Quali pigmenti si utilizzavano negli affreschi di Pompei? Pubblicato uno studio sul tema


Uno studio compiuto nel Parco Archeologico di Pompei ha rivelato come gli antichi artisti miscelassero con abilità le materie prime per ottenere un’ampia gamma di tonalità cromatiche.

È stato pubblicato sulla rivista internazionale Journal of Archaeological Science l’articolo scientifico Pompeian pigments. A glimpse into ancient Roman colouring materials. Lo studio è il risultato di una collaborazione proficua tra il Parco Archeologico di Pompei, il gruppo di ricerca di Mineralogia e Petrografia del Dipartimento di Scienze e Tecnologie dell’Università degli Studi del Sannio e gli studiosi del Dipartimento di Scienze della Terra, dell’Ambiente e delle Risorse dell’Università Federico II di Napoli.

La ricerca si è focalizzata sullo studio dei pigmenti rinvenuti in alcuni contesti pompeiani, che vanno dal III secolo a.C. fino all’eruzione del 79 d.C., coprendo quasi interamente la tavolozza pittorica degli artisti dell’epoca. L’analisi ha identificato una varietà di pigmenti naturali e sintetici, inorganici e organici.

Grazie a un approccio analitico non invasivo, basato sulla combinazione di tecniche di microscopia e spettroscopia, è stato possibile preservare tali beni per il futuro. Questo metodo ha rivelato come gli antichi artisti miscelassero con abilità le materie prime per ottenere un’ampia gamma di tonalità cromatiche.

Tra i risultati più significativi, spicca l’identificazione del primo utilizzo finora conosciuto di un nuovo colore grigio, in cui la presenza di barite e alunite fornisce la prima testimonianza dell’impiego di solfato di bario nel Mediterraneo in epoca antica.

Pigmenti
Pigmenti
Blu egizio
Blu egizio

La collaborazione prevede anche lo studio approfondito dei colori utilizzati negli affreschi pompeiani, cogliendo le possibilità scientifiche offerte dai nuovi scavi in corso. Le analisi diagnostiche non invasive sono condotte in sinergia con le attività di restauro. L’ultima campagna di studi ha interessato la “stanza rossa” della Casa del Tiaso, arricchendo ulteriormente la comprensione delle tecniche pittoriche dell’epoca.

“Questo studio rappresenta un significativo passo avanti nella comprensione delle tecniche pittoriche degli antichi Romani”, ha dichiarato Celestino Grifa, professore associato di Petrografia e Petrologia presso il Dipartimento di Scienze e Tecnologie dell’Università degli Studi del Sannio. “La possibilità di quantificare accuratamente i composti coloranti nelle miscele ci ha permesso di rivedere il processo artistico delle pitture murali, che prevedeva miscelazione dei pigmenti puri -in particolare il blu egizio, il bianco e il rosso piombo- che venivano sapientemente proporzionati per creare la palette desiderata”.

“È uno studio essenziale anche ai fini del restauro degli affreschi pompeiani, che sono molto fragili e richiedono una conoscenza approfondita per una corretta conservazione”, ha aggiunto il direttore del Parco Archeologico di Pompei Gabriel Zuchtriegel. “Simili analisi sono già in corso per la megalografia dionisiaca recentemente scoperta. Esemplare sinergia tra ricerca e tutela che esprime l’eccellenza italiana in questo settore”.

Studi a Pompei
Studi a Pompei


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