Protagonista di questa puntata della rubrica di "Antiquitates" è il "Flabellum" proveniente dall'abbazia di Saint-Philibert di Tournus, cittadina francese della Borgogna inserita in una zona molto bella tra Mâcon e Beaune e non lontana da Digione. L'opera, oggi conservata al Museo del Bargello di Firenze (Luca ci racconta anche come ha fatto ad arrivarci) è un oggetto liturgico di età carolingia che si utilizzava sopra l'altare per rinfrescare l'aria e scacciare gli insetti. Luca ci parla nei dettagli di questo interessantissimo capolavoro.
Chi si trovasse un giorno a girare per il capoluogo toscano non può esimersi dal visitare, almeno una volta, il Museo del Bargello. Si situa nel cuore di Firenze, a metà strada tra la Piazza della Signoria e la cattedrale di Santa Maria del Fiore, in uno dei palazzi più antichi del medioevo fiorentino, il Palazzo del Podestà. Creato nel 1865, il patrimonio del museo si arricchì incommensurabilmente nel 1888, quando Louis Carrand, antiquario e collezionista francese di fama europea, contrariato dalle politiche museali della madre patria, donò la propria collezione con un lascito testamentario al museo, a patto che questa non fosse dispersa e che fosse esposta al pubblico. Il Bargello divenne quindi una delle più importanti raccolte di “arti minori” in Italia, al pari del Musée de Cluny di Parigi per la Francia, e del South Kensington Museum di Londra (il futuro Victoria and Albert Museum) per l’Inghilterra. Una collezione di valore inestimabile che contava più di 3000 oggetti tra armi, dittici, posate, scacchi, quadri, orologi, oreficeria sacra e profana, cofanetti, smalti, sigilli, cristalli, vetri, maioliche ecc. Il nucleo più prestigioso della raccolta Carrand era composto dai 265 avori che testimoniavano l’evoluzione della microscultura dal V al XVII secolo.
Fiore all’occhiello di tutta la collezione, il cosiddetto Flabellum di Tournus, primeggia nell’esposizione degli avori. Il flabello, o ventilabrum, è un oggetto in uso nella liturgia occidentale fino al XIII secolo (ancora in uso in quella ortodossa) che veniva utilizzato sopra l’altare per rinfrescare l’aria e allontanare gli insetti soprattutto dal calice. L’esemplare del Bargello è documentato fino alla fine del ‘700 presso l’abbazia di Saint-Philibert di Tournus (a sud di Digione); con la soppressione napoleonica degli enti monastici, passò in mano a una serie di collezionisti fino a quando non venne acquistato, nel 1845, da Jean-Baptiste Carrand, padre di Louis. Si tratta di un capolavoro di età carolingia.
Il flabello si può dividere in tre parti distinte: un lungo manico cilindrico, realizzato in osso intagliato e dipinto, al quale si collega un astuccio rettangolare, in avorio, nel quale veniva conservato il ventaglio di pergamena ripiegato.
L’asta del manico è composta da quattro parti distinte separate da borchie (sempre in osso) dipinte di verde. Sopra una di queste borchie è incisa la dedica JOHEL ME SCAE FECIT IN HONORE MARIAE (Johel mi fece in onore di Santa Maria). Johel è un personaggio non identificabile che potrebbe rappresentare sia il committente che l’artefice del ventaglio. Le quattro parti che compongono l’asta sono intagliate due con semplici scanalature verticali; le altre mostrano capre e uccelli, realizzati a bassorilievo, che stanno attorno a una pianta rampicante che si sviluppa lungo tutta la lunghezza. Un piccolo capitello quadrangolare serve da raccordo tra il manico e l’astuccio. Ognuno dei quattro lati mostra una nicchia intagliata entro le quali stanno quattro figure identificabili grazie ad un’iscrizione alla base. Vi sono, dunque, San Pietro, San Filiberto, Maria e San Paolo (quest’ultimo frutto di una sostituzione successiva, dato che l’iscrizione “ S. AGN.” identifica Sant Agnese).
