Il restauro della Visitazione di Lorenzo Lotto: un capolavoro che torna a rivivere. Con il suo mistero


Il restauro della Visitazione di Lorenzo Lotto, concluso nel 2023 grazie al finanziamento Art Bonus, ha segnato un importante passo nella tutela del patrimonio artistico italiano. L’intervento, realizzato sotto la guida della restauratrice Francesca Pappagallo, conferma Jesi come pioniera nell’uso dell’incentivo per il recupero delle opere del Lotto.

Il programma di restauro della Visitazione di Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 – Loreto, 1556/1557), opera conservata presso la Pinacoteca Civica di Palazzo Pianetti a Jesi, è sicuramente un traguardo importante nella salvaguardia del patrimonio artistico italiano. L’intervento, concluso a fine anno 2023, è stato reso possibile grazie a un finanziamento complessivo di 7.000,00 € nell’ambito del decreto Art Bonus, reso disponibile da Intesa Sanpaolo Spa e TreValli Cooperlat. Il contributo ha permesso quindi di affrontare sia le necessità conservative sia il recupero estetico dell’opera mentre il disegno di riparazione si è avvalso dell’esperienza della restauratrice Francesca Pappagallo, rinnovatrice di tutte le altre opere jesine del Lotto conservate presso la Pinacoteca Civica di Palazzo Pianetti. Ponendo attenzione su Jesi invece, già nel 2014 la città marchigiana è stata pioniera nell’applicazione del decreto Art Bonus usufruendo dell’incentivo per il restauro del supporto ligneo della Deposizione del Lotto, dipinto nel 1512.

La Visitazione è stata realizzata da Lotto nel 1532 per un altare nella chiesa di San Francesco al Monte degli Osservanti, dove era posizionata in simmetria con un’altra opera dello stesso artista, la Madonna delle Rose del 1526. Le ricerche storiche condotte nel 2011 dalla studiosa Sara Tassi indicano che la famiglia Rocchi potrebbe essere stata la committente della Visitazione, in memoria di Fiore Iutii (o Juzi), moglie di Gentiluccio Rocchi. L’ipotesi, consolidata dall’uso di pigmenti costosi come l’azzurrite e il lapislazzuli, contrasta con la precedente attribuzione ai frati osservanti della chiesa di San Francesco al Monte in Jesi, che avrebbero scelto sicuramente materiali meno impegnativi. Inoltre, Fiore Juzi potrebbe essere la donna in piedi in secondo piano, l’unica che è girata frontalmente, e l’unica che sembra del tutto disinteressata a quello che avviene vicino a lei.

Ambientata in un interno domestico, la scena si sviluppa tra sguardi e mani che si cercano. Una tenda verde delimita uno spazio intimo, dove quattro figure femminili si stagliano in primo piano. Tra queste, colpisce l’immagine di Elisabetta in avanzata gravidanza che risponde all’interrogativo della giovane cugina Maria sollevando lo sguardo e le mani al cielo in segno di accettazione della volontà divina. Un unico personaggio maschile, Zaccaria, compare nel quadro relegato al limite di una porta, lasciato al margine di quell’universo femminile completato dalle due donne sulla destra, variamente identificate come due ancelle, o come Maria di Cleofa e Maria Salomè. La mensola che attraversa la scena ospita una natura morta dal forte valore simbolico: il vaso, che rappresenta Maria, si contrappone all’arancia, simbolo del peccato originale e di Eva. La zucca allude invece alla morte e alla resurrezione, mentre gli strumenti per scrivere evocano il Nuovo Testamento, in contrapposizione alla pergamena del Vecchio Testamento. Nella lunetta soprastante, l’Annunciazione introduce il tema del contatto con il divino tra la Vergine Maria e l’Arcangelo Gabriele.

Lorenzo Lotto, Annunciazione (1532; olio su tela, 95,2 x 154 cm; Jesi, Pinacoteca Civica di Palazzo Pianetti)
Lorenzo Lotto, Annunciazione (1532; olio su tela, 95,2 x 154 cm; Jesi, Pinacoteca Civica di Palazzo Pianetti)
Lorenzo Lotto, Visitazione (1532; olio su tela, 157,5 x 154 cm; Jesi, Pinacoteca Civica di Palazzo Pianetti)
Lorenzo Lotto, Visitazione (1532; olio su tela, 157,5 x 154 cm; Jesi, Pinacoteca Civica di Palazzo Pianetti)

Le condizioni dell’opera prima del restauro: criticità e potenzialità

A causa di alcune criticità strutturali e cromatiche si è reso quindi necessario un intervento di restauro. La tela presentava infatti un marcato allentamento accompagnato da deformazioni evidenti nella parte superiore e un pronunciato incurvamento lungo il lato inferiore. Inoltre, la superficie pittorica risultava alterata da vernici ormai ossidate che offuscavano i colori originali e provocavano sgradevoli sbiancamenti, specialmente nelle aree in ombra.

