Da oggi, 11 maggio, il gesso della Pace, il capolavoro di Antonio Canova (Possagno, 1757 - Venezia, 1822) conservato al Museo Khanenko di Kiev e ora nascosto per evitare che subisca danni durante la guerra tra Russia e Ucraina, è esposto a Firenze, a Palazzo Vecchio, nel Salone dei Cinquecento. L’esposizione vuole essere un mezzo per assicurare la contemplazione del capolavoro dello scultore, altrimenti negata dal conflitto. L’opera peraltro è esposta nel Salone nello stesso momento in cui lo stesso ambiente vede la presenza del Quarto Stato di Giuseppe Pellizza da Volpedo. Il gesso della Pace di Kiev rimarrà a Firenze fino al 18 settembre.
La mostra, curata da Vittorio Sgarbi, realizzata grazie alla collaborazione tra il Museo Novecento e il Museo Gypsotheca Antonio Canova di Possagno, organizzata da MUS.E con Contemplazioni, vede la scultura installata al centro della Sala di Leone X in Palazzo Vecchio. Questo scenario, in cui campeggiano gli affreschi che ripercorrono le tappe dell’ascesa al potere di Giovanni de’ Medici, figlio di Lorenzo il Magnifico, divenuto papa con il nome di Leone X, fa da contraltare al messaggio portato avanti dalla scultura di Canova, che con la sua storia racconta vicende di guerre e di pace. In questo contesto si trova poi l’effige di Cosimo I de’ Medici nelle vesti di Marte, simbolo manifesto del dominio del duca e della sua politica espansionistica.
Nikolaj Petrovič Rumjancev (San Pietroburgo, 1754 - 1826) è un politico e diplomatico russo, menzionato anche da Lev Tolstoj in Guerra e Pace. Nonostante una carriera militare alle spalle, è un pacifista, filofrancese, ammiratore di Napoleone, amante dell’Europa, per la quale viaggia dal 1774 al 1776 (anche in Italia), studiando e incontrando personalità del calibro di Voltaire. Nel 1811 Rumjancev commissiona a Canova un marmo bianco da collocare nel salone del suo palazzo di San Pietroburgo. La scultura avrebbe dovuto rendere omaggio ai trattati di pace che avevano posto fine a tre guerre e che la famiglia Rumjancev aveva contribuito a siglare: la pace di Åbo nel 1743 (che pose fine alla guerra con la Svezia), quella di Küçük Kaynarca nel 1774 (con l’Impero Ottomano), e infine la pace di Hamina nel 1809 (nuovamente con la Svezia). Dal 1808 al 1814, Rumjancev è ministro degli affari esteri e sostiene rapporti amichevoli con Napoleone Bonaparte. Questi, però, minaccia la Russia e quando la invade il politico russo è colto da un ictus, che gli causò una compromissione dell’udito. Rumjancev l’ha fatta fare avendo una grande ammirazione per Napoleone. E Napoleone ha attaccato la Russia.
Canova viene incaricato di realizzare l’opera all’alba dell’invasione napoleonica della Russia, tanto che lo scultore stesso scrive a Quatremère de Quincy l’11 febbraio 1812: “La statua della Pace si farà: vengane la guerra; essa non potrà impedirla. Ma io temo che alla pace generale non si farà statua per ora. Così si potesse farla, come io l’alzerei a mie spese!”. Alla morte di Nikolaj Petrovič Rumjancev, la sua collezione viene donata allo Stato e va a costituire nel 1831 il primo Museo pubblico russo, inizialmente a San Pietroburgo, poi, nel 1861, trasferito a Mosca. Krušëv, Segretario del Partito Comunista dell’Unione Sovietica, dalle origini ucraine, decide nel 1953 di trasferire la scultura da San Pietroburgo a Kiev, al Museo Nazionale Khanenko. Qui, viene pressoché dimenticata: l’Ucraina riscopre il grande valore dell’opera poco meno di vent’anni fa, quando Irina Artemieva, conservatrice dell’arte veneta al Museo Ermitage, ritrova un carteggio, conservato nella Sezione Manoscritti della Biblioteca Nazionale di Russia a San Pietroburgo, tra Antonio Canova e l’ambasciatore di Vienna, che aveva fatto da intermediario per la commissione. La riscoperta del carteggio ha consentito di ricostruire la storia e le vicende legate alla realizzazione dell’opera.
