Importante restauro a Brescia, dove è terminato l’intervento sulla Madonna in trono che allatta il bambino di Andrea Marone da Manerbio, membro di una famiglia di artisti con radici profonde nella Brescia del Rinascimento. Il restauro dell’affresco, eseguito attorno al 1525, è stato presentato da Fondazione Brescia Musei e Comune di Brescia ed è stato reso possibile grazie al contributo della società Ingegneri Progettisti e Affini, utilizzando lo strumento dell’Art bonus, che offre benefici fiscali a chi effettua donazioni per la cultura. Fondazione Brescia Musei ha integrato questa opportunità nelle sue iniziative per coinvolgere attivamente il pubblico nella vita e nei progetti dei Musei. Adesso l’opera restaurata è esposta a lungo nel percorso del Museo, a seguito di un’inaugurazione speciale durante la Festa della Mamma, che si è tenuta ieri 12 maggio.
L’affresco proviene dall’esterno della chiesetta dei Santi Ippolito e Cassiano, demolita nel 1904, dove era collocato entro un altarino in muratura, ma la storia conosciuta dell’opera, nota anche come la “Madonna del Latte”, affonda le radici nel XVII secolo, quando il pittore e scrittore d’arte bresciano Francesco Paglia ne fa menzione per la prima volta. Il soggetto rappresentato è uno dei più frequenti della tradizione cristiana: la Vergine, seduta su un trono, mostra un gesto accogliente con la mano sinistra, mentre regge il Bambino che, trattenendo il seno della madre, si rivolge direttamente allo spettatore.
Solo di recente è stato identificato l’autore del dipinto, Andrea Marone da Manerbio, facente parte di una famiglia di artisti probabilmente originaria del Sebino ma radicata a Brescia. Secondo Fiorella Frisoni, il pittore, attivo tra Brescia, la Bassa Bresciana e il Lago d’Iseo, mostrò un orientamento diverso rispetto ai grandi artisti del periodo, come Moretto, Romanino e Savoldo, prendendo spunto da città come Cremona, Lodi e Milano, ma anche dalle zone dei laghi lombardi fino al Canton Ticino. I suoi modelli includono artisti come Boccaccio Boccaccino e Galeazzo Campi di Cremona, i pittori lodigiani, fino a Bernardino Luini degli affreschi milanesi di San Maurizio al Monastero Maggiore.
Questi orientamenti stilistici si riflettono anche nell’affresco bresciano, come evidenziato dall’eleganza dei volti, dalle delicate lumeggiature tratteggiate, dai panneggi ridondanti e falcati, e dalle cromie bilanciate. Se l’impaginazione complessiva mostra un assetto arcaico, con gli angeli del registro superiore che richiamano lo stile quasi medievale, sono i dettagli a fare la differenza in termini di qualità, come i riccioli filamentosi del Bambino, i riflessi smaltati delle unghie e gli inserti dorati delle aureole e della corona della Vergine.
L’affresco, che godeva di una profonda devozione popolare, fu staccato nel 1878 per opera del restauratore bresciano Giuliano Volpi, su incarico del Comune. Questo intervento comportò la rimozione non solo dell’intonaco dipinto, ma anche di una significativa porzione di muratura retrostante, utilizzando una tecnica estrattiva particolare chiamata stacco a massello.
Il restauro dell’affresco di Andrea Marone è stato un’occasione rara nel campo della conservazione dei dipinti murali, poiché gli interventi su stacchi a massello sono piuttosto insoliti. Questa tecnica estrattiva complessa e costosa è generalmente riservata a manufatti di grande importanza e valore artistico. Storicamente, i motivi che hanno portato allo stacco di un dipinto sono legati principalmente alla situazione dell’edificio che lo ospita: instabilità strutturale, necessità di demolizione, o, soprattutto in passato, problemi legati all’umidità.
L’opera di Andrea Marone, giunta fino a noi in condizioni complesse, presentava gravi danni causati dalla presenza di sali che hanno causato craterizzazione e polverizzazione della superficie del dipinto, con una significativa perdita di materia pittorica, soprattutto nelle aree inferiori. Il dipinto, di notevole qualità artistica e realizzato con maestria, è stato eseguito su uno strato sottile di intonaco liscio e compatto a base di calce e inerti finissimi. Le stesure a buon fresco sono state integrate da preziosi interventi a secco, utilizzando leganti proteici, tra cui tracce di malachite e azzurrite per il manto della Madonna e il velo sorretto dagli angeli. La doratura, abbinata a decorazioni in tempera magra e lacca, ha impreziosito la corona della Madonna, il colletto dell’abito, la cintura e le aureole.
La pulitura ha comportato la rimozione di uno strato grigio opaco costituito principalmente da depositi di particolato atmosferico e nero fumo, oltre a colle animali fortemente degradate e adesivi applicati negli interventi precedenti. Purtroppo, a causa del complesso vissuto dell’affresco, delle operazioni di stacco e dei successivi interventi, si è verificata una quasi totale perdita delle preziose finiture pittoriche a secco.
