Scoperto un antico bagno rituale ebraico nel Parco Archeologico di Ostia Antica


Straordinaria scoperta nel Parco Archeologico di Ostia Antica: è stato rinvenuto un antico bagno rituale ebraico (mikveh) durante la campagna di scavo realizzata nell’ambito del progetto OPS - Ostia Post Scriptum. 

Straordinaria scoperta nel Parco Archeologico di Ostia Antica: un bagno rituale ebraico (mikveh) è stato portato alla luce durante gli scavi svolti tra giugno e agosto 2024. La campagna di scavo, realizzata nell’ambito del progetto OPS - Ostia Post Scriptum, è stata finanziata dal Ministero della Cultura, attraverso la Direzione Generale Musei, con uno stanziamento di 124.190,41 euro dal capitolo 7515 cdr19, destinato alle ricerche archeologiche per l’anno 2024.

Il progetto OPS - Ostia Post Scriptum, avviato nel 2022, nasce dalla collaborazione tra il Parco Archeologico di Ostia Antica (con la direzione del Dott. Alessandro D’Alessio e della Dott.ssa Claudia Tempesta), l’Università degli Studi di Catania (Prof. Luigi Caliò) e il Politecnico di Bari (Prof. Antonello Fino), con l’obiettivo di approfondire le indagini in due aree strategiche della città di Ostia, prima colonia romana e importante centro urbano dell’antichità, per comprenderne meglio l’evoluzione nel tempo. Da decenni il Parco, già Soprintendenza Archeologica di Ostia, non conduceva scavi propri, da cui la scelta del nome OPS.

Le indagini si sono concentrate principalmente nella cosiddetta Area A, situata nella zona centrale della città, vicino all’antico corso del Tevere. L’area è delimitata a ovest dai Grandi Horrea, a sud dal santuario dei Quattro Tempietti, dal Mitreo delle Sette Sfere e dalla Domus di Apuleio, e a est dal Piazzale delle Corporazioni. Nonostante la sua posizione strategica, l’area non era mai stata esplorata e si presentava come un perfetto bacino stratigrafico ancora intatto.

Durante gli scavi, all’interno di un grande e sontuoso edificio qui scoperto e già ampiamente riportato alla luce è emerso, tra i resti degli ambienti che lo compongono e di alcuni mosaici pavimentali a tessere bianche e nere, un piccolo vano semi-ipogeo con sottostante pozzo per la risalita o comunque il prelievo dell’acqua di falda, nel quale può con ogni probabilità riconoscersi un mikveh, ovvero un bagno rituale purificatorio ebraico. Questo spazio semi-ipogeo, rettangolare con un’abside semicircolare sul lato est, mostra diverse fasi costruttive. Nell’ultima fase, era accessibile da ovest attraverso una soglia in marmo con bordo esterno rialzato. Al suo interno, una scala di tre gradini, visibilmente usurati, era affiancata da due spallette in muratura rivestite con intonaco idraulico. Il pavimento, realizzato in mattoni bipedali, si trovava circa un metro più in basso rispetto alla soglia d’ingresso e presentava un incavo di 3 centimetri, forse destinato a ospitare una transenna lignea. Un foro passante nella muratura a nord-est suggerisce la presenza di una conduttura per l’adduzione di acqua.

All’estremità orientale del pavimento, un pozzo, circolare e del diametro di 1,08 metri, realizzato in cementizio e coronato da una ghiera in mattoni, probabilmente aggiunta successivamente. Alla base, il pozzo si restringeva formando una risega, forse destinata a sostenere una grata o una pavimentazione lignea rimovibile.

Le pareti del vano, costruite in opera listata con alternanza di blocchetti di tufo e ricorsi di laterizi, erano prive di aperture. Nell’abside di fondo, è stata rinvenuta una nicchia rivestita di intonaco azzurro e conchiglie, incorniciata da due colonnine in stucco poggiate su mensole in laterizio. Tra i materiali di rilievo recuperati dagli strati di abbandono si segnalano lacerti di intonaco, lucerne e frammenti marmorei appartenenti a epigrafi e statue di piccole dimensioni. Dallo scavo del pozzo, condotto con il supporto dell’Associazione Archeologia Subacquea Speleologia Organizzazione (A.S.S.O.), sono emersi una lucerna decorata con una menorah (candelabro a sette bracci) e un lulav (ramo di palma), oltre a un bicchiere di vetro quasi integro, databili tra il V e il VI secolo d.C.