Le alterazioni erano piuttosto visibili nei pigmenti a base di lapislazzuli e azzurrite, utilizzati dall’artista. Inizialmente si era temuto che tali difetti fossero il risultato di antichi interventi maldestri che avrebbero rimosso le delicate velature originarie appiattendo così la raffinatezza del modellato, ma le analisi preliminari hanno rivelato che tali imperfezioni sono state causate da strati sovrapposti di materiale alterato.

Pulitura del manto di Maria
Pulitura del manto di Maria
Pulitura del manto di Maria
Pulitura del manto di Maria

Le tecniche innovative e risultati del restauro

Ma cosa ha scoperto la restauratrice Francesca Pappagallo in fase di riparazione? Sono emersi particolari come il panneggio del manto della Vergine, l’ala dell’arcangelo Gabriele e la borsa di Santa Elisabetta, nascosti da precedenti interventi di cui il più recente della fine degli anni Settanta del Novecento.

“Il complesso intervento di pulitura ha, poi, permesso di ottenere uno straordinario recupero cromatico grazie all’eliminazione di due spessi strati sovrapposti di vernici alterate, la più antica a base di cera, applicate in due successivi restauri risalenti quasi con certezza ad interventi di inizio Novecento e degli anni Ottanta dello stesso secolo”, ci spiega Francesca Pappagallo. “Oltre alla rimozione delle stratificazioni superficiali che ha riportato in luce lo splendido modellato lottesco affatto compromesso, sono stati eliminati grossolani ritocchi variamente diffusi, come quelli su una borsa appesa con due lunghi lacci al fianco destro di sant’Elisabetta. Il sacchetto, nero, si staglia su uno sfondo che alterna il grigio scuro e il blu ed è quasi impercettibile se non colpito dalla luce giusta. Nel restauro degli anni Ottanta è stato coinvolto in immotivati ritocchi che avevano coperto interessanti elementi decorativi metallici tra cui due lunghi puntali”.

La Visitazione si presenta con una cornice composta da bacchette coprifilo risalenti agli inizi del XX secolo, simili a quelle già rimosse dalla Madonna delle Rose. Gli elementi erano stati applicati durante il periodo postunitario, quando le opere furono private delle loro cornici monumentali originali per adeguarle a un contesto museale. Prima dell’intervento erano già stati osservati alcuni chiodi sul lato anteriore del dipinto e la rimozione della cornice ha permesso di esaminare l’intera area perimetrale della tela, rivelando un metodo di fissaggio piuttosto insolito: il supporto tessile è stato ancorato sul fronte del telaio anziché sugli spessori laterali. L’accorgimento ha determinato perciò un aumento dimensionale dell’opera di circa 5 cm per lato rispetto alla parte visibile. Anche il telaio è risultato essere originale (sebbene non estensibile), poiché gli incastri angolari erano saldati con colla forte animale impedendo in questo modo un ulteriore tensionamento. Ad oggi, l’autenticità della chiodatura è stata confermata dalle analisi chimico-stratigrafiche le quali hanno evidenziato che lo strato di preparazione a base di gesso, colla e olio siccativo, applicato da Lotto ricopriva anche le cimose fissate al telaio e le teste dei chiodi, estendendosi parzialmente anche sul legno.

