Il 2013 di Antiquitates inizia laddove era terminato il 2012, ovvero al Museo del Bargello di Firenze. Questa volta, Luca ci parla della Lamina di Agilulfo, un reperto di arte longobarda, una produzione di oreficeria che rappresenta la più antica raffigurazione di un principe germanico in trono che conosciamo. Si trattava probabilmente della decorazione di un elmo da parata.
Il percorso segnato dalla rubrica “Antiquitates” torna di nuovo al Museo Nazionale del Bargello di Firenze, piccolo scrigno di gioielli di incommensurabile valore per la storia dell’arte e per tutti gli amanti della produzione culturale.
Conosciuto dal grande pubblico per l’ospitalità che offre a grandi capolavori dell’arte rinascimentale fiorentina di fama universale (come non nominare, ad esempio, le formelle di Ghiberti e Brunelleschi relative al concorso indetto nel 1401 per la porta Nord del battistero fiorentino; le opere di Donatello, tra cui il David bronzeo e il San Giorgio un tempo conservato in una delle nicchie esterne della chiesa di Orsammichele; o ancora il Bacco e il tondo Pitti di Michelangelo e tante altre ancora), il museo accoglie nella sua collezione anche una ricchissima raccolta di oggetti di epoca medioevale che, seppur meno rinomati e meno celebrati dai “grandi numeri”, meritano la stessa attenzione, riguardo e rispetto dei loro compagni “più illustri”.
Se nella puntata precedente abbiamo avuto modo di parlare del Flabellum di Tournus, opera carolingia di IX secolo, è intenzione di chi scrive puntare i riflettori questa volta su un piccolo manufatto di oreficeria di importanza capitale per quanto riguarda la produzione artistica longobarda dell’Italia centro settentrionale. Si tratta della così detta Lamina di Agilulfo (re dei Longobardi dal 591 al 616).
Trovata nei pressi di un non meglio identificato castello in Valdinievole, la lamina è entrata a far parte della collezione del museo nel 1889, e rappresenta la più antica raffigurazione di un principe germanico in trono conservata ai giorni nostri.
Si tratta di un oggetto in rame puro, dorato ad amalgama, di forma trapezoidale (18,9 x 6,7 cm circa) lavorato a sbalzo dal verso e finemente rifinito a cesello sul recto. La scena è realizzata in modo simmetrico, creata cioè in maniera che, fatta eccezione per la figura centrale, i personaggi ai suoi fianchi sono rappresentati in maniera speculare. Il lato inferiore presenta due rientranze semicircolari. Al centro è rappresentato Agilulfo seduto in trono in posizione frontale coi piedi poggiati su uno sgabello, la mano destra alzata in atto di benedire, la sinistra che sorregge una spatha. Ai lati del re sono due soldati che indossano elmetto e cimiero, con scudo e lancia; tra le teste di questi tre personaggi campeggia, rovinata, l’iscrizione «AG / IL / U(lf) / REGI» che identifica il sovrano. Due vittorie alate si stanno librando in direzione del sovrano e recano in mano un corno e un vessillo sul quale si legge «VICTVRIA». Altri due personaggi alle estremità delle vittorie sono rappresentati coi corpi rivolti in direzione del sovrano: uno indica con le mani in il re, mentre quello più esterno reca una corona sormontata da una croce.
Come molti degli oggetti di produzione medioevale di cui non sia stata conservata alcuna documentazione, anche questo ha fatto discutere la critica per molto tempo e, nonostante ad oggi alcuni dei dilemmi siano stati risolti grazie alle più aggiornate indagini scientifiche realizzate sul pezzo, diversi rimangono i punti di divergenza.
Primo tra tutti, gli studiosi si sono chiesti quale fosse la funzione originale dell’oggetto. Sebbene diverse siano state le ipotesi proposte nel corso di quasi un secolo e mezzo dal ritrovamento della lamina, oggi si tende a dare per certo che essa rappresentasse il fronte si un elmo, quasi sicuramente da parata. Le rientranze semicircolari sul lato inferiore della lastra infatti suggeriscono il seguire l’arcata sopracciliare di un volto. Inoltre pare che il pezzo fosse curvo sia in senso orizzontale che in senso verticale. Prova ne sarebbe la spaccatura che corre obliqua dall’alto in basso della lastra, causata forza dal tentativo manuale di appiattirla dopo il suo ritrovamento per poterla vendere sul mercato dei collezionisti di fine ‘800. Inoltre molti dei fori che corrono lungo i margini esterni del pezzo indicherebbero i mezzi per far correre un filo che tenesse unito alla lamina, il cuoio da fissare internamente ad essa.
Un altro dei punti critici è stato il tentativo di riconoscere la provenienza dell’artigiano che si è occupato della forgiatura della lastra e la sua cultura: qualcuno ha tentato di vedere un personaggio di origini bizantine, altri un italico che prosegue modi di rappresentazioni tardo antiche aggiornate al gusto barbarico, altri ancora un longobardo che tenta di imitare goffamente i modi tardo antichi. Quello che è certo è che si tratta di una raffigurazione che richiama e che sicuramente si rifà alle rappresentazioni degli imperatori di epoca tardo antica, come quella presente sul missorium di Teodosio realizzato alla fine del IV secolo per commemorare il decennale o il quindicennale del regno dell’imperatore, e conservato presso la Real Academia de la Historia di Madrid.
Nonostante il totale silenzio delle fonti, ci troviamo di fronte ad un pezzo di eccezionale prestigio, garantito anche dalla raffinatezza della tecnica esecutiva e del materiale utilizzato. Le analisi effettuate sul pezzo, infatti, hanno dimostrato che si tratta di una lastra di rame puro, così come puro è l’oro per la doratura stesa attraverso la tecnica dell’amalgama di mercurio (si mescola cioè, l’oro al mercurio in modo da ottenere un amalgama che, una volta steso sulle parti da dorare e portato a temperatura elevata, permette di ottenere una perfetta doratura). Si deve dunque ricondurre l’opera ad una committenza elevata, strettamente legata all’ambito di re Agilulfo che utilizza schemi di tradizione imperiale per affermare decisamente il proprio potere nei territori conquistati.
Bibliografia:
Luca Cipriani