non fu per niente nascosta, anzi sappiamo dai documenti che il bambino fu adeguatamente celebrato e festeggiato (il battesimo, cioè, si svolse alla presenza di dieci testimoni, cinque uomini e cinque donne, e tra questi figuravano alcuni dei più ricchi cittadini di Vinci).
Fin qui, niente che possa cozzare con l’idea che Caterina fosse una schiava. Kemp e Pallanti escludono quest’idea anzitutto perché “non ci sono prove della presenza di schiavi nella provinciale Vinci”. E poi perché secondo i due studiosi, la “migliore candidata” al ruolo di madre di Leonardo è probabilmente l’allora quindicenne Caterina di Meo Lippi, che viveva in una casa (peraltro ancora esistente) situata a circa un chilometro dal borgo di Vinci. La famiglia di questa Caterina viveva in località Mattoni, nei pressi di Vinci, da almeno due generazioni: il nonno, Lippo di Nanni Lippi, aveva sposato una Giovanna e insieme avevano dato alla luce Bartolomeo, detto Meo, padre di Caterina. Le famiglie di Lippo e di suo fratello Giusto (che sposò un’Antonia dalla quale ebbe quattro figli) vivevano assieme. Quando Lippo morì, la moglie Giovanna chiese, stando alla legge del tempo, la restituzione della dote, entrando però in lite col figlio Meo sulla divisione delle proprietà di Lippo, e decise di portare il caso in tribunale. Il giudice stabilì che a Giovanna sarebbe andata la fattoria di famiglia con alcuni appezzamenti di terreno circostante, mentre al figlio andò peggio perché ricevette solo un quarto di una casa (definita “trista” nei documenti, cioè fatiscente) nel borgo di Vinci, e tre appezzamenti di terreno, uno dei quali in comproprietà con lo zio Giusto. Si trattò insomma di una divisione iniqua: probabilmente questa vicenda fu all’origine della vita dissoluta di Meo e della sua morte in età relativamente giovane (attorno ai quarant’anni), peraltro povero (come attesta una sua dichiarazione dei redditi del 1427). Caterina nacque nel 1436, e nel 1449 Meo diede alla luce un maschio (la madre di entrambi i figli di Meo è sconosciuta), morendo poco dopo. I due bambini, dopo la morte di Meo, furono presi in carico dalla nonna, che però morì nel 1451, lasciando Caterina e suo fratello Papo, di appena due anni, da soli. Furono dunque raccolti dallo zio Giusto, l’unico parente che era rimasto.
Caterina, a quindici anni, era già in età da marito secondo i canoni dell’epoca, tuttavia data la sua situazione, priva di famiglia e senza dote, non avrebbe trovato facilmente uno sposo e, scrivono Kemp e Pallanti, “sarebbe potuta finire troppo facilmente tra le braccia di un uomo opportunista, in particolare qualcuno di una classe superiore che si interessasse a lei. Non poteva resistere alle avances del giovane notaio di un’importante famiglia locale. Caterina di Meo Lippi era povera e vulnerabile, un’adolescente che aveva poche aspettative. Ha il profilo giusto per essere la madre di un figlio illegittimo”. Secondo i due studiosi “c’è un’intricata rete di prove che supporta l’identificazione di Caterina di Meo come madre di Leonardo. La ’Caterina’ della tradizione popolare, come è stata generalmente immaginata fino ad ora, ha un’età simile a ser Piero [...]. Caterina di Meo Lippi, da adolescente orfana, era un bersaglio pronto per le attenzioni sessuali di Piero, e non sarebbe stato così difficile sposarla in seguito con l’appoggio della famiglia di ser Piero”. Kemp e Pallanti menzionano come indizio la dichiarazione di Antonio da Vinci del 1457, in cui il nonno di Leonrdo elenca i membri della sua famiglia per ottenere un assegno di 200 fiorini per ciascuno di loro, somma che era esente da tassazione. Registrò, come anticipato, prima moglie e figli e poi aggiunse Leonardo, figlio illegittimo di Ser Piero che, come precisava il nonno, era nato da lui e da Caterina, attuale moglie di “Accattabrighe”. Antonio non ottenne alcun assegno per la madre di Leonardo. “Il tono della sua registrazione”, scrivono Kemp e Pallanti, “era più colloquiale che formale; parlava di ’Caterina’ come se localmente fosse ovvio a chi si riferisse, senza bisogno di aggiungere altro. Caterina Lippi e il suo fratellino sarebbero stati compatiti nella piccola comunità. Erano figli di nessuno. Le loro circostanze non sarebbero state uniche. Tuttavia, il loro era un caso estremo che doveva attirare l’attenzione. Considerato che ebbe un figlio dal notaio e poi sposò Accattabrighe, la sua vita sarebbe stata subito oggetto di conversazione”.
Kemp e Pallanti hanno trovato legami tra la famiglia Buti, quella di “Attaccabrighe”, e la famiglia Lippi, quella di Caterina: per esempio il fatto che Antonio e Caterina avessero dato a una loro figlia, Sandra, un nome molto inusuale per l’epoca, attestato però nella famiglia Lippi (Sandra era moglie di Orso, cugino di Caterina e figlio di Giusto). Ancora, il contratto matrimoniale di Maria, una delle figlie di Antonio e Caterina, ebbe tra i testimoni il figlio di Orso e Aandra, Antonio. Un altro legame risale al 1480, quando Attaccabrighe dovette vendere un terreno: tra i testimoni figura lo zio di Leonardo, Francesco, fratello di Piero da Vinci. E addirittura, nel 1487, quando Attaccabrighe fece sposare la sua terza figlia, Lisabetta, a un contadino di Montespertoli, il notaio che certificò gli atti fu lo stesso Piero da Vinci: “un avvocato di livello piuttosto alto per una modesta transazione locale”, scrivono Kemp e Pallanti. Insomma, un’altra catena di indizi che legherebbe la Caterina figlia di Meo Lippi a quella citata come madre di Leonardo dal nonno Antonio.
Per entrambe teorie mancano, insomma, prove inconfutabili e certe. Ma aspetteremo la pubblicazione di nuovi articoli scientifici che possano aumentare le probabilità di una pista piuttosto che l’altra.