“Prima del restauro”, prosegue la restauratrice, “il retro della pala su tela, unica tra le opere jesine del Lotto, era coperto da un’impenetrabile pannellatura lignea che, una volta rimossa per poter accedere al supporto, ha presentato caratteristiche ben determinate che hanno permesso di riconoscerne la non originalità e la natura di probabile adattamento antiquariale di epoca postunitaria. Una volta liberato, il telaio antico ha mostrato gli incastri angolari tenone/mortasa ancora parzialmente incollati con colla forte animale molto cristallizzata e, per la prima volta da un secolo e mezzo, si è potuto esaminare l’intero supporto tessile con le due pezze di tela che lo compongono e la cucitura a sopraggitto che le unisce. L’osservazione di tutta l’area perimetrale frontale della pala ha, inoltre, mostrato la curiosa modalità di ancoraggio del supporto tessile al telaio che, invece che sugli spessori laterali, è fissato sul fronte della struttura lignea mediante chiodatura puntuale ed incollaggio con un aumento dimensionale dell’opera rispetto alla parte dipinta di circa centimetri 5 per ogni lato”. Le misure precise delle due opere sono quindi: totale telai, pala 166,8 x 163,1 centimetri e lunetta 95,2 x 158,1 centimetri. Totale parte dipinta, pala 157,5x154 centimetri e lunetta 95,2x154 centimetri.

Dato l’eccellente stato conservativo della struttura, con lievi segni di allentamento del supporto tessile e un modesto degrado del legno, si è deciso quindi di preservare la configurazione attuale. La scelta si giustifica anche dalla rarità della pala che sembra essere un unicum tra le opere su tela del pittore veneziano conservate nelle Marche, spesso alterate o restaurate nel corso dei secoli. Il restauro ha incluso il consolidamento del telaio originale reso estensibile con l’aggiunta di quattro tenditori angolari in acciaio. Per la lunetta invece sono stati eseguiti diversi lavori: una pulizia accurata del telaio e della fodera e una regolazione stabile del tensionamento tramite il moderno telaio di supporto.

“Incrociate le informazioni ottenute dall’esame visivo con i risultati delle indagini scientifiche, eseguite dal dottor Pietro Rosanò di Padova, c’è stata la conferma che il telaio della pala ed il suo montaggio fossero quelli originali di Lorenzo Lotto attestando la pala della Visitazione di Jesi come un unicum conservativo. Infatti, il campione di filato prelevato lungo il margine della tela ha presentato concrezioni di materiali identici a quelli utilizzati per la superficie pittorica, presenti anche sulla testa dei chiodi, senza soluzione di continuità con quelli. A questo punto, tassativa è stata la scelta conservativa dello status quo che, previo risanamento delle poche parti di legno particolarmente deteriorate o fatiscenti eseguito da Mauro Marcolini e Lorenzo Mondaini, ha comportato l’ottenimento della estensibilità del vecchio telaio, al fine di tenere in adeguata tensione il supporto tessile, scollando cautamente gli incastri angolari e dotandoli di tenditori in acciaio inox appositamente modificati. L’intervento ha restituito così planarità al supporto tessile preservandone integralmente le caratteristiche originali”.

La chiodatura
La chiodatura
La firma di Lorenzo Lotto
La firma di Lorenzo Lotto

La firma e il mistero delle cifre mancanti

La firma apposta da Lotto sull’opera, argomento che ha suscitato numerose discussioni, non ha rivelato elementi nuovi a seguito della pulitura. Si può leggere chiaramente “∙ L ∙ Lotus ∙ 15..”, ma mancano tracce o residui delle ultime due cifre, apparentemente realizzate sul blu del manto della Vergine. La circostanza rafforza l’ipotesi che anche lo storico dell’arte Giovanni Morelli, che vide l’opera il 9 maggio 1861, non fosse in grado di decifrarle, come emerge dalle sue annotazioni relative a una precedente e intensa pulitura che, a suo dire, aveva compromesso alcune aree del dipinto, confondendole con macchie presenti nella stessa zona. Un ulteriore quesito riguarda la scelta del Lotto di collocare le ultime due cifre su una superficie di blu così scuro da renderle praticamente illeggibili, nonostante avesse largo spazio per firmare e datare l’opera in modo più evidente. Sebbene sia improbabile giungere a una spiegazione definitiva, una possibile ipotesi potrebbe ricollegarsi agli studi sulla committenza del dipinto da parte della famiglia Rocchi, già anticipata in precedenza, proprietaria dell’altare e della sepoltura presso San Francesco al Monte.