L’iconografia della Pace richiama la Nemesi, dea greca della “distribuzione della giustizia”. Il serpente ricorda le medaglie romane, dove era simbolo della guerra. Il fatto che le scritte commemorative siano in latino è il risultato di una trattativa tra Canova e l’ambasciatore di Vienna: l’ipotesi iniziale della lingua russa fu accantonata in favore del latino, lingua franca e simbolo dell’unione tra le nazioni europee, a rafforzare dunque il messaggio di pace dell’opera.
“Questa scultura”, commenta Vittorio Sgarbi, “racchiude in sé una serie di intrighi formidabili di passato e di presente. C’è un ammiratore della pace, che chiede la pace per sé, e la chiede pensando a Napoleone, ma mentre la chiede Napoleone arriva alle porte della Russia. La guerra porta soltanto male e violenza da ogni parte, sia per chi la esercita per primo, sia per chi la esercita come reazione. Per cui è molto malinconico pensare che sta accadendo anche qualcosa contro le opere d’arte oltre che contro le persone. La Pace di Kiev è ora esposta a Firenze, e qui temporaneamente attende tempi di pace. Canova, l’ultimo grande a rtista che ha chiuso l’arte dell’Occidente ha unito tutto, non ha diviso. Canova è un grande conciliatore di ogni conflitto, di ogni differenza, e in nome della sua Pace io chiedo a voi di invocarla tutti insieme sul piano di spirito del mondo, perché il m ondo si salvi. Alla frase di Dostoevskij: ’la bellezza salverà il mondo’ non ho mai creduto fino in fondo: non possiamo dire che la bellezza salvi il mondo, se il mondo non salva la bellezza, per amore dell’umanità e della civiltà che l’arte testimonia”.
“L’arte e la cultura vinceranno contro la violenza e l’abominio della guerra”, sottolinea Dario Nardella, sindaco di Firenze. “In questi tempi così travagliati accogliamo a Palazzo Vecchio un’opera fortemente simbolica. La Pace di Kiev , ora nascosta alla vista a causa della guerra e chissà per quanto tempo ancora inaccessibile, viene evocata con l’unica sua copia esistente nella sala di Leone X. Essa ci induce a riflettere sulla estrema fragilità materica dell’arte di fronte alle forze distruttive ma anche alla potenza della stessa che si fa forma, me moria, messaggio di pace di inusitato coraggio”.
“A pochi giorni di distanza dalla presentazione del Quarto Stato di Pellizza da Volpedo, entra in Palazzo Vecchio un secondo capolavoro dell’arte italiana, il modello del la cosiddetta Pace di Kiev plasmato nel gesso da Antonio Canova”, dichiara Sergio Risaliti, direttore del Museo Novecento di Firenze. “Qui passato, presente e futuro si incontrano e s’incrociano e l’arte si assume il compito di rappresentare il destino dell’umanità. Incredibile come le opere di due artisti di cultura e stile così diversi se non antitetici, possano calarsi nell’attualità e rigenerarsi ai nostri occhi. A riprova che i grandi capolavori travalicano la propria epoca, anche quando nascono dalla cronaca, perché si fanno portavoce di valori universali. Passando dav anti al Quarto Stato , soffermandosi ad ammirare le forme classiche della Pace , è immediato ricordare due principi fondamentali della nostra costituzione. Il primo che mette al centro il lavoro, e l’undicesimo che ripudia la guerra. Non è scontato che l’art e si faccia portavoce in modo così sublime e coinvolgente ai nostri occhi e al nostro animo di simili ideali e valori. Quando ciò accade riconosciamo nelle opere dei grandi artisti delle ancore di salvataggio oltre che dei moniti ad agire per il bene dell’ uomo e il progresso della civiltà. Guardando le bianche immacolate forme della Pace di Kiev non possiamo non pensare al sangue che scorre in Ucraina, al dramma dei profughi, agli orrori perpetuati tra i civili. E non possiamo non pensare alla sorte di tant i capolavori artistici messi a rischio dalla furia distruttiva degli eserciti. La Pace di Canova ci impone di dare un senso alla bellezza, facendoci portatori di fraternità e solidarietà tra i popoli e le persone”.
Nell’immagine, il gesso della Pace di Kiev a Firenze. Foto di Alessandra Cinquemani
A Firenze esposto il gesso della Pace di Kiev di Antonio Canova |