Nel 1428, anno della scomparsa di Masaccio, Filippo Brunelleschi aveva compreso che quella era stata una perdita grave per l'arte italiana. Perché in quell'anno se ne andava un genio che rivoluzionò la pittura: scopriamo insieme ad Ambra la pittura di Masaccio e qualche segreto sulla sua persona!
Sembrava una voce nata dal volgo, una di quelle voci infondate e beffarde, sadiche e
invidiose al punto che tutti stentavano a crederci, ma quando quella triste
affermazione ruppe il silenzio, ogni dubbio svanì lasciando il posto ad un'amara
consapevolezza.
"Noi abbiamo fatto in Masaccio una grandissima perdita". Con tali parole, desunte
dal racconto vasariano, Filippo di Ser Brunellesco espresse il suo intimo dolore per
la prematura morte di Ser Giovanni di Mone Cassai. Proprio lui che fu "insino a'
tempi sua, di chi s'abbia notizia, riputato el migliore maestro".
Quegli occhi scuri così profondi e lievemente intrisi di una dolce tristezza sembrano
accompagnare lo sguardo di chi osserva il suo prodigio, proprio lì, dove in un tempo
lontano la volontà di messer Brancacci si concretizzò in colori e forme mai realizzate.
Quel giovane volto incorniciato da folti capelli ricci sembra non averci mai
abbandonato, insieme alla presenza costante di chi come lui lasciò un un segno nella
storia di tutti noi. Accanto a Brunelleschi, Masolino e Leon Battista Alberti, egli
appare al nostro cospetto all'interno della scena di San Pietro in cattedra in cui
dimostra al santo la sua più profonda e sentita devozione.
Di umilissime vesti, trascurato e costantemente impegnato nella sua arte, a lavoro
concluso era solito dimenticarsi la legittima retribuzione poiché assorto in pensieri
meno venali e più spirituali.
“... si curava poco di sé e manco d'altrui...” tanto che tale condotta di vita gli valse il
dispregiativo “Tommasaccio” da cui deriva il celebre appellativo Masaccio, non tanto
per il carattere poichè “...era egli tanto amorevole nel fare altrui servizio e piacere,
che più oltre non può bramarsi”, quanto per la trascuratezza dei suoi costumi e la sua
vita sregolata.
E quel profondo fervore unito alla prorompente bramosia di fare arte riecheggia
ancora oggi nelle sue opere che, come per primo affermò il Vasari, sono animate da
figure che poggiano “coi piedi in sul piano” e non più in punta di piedi.
Egli “fece gli scòrti”, ovvero conferì alle figure una profondità ed uno spessore reale
che contribuì a renderle materialmente percepibili nello spazio, quello spazio in cui i
personaggi possiedono per la prima volta anatomie salde e correttamente
proporzionate.
Quei vivi passaggi chiaroscurali creano volumi ben definiti che si muovono in uno
spazio pittorico che diventa il continuo di un contesto paesaggistico attendibile e
reale.
E come Landino affermò, egli fu "... optimo imitatore di natura di gran rilievo
universale buono componitore et puro sanza ornato.", rivoluzionario nella resa
pittorica della luce, creatrice di volumi corporei solidi e reali, susseguiti da ombre che
per la prima volta attestano la circostanza fisica e reale dei soggetti rappresentati.
Ed un ombra soave e quieta sembra ancora sussurrare la presenza di uno spirito
immortale che si legge fra le righe di un'epigrafe che accoglie l'ospite in quella che fu
umile dimora di uno dei più eccelsi pittori italiani:
IN QUESTA CASA
TENNE DIMORA
TOMMASO DA SAN GIOVANNI
MEGLIO NOTO COL NOME DI MASACCIO
IL QUALE
APPRESA L'ARTE DELLA PITTURA
PER POTENZA DI GENIO DIVINO
CREAVA IMMAGINI
STUDIATE DA TUTTI DA NESSUNO IMITATE
Ambra Grieco