“Durante la pulitura, praticata con l’ausilio di potenti fonti illuminanti, nella firma non è emersa alcuna evidenza in corrispondenza delle ultime due cifre della data che dovevano essere dipinte in nero su una profonda ombra blu del manto di Maria”, ci spiega ancora la restauratrice. “Avendo osservato l’iscrizione con una luce potente, prima, durante e dopo la pulitura, mi sono chiesta perché mai Lotto avesse scelto di scrivere le ultime due cifre su un colore che le avrebbe rese illeggibili anche in condizione di illuminazione ottimale. Considerando l’attenzione e la cura maniacale dei particolari di Lorenzo Lotto, la domanda si fa più interessante: perché mettere le cifre sopra un blu così scuro da renderle praticamente invisibili? In primo luogo, non credo fosse una questione di spazio, dato che la panca su cui è vergata la firma presenta una superficie abbondante per scrivere la firma e la data su una sola riga. Inoltre, non si può attribuire questa scelta all’abitudine di Lotto di scrivere la firma in corsivo su una sola riga, visto che nell’Adorazione del Bambino della National Gallery, ad esempio, la stessa firma è disposta su due righe. La mia ipotesi, naturalmente una suggestione, è che Lotto abbia voluto ’nascondere’ le ultime due cifre della data. Le letture della firma fatte negli anni da alcuni studiosi, e riprese nei contributi successivi, hanno occasionalmente identificato almeno la presenza del numero tre del decennio, ma ciò potrebbe derivare da un’errata interpretazione di piccole macchie causate da accumuli di sporco nelle depressioni del tessuto a spina di pesce. Alla luce di tutto questo, l’interpretazione più accattivante è quella che ipotizzo nell’intento di Lotto di scrivere la data a metà, lasciando ai committenti e poi ai lettori della storia del dipinto la libertà di associarlo ad eventi di un periodo precedente”.

Va segnalata inoltre l’identificazione dei fiori rappresentati a terra: si tratta della Viola odorata (viola mammola) e Cheirantus cheiri (violacciocca gialla). Il significato simbolico di questi fiori è stato da quasi tutti gli studiosi attribuito alla Vergine Maria per simboleggiarne la purezza e l’umiltà oppure i Misteri dolorosi. Tuttavia i fiori, sottolinea Francesca Pappagallo, sono collocati di fianco e dietro alla Madonna in una impostazione pittorica piuttosto inconsueta se si vuole attribuirne a Lei la loro simbologia. E, come se non bastasse, sono stati realizzati in una porzione di pavimento piuttosto angusta rispetto al maggior spazio presente, e peraltro vuoto, che si nota proprio tra le due sante donne. “In effetti, i fiori, non avvizziti né sfioriti, sono proprio davanti alla figura femminile in secondo piano, l’unica girata frontalmente e che sembra non partecipare all’accadimento sacro: Fiore Juzi”. La donna, come detto riconosciuta dalla ricercatrice jesina Sara Tassi, il 29 agosto 1519 fa testamento poiché in preda alle forti febbri conseguenti ad un aborto all’ottavo mese a causa delle quali morirà poco dopo. “Seguendo questa interpretazione si può argomentare, quindi, che la loro presenza emblematica non sia riferita a Maria ma alla nobildonna jesina il cui sguardo ormai appartiene ad un’altra dimensione”, conclude la restauratrice. “In seguito al restauro, i fiori sono stati esattamente identificati in Viola odorata o Viola Mammola o Violetta e in Cheirantus cheiri o Violacciocca gialla che, se riferite alla vicenda personale di Fiore, assumono particolari sfumature simboliche. Infatti, le viole nell’antica Roma erano simbolo di lutto e venivano gettate sulla tomba dei bimbi morti come simbolo di innocenza e di purezza mentre le Violacciocche gialle sono simbolo di fedeltà assoluta e di amore capace di sopravvivere alle sventure. Gentiluccio di Giovan Battista Rocchi, probabile committente della Visitazione di Jesi per l’altare della sua famiglia, nella tragica vicenda che Lorenzo Lotto sembra volerci ricordare non perde solo l’amatissima moglie ma anche il figlio primogenito che stava per nascere. Un’opera quindi, questa del Lotto, completamente dedicata alla Maternità in ogni sua anche dolorosa sfaccettatura in memoria di una madre mai nata!”.


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Noemi Capoccia

L'autrice di questo articolo: Noemi Capoccia

Originaria di Lecce, classe 1995, ha conseguito la laurea presso l'Accademia di Belle Arti di Carrara nel 2021. Le sue passioni sono l'arte antica e l'archeologia. Dal 2024 lavora in Finestre sull'Arte.




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