Le superfici sono state attentamente esaminate utilizzando microscopia ottica a luce polarizzata, con ulteriori verifiche locali in ripresa UV, per affinare la conoscenza delle tecniche esecutive e valutare con precisione la qualità ed estensione degli interventi di ridipintura e ritocco. I precedenti interventi di ripresentazione estetica erano notevolmente alterati, con numerosi pigmenti soggetti a viraggio cromatico a causa del degrado del legante.
Durante lo stacco e negli interventi successivi è stata utilizzata una grande quantità di colle d’origine animale, che si sono parzialmente infiltrate negli strati interni dell’affresco. Di conseguenza, è stato necessario condurre uno studio preliminare delle superfici dal punto di vista microbiologico per pianificare un trattamento biologico appropriato e le fasi conservative successive. Numerosi rilievi con tampone sono stati effettuati in diverse fasi e analizzati tramite bioluminescenza strumentale da luciferasi.
Dopo la pulitura, l’affresco è stato attentamente consolidato per garantire la coesione del colore e la sua futura conservazione. Sono state eseguite alcune stuccature per riparare le lacune presenti, seguite da un lungo intervento di ritocco puntuale ad acquarello. Questo ha consentito il recupero della leggibilità generale dell’opera, pur mantenendo evidenti i segni del suo complesso passato.
“L’opera”, afferma Roberta D’Adda, Coordinatrice Settore Collezioni e Ricerca Fondazione Brescia Musei, “arrivava a noi in condizioni conservativamente complesse. L’intervento presentava una particolarità tecnica legata al fatto che si tratta di uno stacco a massello, ovvero di una vera e propria porzione di muro, fatto non così frequente nel campo della conservazione dei dipinti murali. L’essenziale supporto del restauratore Massimiliano Lombardi ci restituisce un prezioso tesoro”.
“Ho con piacere scelto di sostenere il restauro dell’opera che da subito mi è parso un oggetto bellissimo”, dice Marco Medeghini, Amministratore Delegato di Ingegneri Progettisti e Affini. “Indirizzare parte, pur esigua, del frutto del proprio lavoro in modo diretto verso Brescia Musei anziché disperderlo nel calderone della fiscalità generale lo sento utile, necessario e bello. Per me e per la mia città. Perché aprirsi al dono è comunque una esperienza matura di partecipazione al sociale che riserva tante gioie. Sta scritto ‘è più felice chi dona di chi riceve’. Auguro a tutti questa esperienza”.
“Con il restauro di questo importante affresco”, sottolinea Stefano Karadjov, Direttore Fondazione Brescia Musei, “arricchiamo il percorso espositivo del Museo di Santa Giulia ponendo la nuova opera in dialogo con la crocifissione dei dolenti santa Caterina e san Girolamo nella cappella della Madonna della basilica di San Salvatore e con la morte di Sant’Obizio, sempre in San Salvatore. Un percorso espositivo, quello di Santa Giulia, vivificato dalle continue attività di ricerca e di valorizzazione del team di conservazione e promozione del nostro splendido Museo”.
“Oggi festeggiamo un nuovo esempio di generosità nei confronti della società tutta, da parte di un cittadino che dimostra di pienamente comprendere il ruolo dei membri della comunità per la tutela e il ripristino del patrimonio fondativo della propria ‘comunità di patrimonio’”, evidenzia Francesca Bazoli, Presidente Fondazione Brescia Musei. “E ricordiamo anche quanto sia importante raccontare gli strumenti previsti dalla nostra normativa, che permettono di concorrere al lavoro della Fondazione nella direzione della riqualificazione dei Musei e dei capi d’opera delle civiche Collezioni, ottenendo parallelamente anche un vantaggio fiscale non trascurabile. La gratitudine di Fondazione Brescia Musei dunque all’ingegnere Marco Medeghini e alla società Ingegneri Progettisti e Affini, nonché al restauratore Massimiliano Lombardi, che ci ha consentito di recuperare in modo straordinario questo piccolo capolavoro appartenente alla storia della comunità bresciana”.
“Grazie al generoso contributo di uno studio di professionisti bresciani, dopo 120 anni la nostra città potrà riscoprire un capolavoro del XVI secolo, per secoli oggetto di viva e profonda devozione”, afferma Roberto Rossini, Presidente del Consiglio comunale di Brescia. “Non solo lo splendido affresco della Madonna in trono che allatta il Bambino incoronata da quattro angeli di Andrea Marone da Manerbio è stato completamente restaurato, grazie all’Art bonus, ma resterà a lungo esposto nel Museo di Santa Giulia, ritrovando la giusta collocazione. Non posso quindi che plaudire a questo nobile progetto che consentirà di arricchire il patrimonio artistico e culturale di Brescia e, a tanti cittadini e turisti, di apprezzare un’opera di grandissimo valore”.