Un’importante opera dell’Ottocento che rinasce grazie a un restauro impegnativo e complesso, una piccola comunità che ritrova uno degli elementi più importanti del suo patrimonio. Si parla del dipinto Il giardino di villa Richiedei del pittore Angelo Inganni (Brescia, 1807 – Gussago, 1880), eseguito intorno al 1850, che lo scorso anno ha beneficiato di un restauro finanziato con 29.000,00 € dalle Storiche Farmacie di Gussago Tosini e Antonelli Snc e dalla BCC di Brescia e realizzato tramite l’incentivo di Art Bonus. Tra il 2023 e il 2024, l’opera è stata esposta nella chiesa di San Lorenzo a Gussago come parte di una mostra dedicata al pittore (tenutasi dal 25 settembre 2023 al 7 gennaio 2024) dal titolo Angelo Inganni tra Brescia e Gussago (1850-1880)... “nello spirito di Gussago” e attualmente concessa dalla Fondazione Brescia in comodato al Comune di Gussago che la espone nella sua massima sede di rappresentanza, il municipio cittadino, e per l’esattezza nella sala consiliare, dove già si trovano altri due dipinti del pittore bresciano.
Perché una mostra su Inganni? Indubbiamente per omaggiare il suo contributo all’arte dell’Ottocento lombardo: la rassegna ha infatti messo in luce un pezzo di grande importanza sia per il valore artistico che storico. Ma quali sono le origini de Il giardino di villa Richiedei? Inganni dipinse l’opera verso il 1850 e la espose nel 1859 alla mostra dell’Accademia di Brera. Originariamente lasciata in eredità al Comune di Brescia dal nobile Paolo Richiedei (commissionata dallo stesso), grande mecenate e benefattore, la tela raffigura la sontuosa dimora di Paolo Richiedei, che peraltro è anche raffigurato nel dipinto (si trova sulla sinistra, mentre sta accogliendo una dama appena arrivata in carrozza). L’opera è rilevante per l’Ottocento italiano perché rappresenta un esempio molto interessante di fusione tra il genere vedutistico, il paesaggio naturalistico e la pittura di figura: si tratta di una composizione monumentale che trascende i limiti tradizionali della pittura di paesaggio. Il contesto del giardino all’italiana, con la sua precisa struttura prospettica, si intreccia armoniosamente con il paesaggio naturale del colle della Santissima dove sorge la villa, dominato da vigneti. Questo equilibrio tra natura e architettura sottolinea l’interesse dell’artista per l’organizzazione spaziale e la relazione tra ambiente e società.
La presenza di personaggi eleganti, impegnati in conversazioni o passeggiate, contribuisce a rendere narrativa e mondana la scena di paesaggio, anche evocando le atmosfere dei ricevimenti dell’epoca. La figura di Paolo Richiedei, padrone di casa, sottolinea il carattere ospitale e culturale del cenacolo bresciano, in cui arte, società e natura si incontrano, mentre l’autoritratto di Angelo Inganni, che si raffigura nell’atto di dipingere, e la presenza di sua moglie Amanzia Guérillot conferiscono un accento personale e intimo alla composizione, che si arricchisce ulteriormente della figura di Luigi Basiletti, maestro di paesaggismo bresciano, immortalato in primo piano.
La tela rimanda alla tradizione delle conversation pieces inglesi, trasportandola però in un contesto italiano e bresciano, dove la descrizione del paesaggio diventa un’espressione culturale che esalta la bellezza del territorio come luogo di socialità e cultura. L’opera si distingue inoltre per le sue dimensioni monumentali, solitamente riservate a temi storici o sacri, che qui vengono invece dedicate alla celebrazione della società bresciana di metà Ottocento. Questa scelta compositiva non solo sottolinea l’ambizione di Inganni, ma anche il desiderio di elevare il genere del paesaggio a un livello pari a quello dei soggetti più prestigiosi, trasformandolo in un omaggio alla comunità e al territorio. La tela, nel tempo, ha attraversato anni di trascuratezza e interventi poco accurati che ne avevano compromesso sia l’estetica che la struttura.
