Un argomento interessante, che abbiamo accennato a chiusura della puntata: come Giotto era visto durante il suo tempo. Ambra propone nel suo articolo molti scritti di contemporanei del pittore: le sorprese sono davvero molte!
Quell'innovativa bellezza, che egli fu capace di far fiorire dalle sue mani, probabile
fu che mai, nemmeno in giovane età, fu proria del suo corpo.
Vittima innocente di una dea della bellezza con lui avara e meschina, messer Giotto
compare lì, fra gli eletti del giudizio universale all'interno della cappella Scrovegni di
Padova, dove egli stesso si raffigura con una berretta bianca sul capo, a fianco di
Dante e Giovanni Pisano.
Risuonano prorompenti le parole di Stefano Talice da Ricaldone nel descrivere senza timore quel volto così mal fatto di un artista che in pittura ben riuscì ad effigiare uomini virili e belle donne, ma capace non fu nel donare alla sua numerosa prole l'aspetto che avrebbe desiderato “...et fuit iste Giottus turpissimus homo, et turpiores filios habebat...”
Ma se la natura, da una parte toglie e dall'altra dona, la bellezza che non gli fu propria ha modo tutt'oggi di risplendere nelle sue opere, mentre la sua fama riecheggia fra gli scritti di numerosi letterati del suo tempo.
E proprio lui che nel mezzo di cammin di sua vita si ritrovò in una selva oscura, contemporaneo di messer Giotto, più anziano di lui di soli due anni, lo cita nel canto XI del Purgatorio poiché “Credette Cimabue ne la pittura tener lo campo, e ora ha Giotto il grido, si che la fama di colui è scura.”
Nel Itinerarium Syriacum, Petrarca definendolo “nostri aevi princeps” lo annovera
fra gli artisti più geniali del suo tempo, senza privarsi però di tralasciare il suo
aspetto a dir poco deforme.
E come dimenticare la VI novella della V giornata del Decameron di Boccaccio
dove l'autore, con la sua consueta ironia toscana, lo definisce con sincera
ammirazione “il miglior dipintor del mondo”.
E in tutto il mondo, il suo nome viene pronunciato con una profonda stima e
ammirazione unite talvolta ad un sorriso stemperato sulla bocca di chi sa, che egli fu
anche spiritoso e burlone.
Fra battute frizzanti e mai scontate, Giotto lasciava senza parole il povero
interlocutore divertendo di volta in volta la corte presso cui lavorava tanto che, re
Roberto di Napoli, in un documento datato 1330, lo include in modo affettuoso fra i
suoi “familiares” definendolo “il nostro caro e fedele pittore di corte”.
Ambra Grieco