L'elegante arte di Gentile da Fabriano

La nota

2012, Decima puntata

In questo appuntamento con la rubrica "La Nota", Anselmo ci porta a conoscere l'elegante e preziosa arte di Gentile da Fabriano ripercorrendo le principali opere fino al grande capolavoro della maturità, l'"Adorazione dei Magi" commissionata da Palla Strozzi, opera del 1423 oggi conservata a Firenze presso la Galleria degli Uffizi. Un grande interprete del gotico internazionale tutto da scoprire in questo bell'articolo di Anselmo!

Gentile, uno dei più importanti esponenti della pittura italiana nella prima metà del XV secolo, nacque a Fabriano in una data a noi sconosciuta, ma da collocarsi, secondo lo studioso Andrea De Marchi, negli anni settanta del 1300. Il pittore, figlio del guarnellaro Niccolò (si occupava di reperire e lavorare i tessuti che venivano utilizzati come materia prima per ricavare le fibre necessarie alla produzione della carta), rimase orfano di madre prima del 1390, anno in cui suo padre si ritirò in convento, dagli olivetani di Santa Caterina in Castelvecchio, affidando Gentile e sua sorella al loro nonno paterno, Giovanni di Massio, fabbro, sindaco della corporazione di quell’Arte e più volte priore della confraternita di Santa Maria del Mercato.

La terra in cui nacque l'artista era ricca di spunti culturali: i Chiavelli, Signori di Fabriano e capitani di ventura, possedevano una ricca biblioteca e tenevano stretti rapporti con varie corti, fra cui Venezia, e con il mondo oltremontano, essendo di origine tedesca, come annotano gli studiosi Pietro Zampetti e Giampiero Donnini. Gli stessi storici rilevano come quel territorio vide fiorire proprio negli anni a cavallo tra la fine del Trecento e i primi decenni del secolo successivo una intensa attività pittorica, aperta al gusto cortese: a Camerino operavano gli artisti Carlo ed Arcangelo di Cola mentre a San Severino lavoravano i fratelli Lorenzo ed Jacopo Salimbeni.

La formazione di Gentile probabilmente si svolse in Lombardia, terra precocemente allineata alle ricerche del Gotico internazionale, ma è un periodo della vita dell'artista in gran parte ancora oscuro. Esaminiamo due opere che emergono da questa nebbia: la prima è la Madonna col Bambino tra san Nicola e santa Caterina, il dipinto più antico del pittore marchigiano, realizzato probabilmente tra il 1395 ed il 1400, conservato nella Gemäldegalerie di Berlino: l'opera proviene dalla chiesa di San Niccolò a Fabriano, ma forse fu realizzata per quella di Santa Caterina in Castelvecchio. Il dipinto è permeato da un'aria ancora trecentesca, e ci trasmette, secondo Andrea de Marchi, “un’atmosfera profumata e sensuale, ricca di curiosità naturalistiche nella descrizione delle piante e del prato fiorito, nella morbida pienezza dei corpi”. La seconda opera si conserva a Pavia nella locale pinacoteca Malaspina: è una piccola ancona raffigurante la Madonna col Bambino tra san Francesco e santa Chiara (forse dipinta da Gentile in data antecedente alla pala di Berlino), probabilmente realizzata per il convento di Santa Chiara la Reale, fondato dalla madre di Gian Galeazzo Visconti, Bianca di Savoia. In questi due dipinti Gentile effettua un’indagine della natura acutissima, con accuratissime raffigurazioni botaniche e animalistiche, appresa nell'ambiente lombardo, elemento che ritroveremo nell'opera più importante del suo periodo fiorentino, la celeberrima Pala Strozzi.