Le caratteristiche del vano – i gradini che occupano l’intera larghezza, le pareti rivestite con intonaco idraulico, il pozzo per l’acqua di falda, il condotto di comunicazione con l’ambiente adiacente destinato forse ad alloggiare una tubatura per l’aggiunta di acqua a quella di falda e il ritrovamento di una lucerna con simboli ebraici – inducono a ipotizzarne un’interpretazione come bagno rituale ebraico. Destinati alle immersioni delle persone (ma anche degli oggetti) a fini di purificazione, questi bagni presentano solitamente una vasca rettangolare, spesso coperta, scavata nel terreno, rivestita di intonaco idraulico e alimentata da una sorgente naturale o da acqua piovana, con una fila di gradini che ne occupano l’intera larghezza.

Le fonti rabbiniche, come la Mishnah e la Tosefta (III secolo d.C.), stabiliscono che il mikveh debba contenere almeno 40 se’ah (circa 500 litri) di acqua piovana o sorgiva e garantire la possibilità di una completa immersione del corpo.

I più antichi esempi di mikva’ot documentati in Israele risalgono all’età asmonea (fine I secolo a.C. - inizio I secolo d.C.). Diffusi in Giudea, Galilea e Idumea durante l’epoca erodiana, in particolare in contesti residenziali, la loro presenza diminuisce nel I secolo e si estingue quasi del tutto nel II secolo, dopo la distruzione del Tempio nel 70 d.C. e la repressione della rivolta di Bar Kokhba nel 135 d.C. Tra le rare attestazioni successive, si segnalano i mikva’ot rinvenuti nella città galilea di Sepphoris. Non sono finora noti mikva’ot di epoca romana o tardo-antica nei luoghi della Diaspora, con l’unica eccezione del mikveh di Palazzo Bianca a Siracusa, probabilmente realizzato nei pressi della locale sinagoga tra VI e VII secolo d.C.

A una cronologia di poco anteriore riportano i materiali rinvenuti negli strati di abbandono e di obliterazione del vano individuato a Ostia: tra questi spiccano due lucerne della forma Atlante VIII, decorate sul disco da una menorah eptalicne su supporto trifido, una delle quali con lulav sul fondo, databili tra IV e VI secolo d.C.

Il bagno rituale ebraico scoperto nel Parco Archeologico di Ostia Antica
Il bagno rituale ebraico scoperto nel Parco Archeologico di Ostia Antica

Dichiarazioni

“La scoperta di un antico bagno rituale ebraico, o mikveh, venuto alla luce nel Parco archeologico di Ostia Antica”, dichiara il Ministro della Cultura Alessandro Giuli, “rafforza la consapevolezza storica di questo luogo quale vero crocevia di convivenza e di scambio di culture, culla di tolleranza tra popoli diversi che nella civiltà romana trovavano la loro unione. Esso rappresenta un unico nell’area mediterranea di età romana al di fuori della Terra di Israele e attesta quanto fosse radicata la presenza ebraica nel cuore della romanità. È proprio a Ostia che Roma accoglie e ospita i culti originari delle altre civiltà mediterranee, nel momento in cui, consolidato il suo potere in Italia, comincia a proiettarsi nel Mare Nostrum. Una miscellanea di etnie e influenze, insieme alle due religioni monoteiste del tempo, che testimonia quanto Roma fosse ecumenica e universale. Siamo orgogliosi che questa scoperta sia il frutto della ripresa delle attività di scavo promosse direttamente dal Parco archeologico di Ostia Antica - grazie a un finanziamento del MiC che continuerà a investire risorse su questa scoperta - che da un lato ha permesso di tornare a promuovere le attività di ricerca e dall’altro di ampliare e rendere più accessibili le aree visitabili dal pubblico”.