L’astuccio è realizzato con varie placche in avorio intagliate e unite assieme da elementi di raccordo. I lati corti mostrano una serie di volute vegetali, di ispirazione decisamente classica, animate da animali e personaggi la cui posizione all’interno dei girali disorienta l’osservatore per la mancanza di un preciso riferimento spaziale (ad esempio cambia continuamente il piano di terra). Grande attenzione e ammirazione hanno ricevuto soprattutto le sei placchette che vanno a formare il coperchio e la base dell’astuccio. Sono state riconosciute negli intagli delle placchette raffigurazioni di scene tratte dalle Bucoliche di Virgilio. Gli studiosi hanno quindi individuato gli episodi di Titiro e Melibeo (I ecloga); Pan e Gallo (X ecloga); Coridone in meditazione sotto un albero (II ecloga); il ritratto di Virgilio; Menalco e Mopso che rimpiangono Dafne (V ecloga); infine una gara musicale (che potrebbe corrispondere alla III o alla IV ecloga). È significativa la presenza di questi intagli, il cui stile e la cui realizzazione sono perfettamente collegate con il resto degli intagli (e quindi contemporanei) in quanto testimoniano la fortuna dell’opera virgiliana anche all’interno della corte carolingia. Sapendo, poi, che almeno tre redazioni tardo antiche dei testi del poeta di età augustea erano presenti all’interno delle abbazie carolinge alla cui guida erano stati messi membri della famiglia imperiale, o alti dignitari direttamente collegati alla corte, si spiega ancora di più il gusto raffinatissimo di tali realizzazioni. Il così detto Virgilio Romano ad esempio (di cui ci siamo occupati nella sesta puntata) era conservato presso l’abbazia di Saint Denis a Parigi fino dal IX secolo.
Il ventaglio propriamente detto, infine, è composto da due fogli di pergamena cuciti insieme a formare una lunga striscia (circa 142 cm di lunghezza per 20 di altezza) decorata a fasce sia sul recto che sul verso. Tre lunghe iscrizioni dividono la decorazione in tre fasce principali. Le iscrizioni sono dorate indicano l’uso dell’oggetto.
Sul recto leggiamo: Ricevi benevolmente, supremo sovrano dei cieli, il dono di un soffio offerto da un cuore puro / Vergine, madre di Cristo, tu sei celebrata con questa medesima offerta e tu, Filiberto, prete, sei parimenti qui onorato / Due cose reca questo piccolo flabello in estate. Allontana le mosche accanite e attenua il caldo; consente di apprezzare senza disgusto l’offerta di cibi. Per questa ragione che voglia trascorrere un’annata calda e desideri vivere al riparo delle mosche nere, si premunisca di un flabello per tutta l’estate.
Sul verso, invece: È bene che questo notevole ornamento, maneggiato con eleganza, si trovi sempre in luogo sacro. / Infatti esso respinge col suo soffio i volatili accaniti e il suo movimento, sfiorandoli leggermente, li allontana. / Il flabello rimuove anche l’aria stagnante e, finché regna la bruciante calura, reca vento e calma e mette in fuga i volatili immondi e impuri.
Tra le iscrizioni, come abbiamo detto, vi sono tre fasce decorate in maniera elegantissima (sia per quanto riguarda la realizzazione vera e propria che per la notevole gamma cromatica utilizzata). Sulla fascia superiore appare una decorazione vegetale continua formata da girali di acanto animati da oltre 80 specie di animali (reali o fantastici). Nella zona mediana vengono variamente ancora raffigurati animali e piante ma non in modo continuo: essi stanno all’interno dell’area formata dalle iscrizioni e dalle pieghe del ventaglio. In questi spazi compaiono anche una serie di santi. La fascia inferiore invece presenta un motivo decorativo molto più semplice che fa da cornice alla pergamena.
L’unità di stile sia all’interno degli intagli che nelle miniature del ventaglio vero e proprio ci assicura che l’oggetto è stato realizzato in un solo momento. Era destinato fino dall’inizio per i monaci del monastero di Saint Philibert (l’immagine del santo in una delle nicchie del capitellino scolpito, la sua rappresentazione nelle miniature e la dedica a lui all’interno delle iscrizioni, ce ne danno la conferma). Non è possibile riconoscere con precisione il posto in cui fu realizzato un oggetto di tale prestigio. Le fonti iconografiche antiche e tardo antiche cui si ispirano gli intagli e le miniature sono le già ricordate rappresentazioni delle ecloghe virgiliane, le Favole di Esopo e il Physiologus (un testo compendiario che descriveva e rappresentava gli animali conosciuti). Pur se con un certo margine di incertezza, la vicinanza di stile del Flabellum con una serie di altre opere carolinge (sia miniate che scolpite) ha fatto supporre tuttavia, che questo sia stata realizzato nella seconda metà del IX secolo all’interno del crogiuolo di stili che si fusero durante il periodo di regno di Carlo il Calvo.
Bilbiografia
Luca Cipriani