La più famosa realizzazione di Altichiero è la "Crocifissione" che si trova a Padova nella Cappella di San Giacomo (o di San Felice) all'interno della Basilica di Sant'Antonio. Ma questa cappella ospita diversi altri affreschi, che sono oggetto di una delle più spinose questioni attributive dell'arte trecentesca: per alcuni di questi dipinti infatti è stato anche proposto il nome di Jacopo Avanzi. Giovanni ci parla di tutto questo nel suo articolo.
La cappella di San Giacomo al Santo, poi San Felice, venne edificata a partire dal 1732 per opera dello scultore e architetto veneziano Andriolo De Santi. Il committente era Bonifacio Lupi di Soragna, uno dei più ricchi e influenti uomini della corte di Francesco il Vecchio da Carrara, di cui fu anche ambasciatore presso la corte di Luigi il Grande d'Ungheria. Oltre al marchese, che era stato esiliato dalla sua città di origine, Parma, un ruolo importante per la commissione di questi lavori, come risulta da alcuni documenti, ebbe la sua seconda moglie, Caterina dei Franceschi, originaria di Staggia, nelle campagne fiorentine. La corte carrarese era, come si sa, un centro molto attivo dal punto di vista culturale e lo stesso Bonifacio ne era in qualche modo coinvolto, essendo in stretto contatto con Lombardo Della Seta, amico e collaboratore del poeta Petrarca, di cui portò a termine il De Viris illustribus.
La cappella si apre al centro della Basilica, nella parte meridionale, proprio di fronte a quella che custodisce il corpo di Sant'Antonio. Essa è espressione di un gusto ormai chiaramente indirizzato allo stile gotico, nordicheggiante: la sua struttura rettangolare, con il lato lungo adiacente alla navata, è ornata all'esterno, verso la chiesa, di una elegante sequenza di archi trilobi su sottili colonne che sorreggono un paramento murario a scaglie di marmo alternativamente rossi e bianchi, dove si affacciano edicole a contenere altrettante figure di santi in marmo chiaro. L'ambiente ospita, sulla parete di fondo, due semplici tombe pensili dei Rossi di Parma e dei Lupi di Soragna. All'interno è interamente rivestita di affreschi: nelle vele delle tre volte, ricoperte di azzurro stellato, entro medaglioni tondi sono i Simboli degli Evangelisti, i Dottori della Chiesa, e i Profeti; nei sottarchi ancora busti di Profeti e Santi. Le lunette della parte superiore della cappella, in tutto otto, presentano Storie della vita di San Giacomo Maggiore, secondo la narrazione che ne fece Jacopo da Varagine nella sua notissima Leggenda Aurea: tra le altre storie compaiono Il Martirio del Santo e Il Battesimo della regina Lupa e la dedicazione della Chiesa al Santo. Completano poi l'apparato decorativo, gli affreschi delle due tombe con una Resurrezione, una Imago Pietatis e una Annunciazione. Al centro della cappella venne eretto, nel 1379, un altare con cinque statue di marmo, raffinata opera dello scultore Rainaldo di Francia, oggi conservato al Museo Antoniano. La cappella e i suoi affreschi furono più volte restaurati e rimaneggiati, soggetti dunque a rifacimenti e puliture.
La questione dell'attribuzione degli affreschi è una delle più complesse e intricate della storia dell'arte trecentesca, e si è risolta solo pochi anni fa con la scoperta da parte di padre Antonio Sartorio di un documento, risalente al 1379, dal quale risulta che una grossa somma di danaro venne pagata al pittore veronese Altichiero, a saldo della decorazione. In precedenza le fonti antiche avevano fatto il nome di Jacopo Avanzi, bolognese, oltre a quello di Altichiero. Effettivamente gli studiosi e critici più recenti hanno cominciato a vedere nella decorazione due personalità diverse: una prima attiva nelle lunette delle zone superiori e una seconda presente nella parte inferiore della cappella, identificata proprio con Altichiero. La pubblicazione del documento del 1379 con il saldo conferma che autore di quasi tutti gli affreschi fu Altichiero. Una delle tre volte con il relativo sottarco, le prime tre lunette e la sesta con le Storie di San Giacomo sono invece state attribuite a una mano certamente diversa, forse il bolognese Jacopo Avanzi. Tutte le restanti sono invece opera di Altichiero, che si distingue innanzitutto per il colore più morbido e caldo, steso con leggere pennellate, ricco di sfumature e accordi cromatici (a differenza invece dei colori acidi e dai timbri prevalentemente freddi adoperati dal collego Jacopo); i volti dei personaggi sono più delicati, costruiti con passaggi lievi di tinte con effetti finali di grande dolcezza nelle espressioni; le stesse architetture assumono colori rosati e le vesti si dilatano in calibrati effetti coloristici. Le composizioni, affollate di personaggi, hanno un ritmo pacato e si coglie negli astanti un ritmo greve e solenne. Il momento più impressionante è nella vasta Crocifissione, sulla parte di fondo, che cattura chi osserva con la spettacolarità delle immagini, impaginate con una grande varietà di soluzioni, che culmina nella figura del Cristo, bellissima nel corpo classico e chiaro, alta su tutti gli astanti e i fedeli, contro un paesaggio profondo e amplissimo, circondato da angioletti che piangono il loro dolore. Alla base di dispone il gruppo delle donne, raccolte attorno alla figura di Maria, vera nelle lacrime che scendono sul volto; sulla destra, oltre al gruppo dei soldati che si tirano a sorte le vesti di Cristo, alcuni astanti, colti con una lenticolare resa dei volti dalle morbide barbe, mostrano invece segni di lutto e di tristezza.
Altichiero, dunque, grande protagonista della pittura padovana dell'ultima fase della signoria di Francesco il Vecchio, ha lasciato qui una delle prove più alte della sua abilità col pennello e coi colori, configurandosi come uno dei più grandi pittori italiani del Trecento. A Padova, oltre ai Lupi di Soragna, Altichiero lavora per altri signori patavini, come i Dotti, confermando la sua caratteristica di pittore di corte (a Verona, ad esempio, era stato al servizio della famiglia Cavalli e di Cansignorio della Scala), attento quindi non solo alla resa particolarmente raffinata dei soggetti, ma anche a innovative scelte iconografiche.
Giovanni De Girolamo