A Pompei, un nuovo scavo archeologico in corso nell’area dell’insula dei Casti Amanti ha portato alla luce una rara tipologia abitativa che testimonia il cambiamento sociale e culturale nella Roma del I secolo d.C. La casa, che prende il nome provvisorio di “Casa di Fedra” per via di un affresco di Ippolito e Fedra recentemente ritrovato, colpisce per la scelta di rinunciare all’atrio – elemento tradizionale dell’architettura domestica romana – a favore di una disposizione più moderna e versatile degli spazi.
Questa abitazione è dunque un esempio di domus senza atrio, una scelta che differisce dallo schema tipico delle case romane del periodo repubblicano, in cui l’atrio centrale rappresentava sia il fulcro di rappresentanza per la famiglia sia lo spazio deputato alla celebrazione della virtus familiare. Questo spazio aperto, con la sala di ricevimento (tablino) e le aree espositive per trofei e ritratti di famiglia, rappresentava la scena sociale in cui il proprietario interagiva con i suoi clientes e dimostrava l’onore e la dignità della sua stirpe. La progressiva scomparsa dell’atrio nelle case a Pompei testimonia l’evoluzione delle relazioni sociali e delle pratiche abitative, aprendo la strada a un concetto di vita domestica più privato e riservato, svincolato dalla necessità di ostentare il proprio rango tramite l’architettura della casa.
“È un esempio di archeologia pubblica o, come preferisco chiamarla, archeologia circolare: conservazione, ricerca, gestione, accessibilità e fruizione formano un circuito virtuoso”, spiega il Direttore del Parco, Gabriel Zuchtriegel. “Scavare e restaurare sotto gli occhi dei visitatori, ma anche pubblicare i dati online sul nostro e-journal e sulla piattaforma open.pompeiisites.org significa restituire alla società che finanzia le nostre attività tramite biglietti, tasse e sponsorizzazioni la piena trasparenza di ciò che facciamo, non per il bene di una ristretta cerchia di studiosi, ma per tutti. L’archeologia deve essere di tutti perché solo così creeremo comprensione verso gli archeologi che lavorano in tutta Italia sui cantieri nell’ambito della cosiddetta archeologia preventiva. Se il cantiere della metro o di una strada ritarda a causa di rinvenimenti archeologici, visitare Pompei e osservare il lavoro di archeologi e restauratori può aiutarci a capire perché vale la pena documentare e salvaguardare le tracce delle generazioni che hanno vissuto prima di noi”.
Nella Roma antica, la struttura con atrio era consolidata da circa sei secoli, ma alla vigilia dell’eruzione del Vesuvio nel 79 d.C., già si intravedevano i segni di una trasformazione. Le case più moderne avevano un cortile-peristilio attorno al quale si disponevano gli ambienti di rappresentanza. Un esempio successivo di questo cambiamento è la Casa di Diana a Ostia, costruita nella prima metà del II secolo d.C., dove il peristilio sostituisce l’atrio come spazio centrale e il cortile diventa il nuovo fulcro della vita domestica.
Studi recenti rivelano che circa il 20% delle abitazioni catalogate a Pompei conservano l’atrio, mentre molte delle altre, perlopiù botteghe, appartamenti di piccole dimensioni o spazi produttivi, ne sono prive. Tuttavia, alcune case di dimensioni più ampie e caratterizzate da elementi decorativi sofisticati si discostano dal modello aulico dell’atrio, come nel caso della Casa di Fedra. Qui, la mancanza dell’atrio non è dettata da limitazioni di spazio – che avrebbe comunque consentito l’inserimento di un atrio ristretto – bensì da una precisa scelta culturale.
Nella Casa di Fedra, situata nell’insula dei Casti Amanti, sono stati ritrovati affreschi di grande pregio che dimostrano un’elevata qualità artistica. Oltre alla scena mitologica di Fedra e Ippolito, che ha ispirato il nome provvisorio dell’abitazione, sono stati rinvenuti dipinti che rappresentano un symplegma, ovvero un amplesso, tra satiro e ninfa, una coppia divina – probabilmente Venere e Adone – e altre figure, tra cui una scena danneggiata che si ipotizza possa raffigurare il giudizio di Paride.
La struttura della casa, con una superficie di circa 120 mq, mostra una distribuzione degli spazi orientata verso la funzionalità e la rappresentanza in chiave privata: un ambiente produttivo e commerciale, situato verso la strada e sviluppato su due piani, sostituisce il tradizionale atrio come primo spazio di accesso alla casa. Dietro questo ambiente, si aprono tre stanze decorate in IV stile, tra cui una sorta di sala di ricevimento o ufficio di famiglia, che sembra ereditare la funzione di quello che una volta era il tablino.
Gli altri ambienti principali si sviluppano attorno a un piccolo cortile-peristilio, elemento che allude ai giardini centrali delle grandi ville romane. In questo cortile, decorato da un larario, sono stati rinvenuti resti di sacrifici, probabilmente offerti poco prima dell’eruzione. Da qui si accede alla cucina, alla latrina e ad altre stanze di rappresentanza, tra cui un ambiente decorato con affreschi mitologici che conferiscono alla casa uno status di pregio.
La rinuncia all’atrio nelle domus di Pompei sembra riflettere un cambiamento nelle esigenze della società dell’epoca. Fino al I secolo d.C., l’atrio costituiva uno spazio di rappresentanza, dove il proprietario esponeva trofei, ritratti e altri simboli del suo prestigio. Con il tempo, tuttavia, i Romani cominciarono a vedere nell’abitazione un luogo più privato, e la dignitas personale si trasferì dagli elementi architettonici alla persona stessa. Nelle epoche successive, l’abbigliamento e gli accessori iniziarono a definire il rango e la funzione sociale degli individui, una tendenza che raggiunse il culmine in età tardo imperiale.
Il declino dell’atrio è anche il segnale di un diverso rapporto tra la famiglia e la casa. Nella Roma antica, la domus era uno spazio che rappresentava la gens, ovvero il casato familiare, nella sua interezza. Col passare dei secoli, si passa progressivamente a una concezione più individualista, dove il ruolo sociale dell’individuo diventa indipendente dalla casa di appartenenza.
Le evidenze archeologiche, come quelle della Casa di Fedra, raccontano una storia di trasformazione che riguarda non solo l’architettura domestica, ma anche le abitudini e l’identità sociale degli antichi romani. Alcuni studiosi ritengono che proprio i liberti e i commercianti di origini modeste abbiano adottato per primi questo nuovo modello abitativo, dando origine a una tendenza destinata a espandersi nel tempo.
Un progetto di ricerca guidato dal professor Marco Galli dell’Università La Sapienza sta approfondendo lo studio dei tessuti e degli abiti ritrovati a Pompei. I risultati potrebbero confermare l’ipotesi di uno spostamento delle espressioni di status dal contesto architettonico a quello personale, facendo luce su un’evoluzione culturale che ha portato a un modo di abitare e di vivere la casa profondamente diverso da quello dei secoli precedenti.
La Pompei del 79 d.C. sembra quindi offrirci non solo uno sguardo sulla vita quotidiana dell’epoca, ma anche indizi preziosi sul lungo processo di trasformazione della società romana, che avrebbe poi portato all’emergere di una nuova forma di rappresentanza sociale basata meno sulle strutture materiali e più sugli attributi individuali.