“Questa eccezionale scoperta”, dichiara Alfonsina Russo, Capo Dipartimento per la valorizzazione del patrimonio culturale, “conferma da un lato l’importanza e la specificità dell’antica città di Ostia, porto e porta di Roma sul Mediterraneo e per tale ragione melting pot etnico, linguistico, religioso e culturale in senso lato e, d’altro canto, le inusitate potenzialità del patrimonio storico-archeologico italiano. In ossequio alla “filiera” ricerca/conoscenza-tutela/conservazione-valorizzazione di questo straordinario patrimonio, il rinvenimento del mikveh ostiense, il primo così antico venuto alla luce fuori dai confini di Israele, non può che renderci orgogliosi e al tempo stesso determinati a che il monumento sia quanto prima fruibile dal pubblico di visitatori che sempre più numeroso frequenta e apprezza i nostri luoghi della cultura”.

“Grazie ai finanziamenti stanziati dal Ministero della Cultura negli ultimi anni”, commenta il Direttore generale Musei Massimo Osanna, “è stato possibile attuare un piano di interventi su scala nazionale, promosso in particolare dalla Direzione generale Musei, volto alla manutenzione programmata, alla promozione della ricerca archeologica e alla valorizzazione degli istituti e luoghi della cultura. In questo contesto, il Parco archeologico di Ostia Antica ha svolto un ruolo di primo piano, distinguendosi per l’innovatività degli interventi progettati e l’eccellenza dei suoi progetti di ricerca, come quello che ha portato alla scoperta del mikveh. Un ritrovamento che testimonia il carattere multiculturale dell’antica città portuale e apre nuovi e affascinanti scenari per l’ampliamento delle nostre conoscenze e lo sviluppo di nuove narrazioni”.

“Si tratta di una scoperta assolutamente straordinaria”, spiega Alessandro D’Alessio, Direttore del Parco archeologico di Ostia Antica, “in quanto non erano precedentemente noti mikva’ot di epoca romana fuori dalla Giudea, Galilea e Idumea antiche, e che non può che confermare l’entità della presenza continuativa, il ruolo e l’importanza della comunità ebraica a Ostia nel corso di tutta l’età imperiale (se non prima): dagli inizi del I (epoca cui risale la più antica iscrizione nota in Italia che menzioni Iudaei, rinvenuta nella vicina necropoli di Pianabella) al V-VI secolo, quando la sinagoga ostiense – la più vetusta del Mediterraneo occidentale (fu costruita infatti a fine II-inizi III secolo) e la sola conservata a Roma – cessò di vivere a seguito del definitivo abbandono della città”.

“La scoperta di questo sito, che ha le caratteristiche di un miqwè”, ricorda Riccardo Di Segni, rabbino capo della Comunità ebraica di Roma, “è di estremo interesse sotto tanti aspetti, archeologici, storici, rituali. La storia degli ebrei di Roma si arricchisce oggi di un ulteriore, prezioso monumento che testimonia il loro millenario insediamento e la cura nell’osservanza delle tradizioni: l’ambiente scoperto è tra l’altro funzionale ed elegante. Una struttura come quella scoperta non poteva essere isolata dal complesso edilizio in cui si trova ed è probabile che in buona parte, se non tutto, questo fosse un centro di aggregazione ebraica. Mi auguro che gli scavi possano proseguire in attesa di altre sorprese e che presto sia possibile l’accesso ai visitatori che non mancheranno per l’importanza del reperto”.

"È fonte di grande emozione la scoperta del probabile miqwè a Ostia, di fatto il più antico rinvenimento del genere nel mondo della Diaspora, successivo soltanto a quelli di Giudea, Galilea e Idumea", commenta Victor Fadlun, Presidente della Comunità Ebraica di Roma. “Emozione e orgoglio, per la conferma del radicamento millenario degli ebrei a Roma, e del cordone ombelicale che ci lega alla Terra d’Israele. Il miqwè è il segno di una presenza viva, che si è perpetuata nei secoli e porta a noi, oggi. La dimostrazione di una identità che molte generazioni di ebrei sono riuscite a preservare, difendere e valorizzare. Ringrazio quanti hanno dato contributi scientifici e finanziari determinanti per questo importante risultato. E auspico che ne torni lustro e beneficio all’intero territorio”.

Reperti rinvenuti
Reperti rinvenuti


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