Rodolfo II, mecenate di Giuseppe Arcimboldi oltre che di tanti altri artisti, fu un imperatore dotato di una particolare personalità che lo portava a curarsi poco della politica, ma a coltivare notevole interesse per le arti e per la scienza. Rodolfo II si ricorda anche per la costituzione di una splendida Wunderkammer di cui facevano parte gli oggetti più disparati: ce ne parla Giovanni nel suo articolo!
Pronipote per doppia discendenza da Giovanna la Pazza, Rodolfo II nel 1563, all'età di appena undici anni fu inviato a Madrid, dallo zio Filippo II, perché venisse educato secondo il modello spagnolo. E, dopo sette anni, la sua formazione fu completata. Il bigottismo, gli intrighi di corte, le pomposità religiose, i roghi dell'Inquisizione ebbero di certo un influsso profondo sulla personalità del giovane principe, accendendo in lui una timidezza morbosa, un'ansia di solitudine e manie di grandezza e persecuzione che poi lo accompagneranno, ingigantendosi, per tutto il corso della sua vita.
Gli studi effettuati e le competenze apprese rivelano la vastità dei suoi interessi: sapeva leggere poeti latini, parlava diverse lingue, specialmente il tedesco, lo spagnolo e il ceco. Si interessava di alchimia, di scienze, di fisica, di astrologia e di magia. Si circondava di quadri, oggetti preziosi e armi, e invitava a corte alchimisti, pittori e indovini. Lui stesso amava dipingere, tessere e fare lavori d'intaglio e di orologeria. Di contro, partecipava malvolentieri alle riunioni del consiglio di corte, trascurando gli affari di stato che affidava spesso agli uomini che gli ronzavano attorno, mentre lui si chiudeva nell'intimo del castello praghese. Restio a concedere udienze, lasciava che ambasciatori stranieri attendessero mesi e mesi nelle anticamente, preferendo la compagnia di stregoni, astrologi e ciarlatani. Tuttavia fu sempre geloso del proprio potere, assai superstizioso, propenso a inventarsi fantasmi persecutori e molto vendicativo nei confronti di chi non gli offriva piena fiducia (la notte del 26 settembre 1600 assalì col pugnale un ciambellano, che sospettava di malevolenza. Ancora, credendo che si proponesse di scalzarlo dal trono, gettò in prigione perpetua, senza averne le prove, un altro gran ciambellano). Non si sposò mai, per titubanza e perché, secondo un oroscopo, un erede legittimo lo avrebbe privato del trono. Ma si consolò con una folta schiera di concubine, la preferita delle quali fu la figlia dell'antiquario di corte Jacopo Strada, che partorì anche sei figli, tre maschi e tre femmine.
Rodolfo ebbe a corte pittori e scultori notevolissimi, che gratificava con doni, benefici e favori. L'Arcimboldo, Bartholomaus Spranger, Adriaen de Vries, Pieter Stevens, Hans von Aachen, Daniel Froeschl, e molti altri, in prevalenza tedeschi e dei Paesi Bassi, costituirono intorno all'imperatore una sorta di scuola, il cui segno comune è il manierismo. Giungevano in gruppi, legati da amicizie e parentele, nuovi maestri prendevano il posto dei vecchi, al castello era un via vai continuo di miniaturisti, medagliai, lapidari, pittori di paesaggi, di scene sacre e di selvaggina. Il desiderio di ornare la corte di una gran folla di artisti fa riscontro in Rodolfo all'ansia spasmodica di collezionare, di accumulare preziosi e rarità e naturalia, carezzare gli oggetti, conservarli gelosamente, goderne come un avaro. Già il nonno Ferdinando I, il padre Massimiliano II e lo zio, l'arciduca del Tirolo, erano fervidi collezionisti ed archeologi, m in questo Rodolfo non ebbe pari. Il frutto fu una Kunst-und Wunderkammer sublime, improntata al meraviglioso, concordando cosi con il gusto del tempo incline al manierismo. Su mensole e tavoli, dentro armadi e forzieri erano accumulati, tra gli altri: calchi di lucertole in gesso e di altre bestie in argento, corazze di tartaruga, madreperle, noci di cocco, pupazzetti di cera a colori, figurine di argilla egizia, finissimi specchi di vetro, e di acciaio, occhiali, coralli, scatole con piume, vasi di paglia e legno, pitture giapponesi, noci d'argento battuto e indorato, tavolieri d'ambra, e d'avorio per giocare a dadi, un teschio in ambra gialla, calici d'ambra, paesaggi di diaspro di Boemia, topazi, cristalli, mosaici, un liuto d'argento, corni di rinoceronti, porcellane, drappi, bandiere, museruole, collane, pistole, automi, piume di colibrì. Insomma, elementi provenienti da tutti i regni della natura e lontananze geografiche, una febbre di oggetti che nasce in Rodolfo dalla voglia di riempire il vuoto che lo assale, di vincere la forza della solitudine, di innalzare muraglie contro la morte. L'arte dell'Arcimboldo è dunque fortemente connessa con le predilezioni di Rodolfo II, col suo amore per gli automi, per i fantocci meccanici, col mondo bizzarro ed esotico che lo attorniava, col senso alchemico dell'amalgama dei corpi diversi, instaurando un rapporto intenso tra i ritratti ibridi del pittore e la Kunstkammer di Rodolfo. Queste facce composte hanno infatti sì qualcosa di grottesco, di ironico e carnevalesco, ma allo stesso tempo suggeriscono vuoto, orrore, un lugubre senso di disfacimento e di morte.
Arcimboldo immortala l'imperatore in un ritratto, anche lui intarsio di pezzi, “Rodolfo Vertumno”, lussureggiante conglomerato di frutta: pesca per la guancia, pera per il naso, tralci e grappoli e spighe come capelli, una spinosa castagna come barba.
Giovanni De Girolamo