Il rimpianto per la scarsa conoscenza della giovinezza del pittore è ancora più forte se consideriamo che a Venezia, dove è documentato dal 1408, appare un artista pienamente formato e già all'apice della fama. Lo storico Francesco Sansovino, nella sua opera “Venetia città nobilissima, e singolare” (pubblicata nel 1581) ricorda come Gentile “avendo di provisione un ducato il giorno, vestiva a maniche aperte”, abbigliamento all'ultimissima moda fra i ricchi veneziani. Nella città lagunare, punto di approdo naturale per un marchigiano, l'artista, iscritto alla scuola di San Cristoforo dei mercanti, lavorava sia per l'establishment veneziano che per i “nouveau riche”. Le sue opere erano ben più apprezzate di quelle dei suoi colleghi locali: lo prova il fatto che il 27 luglio 1408 Francesco Amadi, collezionista veneziano, paga per una “ancona de depinzer Maistro Zentil” ben lire 27,10 mentre nello stesso giorno al noto pittore veneziano Niccolò di Pietro consegna la cifra di lire 14,15 per un'altra “ancona”. Nel 1409 l'artista marchigiano viene ingaggiato per ridipingere il ciclo pittorico trecentesco presente, assai deteriorato, nella sala del Maggior Consiglio, in Palazzo Ducale. Durante questi lavori, terminati prima del 21 settembre 1415, Gentile si avvalse della collaborazione di Pisanello. Zampetti e Donnini annotano come purtroppo già nel corso del Quattrocento gli affreschi di Gentile e dei suoi collaboratori s'erano guastati o perduti del tutto e furono sostituiti con grandi tele realizzate dai Bellini, da Carpaccio e da altri artisti tra la fine del XV secolo e l'inizio del successivo. Queste opere verranno distrutte dal terribile incendio del 1577 e saranno sostituite da dipinti del Veronese, di Tintoretto, Palma il Giovane e Gerolamo Gambarato. Purtroppo sopravvivono poche opere del periodo veneziano del pittore marchigiano, ma nonostante questo, come nota De Marchi, la sua incidenza nella laguna e quindi in tutto l'Adriatico fu enorme.

Allo scadere del XIV secolo, specie dopo la scomparsa di Lorenzo Veneziano, notano Zampetti e Donnini, la pittura lagunare attraversava una evidente crisi. Gentile restituisce vitalità all'ambiente artistico locale: De Marchi scrisse come l'artista “riformò le stesse tradizioni decorative veneziane di retaggio trecentesco, gracili e calligrafiche, innervando le superfici con un fremito continuo, irregolare, e rimpolpando la figurazione di una fisicità pulsante”. Dall'artista marchigiano “discende l’arte di Giambono e di Pisanello, ma il più fedele e delicato interprete fu probabilmente Jacopo Bellini” padre di Giovanni e Gentile. De Marchi afferma come il pittore marchigiano “sfruttò la posizione privilegiata di Venezia per spedire ancone in Terraferma e lungo l’Adriatico, inserendosi in una rete commerciale ormai consolidata ma anche giovandosi delle sue conoscenze fra Umbria e Marche”. Proprio tramite questa rete giunse alla sua destinazione il Polittico di Valle Romita, capolavoro della giovinezza di Gentile, ora conservato a Milano nella Pinacoteca di Brera, realizzato nella città lagunare forse dietro committenza di Chiavello Chiavelli, signore di Fabriano, per ornare l'eremo francescano collocato nei pressi della città marchigiana, da lui acquistato il 23 dicembre 1405 per trasformarlo, secondo De Marchi, in sacello dinastico. Il dipinto rappresenta, scrivono Zampetti e Donnini, il momento culminante dell'adesione del pittore marchigiano al “mondo cortese nella sua accezione più lirica”.

