Il ritratto che Giorgio Vasari fa del Beato Angelico nelle sue "Vite" dà ad Ambra l'opportunità di analizzare non soltanto le eccelse doti pittoriche di questo immenso pittore, ma soprattutto le sue grandi qualità umane. Generoso e cordiale, umano e sobrio, fra Giovanni da Fiesole suscitò l'ammirazione da parte di molti artisti, tra i quali proprio Giorgio Vasari.
Profondamente appropriato il termine "angelico" usato per la prima volta da
Domenico Corella nel 1469 per descrivere il carattere di un artista pieno di umanità e
devozione.
"Ciò che qui si esprime..." disse Paolo VI visitando San Marco "...è una voce cavata
proprio dal profondo dell’animo, una forma che si distingue da ogni travisamento di
palcoscenico, di rappresentazione puramente esteriore".
Ed è proprio dal profondo del suo animo che nacque la dolcezza e la grazia tipica
delle sue figure, piene di beatitudine nei volti e di umanità nei gesti, sempre avvolte
da un'atmosfera mistica e contemplativa.
Quell'ineguagliabile abilità di Beato Angelico nella rappresentazione di una precoce
resa prospettica si unisce ad una costante ricerca nel tentativo di unire i nuovi principi
rinascimentali, quali la costruzione prospettica e l'attenzione alla figura umana, con i
vecchi valori medievali, come la funzione didattica dell'arte e il valore mistico della
luce.
Il perfetto connubio fra forma e contenuto, geometria e simbolo testimoniano il
raggiungimento di un'intima sintesi fra umanesimo e religione, fiorita dal cuore
sensibile di un artista a cui non interessò né fama né ricchezza.
Giorgio Vasari, che fu il primo a scrivere di lui cento anni dopo la sua morte, ci
riporta: "Se avesse voluto, avrebbe potuto vivere nel mondo in modo molto agiato e
diventare ricco grazie alla sua arte, poiché fin da giovane era già un maestro.
Invece, essendo devoto di natura, scelse di entrare nell'ordine domenicano".
"Essendo non meno stato eccellente pittore e miniatore che ottimo religioso, merita
per l'una e per l'altra cagione che di lui sia fatta onoratissima memoria". Vasari
inoltre ci informa sul modo di dipingere dell'artista riferendoci di un fare pittura quasi
senza pentimenti: "Avea per costume non ritoccare né raccorciare mai alcuna sua
dipintura, ma lasciarle sempre in quel modo che erano venute la prima volta, per
credere che così fusse la volontà di Dio".
Si narra inoltre che l'Angelico dipingesse in ginocchio non prendendo mai in mano il
pennello senza aver prima recitato una preghiera e nell'atto di dipingere i crocifissi o
il volto sofferente di Gesù durante la Passione, il suo animo fosse colmo di intensa
commozione.
Era "humanissimo e molto sobrio", semplice nei suoi costumi e nel suo modo di fare
e pensare "humilissimo e modesto".
Per l'arte non abbandonò mai la sua vocazione ed era solito dire che "chi fa cose di
Cristo, con Cristo deve star sempre".
"Non fu mai veduto in collera tra i frati; il che grandissima cosa, e quasi impossibile
mi pare a credere: et soghignando semplicemente haveva in costume d’amonire gli
amici". "Potette comandar a molti, e non volle; dicendo esser men fatica, et manco
errore ubbidire altrui".
Per nessuna delle circa duecento Vite di eccellenti pittori, scultori e architetti scritte
dal Vasari sono riportati tanti fatti e detti, oltremodo veritieri e documentati, come in
quella del Beato Angelico, nemmeno per il sommo Michelangelo.
Come non commuoversi di fronte alle opere di un padre "humanissimo", dall’umiltà
tanto vera e profonda da renderlo persino inconsapevole della sua stessa arte.
Uomo pio, modesto e dedito ai doveri della vita monastica al punto che "mai volle
lavorare altre cose che di Santi", come avvenne quando papa Niccolò V lo convocò
in Vaticano per incaricarlo di affrescare la sua cappella privata e lì, nella corte
rinascimentale del papa, il frate pittore non cambiò una virgola della sua condotta di
vita che l’austera regola del chiostro gli dettava.
Si dice che il papa, entrato in quella cappella ad opera compiuta, guardando quelle
figure tanto vivide e presenti non poté trattenere le lacrime.
Ambra Grieco