A Pompei si avviano verso la conclusione i lavori sugli affreschi del termopolio, la “tavola calda” dell’antica città, che sono riemersi nel marzo 2019: lo scorso anno la struttura commerciale era stata indagata solo parzialmente nell’ambito degli interventi del Grande Progetto Pompei per la messa in sicurezza e il consolidamento dei fronti di scavo storici, ma i lavori, data l’importanza dell’ambiente e delle sue decorazioni, sono andati avanti col fine di far riemergere l’intera configurazione del locale. I termopoli, locali in cui si servivano bevande e cibi caldi conservati in grandi dolia (giare) incassati nel bancone in muratura, erano molto diffusi nel mondo romano, dove era abitudine consumare il prandium (il pasto) fuori casa. Nella sola Pompei se ne contano una ottantina. Quello appena indagato si trova all’incrocio tra il vicolo delle Nozze d’Argento e il vicolo dei Balconi. Lo scavo è stato così condotto a termine e sono stati oggi comunicati i risultati.
Di grande pregio, in particolare, le decorazioni del bancone, le prime emerse dallo scavo, che presentano sul fronte l’immagine di una Nereide, ovvero una ninfa del mare, a cavallo, e sul lato corto l’illustrazione della bottega stessa, a mo’ di insegna commerciale: si tratta delle decorazioni che erano già state rese note lo scorso anno. Nel corso della nuova fase di scavo sono emerse altre decorazioni sull’ultimo braccio di bancone portato alla luce: si tratta di scene di nature morte e rappresentazioni di animali, che probabilmente venivano macellati e venduti nel locale. Frammenti ossei, pertinenti gli stessi animali, sono stati inoltre rinvenuti all’interno di recipienti ricavati nello spessore del bancone contenenti cibi destinati alla vendita. Le decorazioni mostrano, ad esempio, due anatre esposte a testa in giù, pronte ad essere preparate e consumate, un gallo e un cane al guinzaglio. È stata trovata anche un’iscrizione graffita che recita Nicia cineadecacator sulla cornice che racchiude la raffigurazione del cane, che si rivolge a un certo Nicia chiamandolo “cagatore invertito” (si pensa si tratti di uno scherzo fatto a qualcuno che lavorava nel termopolio).
Le prime analisi, fa sapere l’antropologa Valeria Amoretti che ha lavorato allo scavo, confermano come le pitture sul bancone rappresentino, almeno in parte, i cibi e le bevande effettivamente venduti all’interno del termopolio: tra i dipinti del bancone sono raffigurate due anatre, e in effetti un frammento osseo di anatra è stato rinvenuto all’interno di uno dei contenitori, insieme a suino, caprovini, pesce e lumache di terra, testimoniando la grande varietà di prodotti di origine animale utilizzati per la preparazione delle pietanze. Le prime analisi archeobotaniche hanno permesso di individuare frammenti di quercia caducifoglie, probabilmente pertinente a elementi strutturali del bancone. Sul fondo di un dolio (identificato come contenitore da vino sulla base della bottiglia per attingere rinvenuta al suo interno) è stata individuata la presenza di fave, intenzionalmente frammentate/macinate. Il cuoco Apicio, nel suo trattato De re Coquinaria (I,5) ce ne fornisce il motivo, asserendo che venivano usate per modificare il gusto e il colore del vino, sbiancandolo.
Nel sito sono state rinvenute anche ossa umane di vittime dell’eruzione del Vesuvio, sconvolte probabilmente dagli scavatori clandestini che frequentarono il sito nei secoli addietro. Nell’angolo tra le due porte è stato trovato anche uno scheletro completo di cane, alto 20-25 centimetri alla spalla (un’evenienza non così frequente visto che i romani preferivano cani di più grandi dimensioni, ma erano in grado di selezionare anche cani di piccola taglia). E poi ancora, è stato trovato materiale da dispensa e da trasporto: si tratta di nove anfore, una patera di bronzo, due fiasche, un’olla di ceramica comune da mensa. Il piano pavimentale di tutto l’ambiente è costituito da uno strato di cocciopesto (rivestimento impermeabile composto da frammenti in terracotta), in cui in alcuni punti sono stati inseriti frammenti di marmi policromi (alabastro, portasanta, breccia verde e bardiglio).
“Con un lavoro di squadra, che ha richiesto norme legislative e qualità delle persone”, dichiara il ministro dei beni culturali Dario Franceschini, “oggi Pompei è indicata nel mondo come un esempio di tutela e gestione, tornando a essere uno dei luoghi più visitati in Italia in cui si fa ricerca, si continua a scavare e si fanno scoperte straordinarie come questa”.
“Oltre a trattarsi di una ulteriore testimonianza della vita quotidiana a Pompei”, spiega Massimo Osanna, direttore generale ad interim del Parco Archeologico di Pompei, “le possibilità di analisi di questo termopolio sono eccezionali, perché per la prima volta si è scavato un simile ambiente per intero ed è stato possibile condurre tutte le analisi che le tecnologie odierne consentono. I materiali rinvenuti sono stati, infatti, scavati e studiati sotto ogni aspetto da un team interdisciplinare composto da: antropologo fisico, archeologo, archeobotanico, archeozoologo, geologo, vulcanologo. I materiali saranno ulteriormente analizzati in laboratorio e in particolari i resti rinvenuti nei dolia (contenitori in terracotta) del bancone, rappresenteranno dei dati eccezionali per capire cosa veniva venduto e quale era la dieta alimentare”.
Pompei, ecco com'era un antico bar. Finito lo scavo del termopolio scoperto nel 2019 |