Nonostante la lucentezza e leggibilità del dipinto ritrovate grazie all’intervento di riparazione, il processo di restauro si è rivelato complesso e ha richiesto un’analisi preliminare piuttosto approfondita per affrontare le molteplici problematiche emerse. “Consapevoli delle peculiarità del dipinto, per materiali e tecnica accorpabile alle problematiche dei dipinti ottocenteschi, e notando i visibili rimaneggiamenti di vecchi interventi di restauro, l’approccio estremamente prudente all’analisi era più che doveroso”, hanno spiegato le restauratrici Monica Abeni e Paola Guerra nella rivista Civiltà Bresciana. “Avendo già operato sul dipinto raffigurante l’Accampamento degli zuavi sugli spalti, di dimensioni analoghe, si era a conoscenza della natura dei supporti alla pittura impiegati da Inganni, della loro igroscopicità e dei numerosi interventi – fino al trasporto del colore su altra tela – occorsi spesso a tamponare rapidi deterioramenti; inoltre era nota la sorte di altri dipinti del pittore che non furono facile cosa per chi li restaurò in tempi passati”.
Le indagini hanno messo in evidenza interventi passati eseguiti come stuccature sovradimensionate e ritocchi cromaticamente alterati, che avevano compromesso l’equilibrio visivo dell’opera. Durante la fase di restauro si sono inoltre riscontrati danni strutturali dovuti a circostanze ambientali sfavorevoli: variazioni di umidità e temperature estreme per esempio, condizioni che avevano aggravato la vulnerabilità della tela e del telaio. La pellicola pittorica presentava numerose esfoliazioni, mentre i bordi della tela erano segnati da lacerazioni estese, creando difficoltà nel maneggiarla senza rischiare ulteriori danni. A complicare il quadro, la presenza di insetti xilofagi che hanno deteriorato le strutture lignee e che hanno lasciato tracce evidenti di rosure che hanno indebolito il supporto originale.
Durante le diverse fasi del restauro, sono state eseguite una serie di indagini multispettrali condotte in primo luogo da Vincenzo Gheroldi che ha impiegato l’utilizzo di tecnologie moderne come la luce infrarossa, fondamentale per mostrare dettagli nascosti e comprendere meglio lo stato dell’opera. Gli strumenti hanno permesso di analizzare in profondità la tecnica pittorica di Inganni mettendo in luce una tavolozza ricca e luminosa caratterizzata dall’uso della trasparenza per creare effetti di profondità e dettagli realistici.
Grazie all’infrarosso è stato possibile identificare anche il disegno preparatorio che ha rivelato pentimenti e modifiche apportate dall’artista durante la realizzazione dell’opera e questo ha fornito nuovi spunti per lo studio del processo creativo di Inganni. Le analisi hanno ulteriormente evidenziato i materiali pittorici impiegati, molti dei quali particolarmente sensibili alle variazioni climatiche e soggetti a deterioramenti chimico-fisici nel tempo. Si è proceduto poi alla stabilizzazione della pellicola pittorica che ha permesso di irrobustire, attraverso l’uso di materiali specifici, le esfoliazioni che minacciavano di compromettere ulteriormente l’integrità dell’opera.
La pulitura del dipinto è stata una delle fasi più delicate del restauro e ha richiesto grande attenzione e un approccio graduale per evitare danni alla pellicola pittorica originale. Strati di vernice ossidata e ritocchi alterati, che avevano offuscato i colori originali, sono stati rimossi con un continuativo controllo in visione ultravioletta per il riconoscimento di strati presenti e residui da rimuovere. Gli strati puliti hanno così restituito all’opera la sua originaria brillantezza e luminosità.
Quali scoperte sono emerse dalla fase di rimozione delle vernici ossidate? L’operazione ha rivelato dettagli pittorici coperti, come la delicata resa dei panneggi e i particolari architettonici. I ritocchi mirati sono stati effettuati utilizzando materiali reversibili e compatibili al fine di rispettare l’integrità dell’opera e garantendo la possibilità di ulteriori interventi in futuro senza compromettere il lavoro svolto. Anche la cornice, sebbene non coeva al dipinto, è stata restaurata per armonizzarsi con l’opera e preservarne l’equilibrio estetico. L’intervento ha richiesto una particolare attenzione ai dettagli decorativi che sono stati ripristinati per valorizzare l’insieme della composizione artistica.
Il dipinto ha anche fornito nuove informazioni sulla tecnica e sui materiali utilizzati da Inganni. Le scoperte legate al suo lavoro arricchiscono ad oggi, lo studio dell’arte dell’Ottocento e presentano spunti di riflessione sul contesto culturale e artistico dell’epoca. La rinascita di Il giardino di villa Richiedei diventa così un esempio virtuoso di come il passato possa essere preservato e reso accessibile alle future generazioni.
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