Per il primo approfondimento della rubrica "La nota", a corredo della settima puntata del nostro podcast, Ambra ci offre, come suo articolo di "esordio" in "Finestre sull'Arte", un elegante e interessante contributo su Francesco Francia visto da Giorgio Vasari nelle sue "Vite". Buona lettura!
Sbocciò come un fiore nel pieno sviluppo del rinascimento, nel cuore della natia Bologna dalla quale non si allontanò mai, fra la poliedrica riscoperta della cultura antica e l'affermarsi di sempre più eccellenti espressioni artistiche.
Francesco Francia nacque da un'onesta famiglia di artigiani e ben presto ebbe modo di dimostrare loro la sua bravura ed il suo ingegno tanto da apprendere fin da fanciullo l'arte orafa.
Le sue mani così precise ed abili coniarono un gran numero di monete, realizzarono medaglie, nielli, sigilli e svariati tipi di ornamenti in argento.
“Crebbe di persona e d'aspetto talmente ben proporzionato...” così ce lo descrive il Vasari nella sua celebre opera “Le vite de' più eccellenti architetti, pittori et scultori italiani da Cimabue ai tempi nostri” evidenziando il carattere piacevole dell'artista addizionato ad un suo modo di relazionarsi con gli altri così dolce e soave da tenere allegro e senza pensieri anche l'interlocutore più malinconico.
Doti onorevoli che ben presto conquistarono la stima e l'affetto di tutti coloro che vi strinsero amicizia.
Quella minuzia nella lavorazione dei metalli gli permise di ricreare in spazi ridotti, figure proporzionate, dotate di un preciso linearismo e dettagliate nelle fisionomie, grazie a “lo ingegno suo che era capace di molte cose”.
E fra queste molte cose, a seguito di un consolidato studio del disegno e dell'anatomia umana, Francesco Francia decise di avvicinarsi anche all'arte della pittura realizzando come sua prima opera, una graziosa composizione di ridotte dimensioni raffigurante la Madonna in trono con in braccio il Bambino Gesù per Messer Bartolomeo Felicini, ritratto egli stesso dal Francia all'interno dell'opera nelle vesti del devoto committente.
“Piacque talmente questo lavoro in Bologna” che Giovanni II Bentivoglio, esponente di un'importante famiglia feudale insediatasi a Bologna durante il 1300, dopo aver osservato la maestria dell'artista, decise di commissionargli una serie di affreschi per la cappella di famiglia in S.Giacomo Maggiore a Bologna.
“La quale opera fu tanto ben condotta da Francia che meritò da Messer Giovanni oltra le lode.”
Una lode meritata ad un artista che riuscì a recepire tendenze artistiche a lui contemporanee volgendo uno sguardo alle opere di Ercole de' Roberti e Lorenzo Costa per creare uno stile del tutto personale che molto spesso affronta scene toccanti di devozione impreziosite da una dolcezza associabile a quella del Perugino.
Un artista a tutto tondo che nel 1483 seppe meritarsi il titolo di Capo della Corporazione degli orafi ricevendo successivamente dalla famiglia Bentivoglio il prestigioso incarico di realizzare i coni per la Zecca della città di Bologna.
In cuor suo percepì una stima altrui così viva e sincera da sentirsi pienamente soddisfatto del suo operare artistico.
Ma quale danno può causare il troppo presumere di sé e delle proprie capacità?
“Di gran danno fu sempre in ogni scienza il presumere di sé, e non pensare che l'altrui fatiche possino avanzar di gran lunga le sue; e per natura e per arte avere da 'l cielo non solamente le doti eccellenti e rare, ma ancora prerogative di grazia, di agilità e di destrezza nell'operare molto maggiori che altri non ha. Perché alle volte s'incontra e vedesi l'opere di tale, che mai non si sarebbe creduto, essere sí belle e sí | bene condotte, che lo ingannato dalla folle credenza sua, ne rimane tinto di gran vergogna e tutto confuso. E quanti si sono trovati che nel vedere l'opere d'altri, per il dolore del rimanere a dietro, hanno fatto la mala fine? Come è opinione di molti che intervenisse al Francia Bolognese, pittore ne' tempi suoi tenuto tanto famoso, che e' non pensò che altri non solo lo pareggiasse, ma si acostasse a gran pezzo a la gloria sua. Ma vedendo poi l'opere di Raffaello da Urbino, sgannatosi finalmente di quello errore, ne abbandonò e l'arte e la vita.”
Fu proprio l'ammirar quel prodigio raffaellesco dell'”Estasi di Santa Cecilia”, inviata dal papa alla città di Bologna, a provocare in Francesco Francia una grande vergogna tanto da far cadere ogni sua convinzione riguardo l'insuperabilità delle sue doti artistiche.
All'interno della sua città, il Francia non avrebbe mai potuto pensare ad un artista così eccelso ed ineguagliabile e fu per questo, spinto da una profonda ammirazione nei riguardi di un così divino artista, che lo stile di Francesco Francia cercò di avvicinarsi al classicismo raffaellesco fino a quando egli non si spense lasciando in eredità ai figli Giacomo e Giulio la sua cara bottega.
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Ambra Grieco