Dopo l'esperienza veneziana, tra il 1414 ed il 1419, Gentile lavora a Brescia, per Pandolfo Malatesta, nuovo Signore della Città, decorando una cappella addossata all'abside di Sant'Agostino, al piano nobile del palazzo del Broletto, opera perduta. Gentile, pur in tutti questi spostamenti, rimarrà sempre orgoglioso delle sue origini fabrianesi: il 18 settembre 1419, chiedendo al Malatesta un salvacondotto “per octo persone et octo cavalli”, un seguito numeroso, altro simbolo del suo successo, per lasciare Brescia, avendo concluso i lavori della Cappella, si firmerà “El vostro Zentil da Fabriano pentore”.

Ora è tempo di chiudere la nostra breve dissertazione su Gentile analizzando la sua esperienza fiorentina, avvenuta tra il 1420 ed il 1425. La città toscana offrì all'artista, secondo De Marchi, “una sfida senza precedenti”. Gentile, prosegue lo studioso, “non rimase indifferente alle novità dell’arte fiorentina, anzi tentò da par suo un rassodamento e una semplificazione delle forme e persino scorci più impegnativi” come quello di san Giuliano, inginocchiato di spalle, nella Madonna col Bambino, san Lorenzo e san Giuliano, opera realizzata tra il 1424 ed il 1425, conservata a New York presso la Frick Collection. Secondo De Marchi “a Firenze dovettero comunque far colpo le sue carni lustrate con effetti di trasparenza setosa, le stoffe sontuose graffite sull’oro con grande libertà, ma anche la varietà affettuosa con cui sono presentati i gesti più semplici tra madre e figlio”.?Nella città fiorentina realizzò il capolavoro della sua maturità: la pala dell'Adorazione dei Magi. L'opera, firmata e datata 1423, fu commissionata da Palla Strozzi, esponente di punta di una delle più potenti famiglie della città, per decorare l'altare della sua cappella nella chiesa di Santa Trinità. L'opera, ora conservata a Firenze, presso gli Uffizi, è l’unico dipinto a tema narrativo di Gentile giunto fino a noi. L’impianto dell’opera rielabora, in chiave più armoniosa ed esuberante, un modello di pala tipicamente fiorentino, perfezionato da Lorenzo Monaco nell'Incoronazione della Vergine per Santa Maria degli Angeli e l’Adorazione dei Magi per Sant’Egidio, dipinti realizzati rispettivamente nel 1414 e nel 1420-22 (oggi collocati a Firenze, negli Uffizi). Nella pala fiorentina Gentile inserì, come abbiamo scritto prima, le accuratissime raffigurazioni botaniche e animalistiche apprese nell'ambiente lombardo: splendidi sono i particolari delle piante ritratte nel dipinto e la vividezza con cui è rappresentata la lotta tra un astore e una ghiandaia. L'artista raffigura mirabilmente piccole vicende contenute nel grande episodio evangelico, che secondo l'ipotesi di Andrea De Marchi vanno identificati come Baldassarre-giovane, Melchiorre-maturo e Gaspare-vecchio, ma ci sono anche altri che invece propongono Gaspare-giovane, Baldassarre-maturo e Melchiorre-vecchio: lo scudiero che slaccia gli speroni a Gaspare, le levatrici che, dietro la Sacra Famiglia, incuriosite aprono il contenitore contenente la mirra regalata da Melchiorre: piccoli momenti che diventano eterni.

Finita l'esperienza fiorentina il pittore si sposta prima a Siena, poi a Orvieto ed infine a Roma dove, improvvisamente, muore nel settembre del 1427 lasciando incompiuti alcuni affreschi in San Giovanni in Laterano (oggi quasi completamente perduti) che saranno completati dal Pisanello. Dopo la sua morte l'artista marchigiano verrà ancora ricordato dall'umanista Bartolomeo Fàcio nella sua opera “De viris illustribus” e da Marcantonio Michiel nei suoi scritti, ma poi, come annota De Marchi, sarà “presto frainteso e dimenticato” perché la storia figurativa “imboccò un'altra strada”, simboleggiata dalla posizione marginale in cui il Vasari relegò Gentile nelle sue “Vite”.

Anselmo Nuvolari Duodo








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