La Congiura dei Pazzi, l'evento che cambiò per sempre il volto di Firenze e dell'Italia. La storia attraverso l'arte


La Congiura dei Pazzi fu un evento che cambiò per sempre il volto di Firenze e dell'Italia. Ripercorriamo la storia dell'attentato contro Lorenzo e Giuliano de' Medici attraverso la storia dell'arte.

“Era alto di statura, aveva un corpo ben proporzionato, i pettorali ampi e sporgenti, le braccia muscolose e ben tornite, le articolazioni resistenti, il ventre piatto, le cosce robuste, le gambe decisamente forti, gli occhi espressivi, il volto energico, scuro di pelle, una chioma fluente con i capelli neri e tirati all’indietro sulla nuca. Era abile nel cavalcare e nel lancio del giavellotto, eccellente nel salto e in palestra, ed era solito dedicarsi con passione alla caccia. Era magnanimo e costante, religioso e di buoni costumi, si interessava moltissimo alla pittura, alla musica e a tutte le cose belle. Inoltre aveva un ingegno portato per la poesia: scrisse alcune poesie in volgare, piene di pensieri seri e importanti, e leggeva volentieri poesie d’amore [...]. Non si preoccupava molto della cura del suo corpo, ma era davvero elegante e distinto. Era molto gentile e pieno d’umanità, aveva grande rispetto per il fratello, oltre a forza e virtù. Queste e altre qualità lo rendevano caro al popolo e ai suoi”. Con queste parole, uno dei più grandi poeti del Quattrocento, il Poliziano (Agnolo Ambrogini, Montepulciano, 1454 - Firenze, 1494), descriveva nel suo Coniurationis commentarium, il memoriale in latino redatto dopo la Congiura dei Pazzi, l’aspetto fisico, l’indole e le qualità di Giuliano de’ Medici (Firenze, 1453 - 1478): a ben vedere, la descrizione che l’umanista ci fornisce non è così distante da quella che Sandro Botticelli (Alessandro Filipepi, Firenze, 1445 - 1510) restituì con colori e pennelli in una tavola oggi conservata all’Accademia Carrara di Bergamo.

In questo dipinto, il giovane rampollo della famiglia Medici appare come idealizzato: è ritratto di tre quarti, quasi di profilo, con lo sguardo rivolto verso il basso, l’espressione fiera, composta e dignitosa, i lineamenti vigorosi come descritti da Poliziano, la capigliatura ben ordinata, l’abbigliamento sobrio e misurato. Si tratta forse di un’opera postuma, che Botticelli potrebbe aver eseguito per ricordare la magnanimità di Giuliano dopo la sua tragica scomparsa durante la Congiura dei Pazzi: potrebbe rivelarcelo proprio il dettaglio inusuale degli occhi che guardano verso il basso, secondo alcune interpretazioni simbolo di lutto. Un legame, peraltro, esplicitato nella mostra Le storie di Botticelli. Tra Boston e Bergamo (dal 12 ottobre 2018 al 28 gennaio 2019 all’Accademia Carrara di Bergamo), una sala della quale è proprio dedicata alla figura di Giuliano. L’opera fu eseguita in più versioni, con largo coinvolgimento della bottega dell’artista fiorentino (anche se tra gli studiosi non c’è accordo su quale fosse quella originaria: c’è anche chi ipotizza che quelle attualmente note siano tutte repliche di un originale che non ci è arrivato): chi ritiene che questi ritratti siano stati eseguiti dopo la morte di Giuliano, è portato a pensare che siano stati realizzati tanto per celebrare la sua figura, quanto per fare in modo che i fiorentini la sentissero ancora più vicina. È il 26 aprile 1478 quando Giuliano cade sotto le pugnalate del suo più acre rivale, Francesco de’ Pazzi (Firenze, 1444 - 1478), e del complice di quest’ultimo, Bernardo Bandini Baroncelli (Firenze, 1420 - 1479). La sua scomparsa sconvolge Firenze, perché Giuliano è un personaggio benvoluto, e forse anche per questo la famiglia potrebbe aver disposto l’esecuzione di suoi ritratti alla memoria. Ad ogni modo, Giuliano è l’unica vittima dell’attentato contro i Medici, ma nelle intenzioni dei congiurati la vicenda avrebbe dovuto avere esito ben diverso.

Sandro Botticelli, Ritratto di Giuliano de' Medici (1478 circa; tempera su tavola, 54 x 36 cm; Bergamo, Accademia Carrara)
Sandro Botticelli, Ritratto di Giuliano de’ Medici (1478 circa; tempera su tavola, 54 x 36 cm; Bergamo, Accademia Carrara)

La mattina del 26 aprile del 1478, alcuni dei cospiratori, quelli che parteciperanno alle fasi operative dell’attentato, sono riuniti nella Villa “La Loggia”, alle porte di Firenze, sulla collina di Montughi: la villa, che oggi è sede della casa editrice Giunti, all’epoca dei fatti è la sontuosa residenza extraurbana della famiglia Pazzi, nemica dei Medici. I Pazzi sono originarî di Fiesole, ma fin dal Duecento risiedono stabilmente a Firenze, nel quartiere di Porta San Piero: è però agli inizî del Quattrocento che, grazie al lavoro di uno dei membri più illustri della famiglia, Andrea (celebre anche per aver commissionato a Filippo Brunelleschi la famosa Cappella Pazzi, parte del complesso monumentale di Santa Croce), i Pazzi, grazie al commercio, espandono in maniera consistente le loro ricchezze e diventano una delle casate più influenti di tutta Firenze. Le fortune dei Pazzi continuano con Jacopo de’ Pazzi (Firenze, 1423 - 1478), un uomo con uno spirito innato per gli affari che, riuscendo anche a ottenere il titolo di cavaliere nel 1469, è riuscito a innalzarsi a un livello di prestigio che ancora Lorenzo il Magnifico (Firenze, 1449 - Careggi, 1492) e suo fratello Giuliano non hanno ancora toccato, e che ha saputo mantenere quelle che, scrivono gli storici Franco Cardini e Barbara Frale in un loro recente libro dedicato proprio alla congiura, nella Firenze del Quattrocento sono le tre condizioni per far parte dell’oligarchia cittadina: “rapporti di parentela con le altre famiglie importanti, ricchezza e accesso alle cariche pubbliche”. Mancando anche uno solo di questi tre elementi, la famiglia rischierebbe il declino e l’emarginazione. Già da tempo i Pazzi hanno cominciato a tessere una trama di relazioni matrimoniali che li hanno portati a imparentarsi con molte delle famiglie nobili o della ricca borghesia di Firenze: i Salviati, gli Alessandri, i Serristori e molte altre. Da capofamiglia, Jacopo, nel 1459, aveva anche acconsentito al matrimonio tra suo nipote Guglielmo (Firenze, 1437 - 1516) e la sorella maggiore di Lorenzo e Giuliano, Bianca de’ Medici (Firenze, 1455 - 1488). Un matrimonio che aveva portato beneficî ad ambedue le famiglie (e che, nelle intenzioni di Cosimo il Vecchio, doveva anche appianare i già nati dissapori tra i Medici e i Pazzi): i Pazzi si erano imparentati con i Medici, con la famiglia che più d’ogni altra reggeva le sorti della città, e i Medici potevano trarre vantaggi dalla vicinanza dei Pazzi agli Angiò di Napoli, qualora i problemi di successione nel Regno di Napoli dopo la scomparsa di Alfonso V d’Aragona si fossero risolti a favore degli angioini. Quanto alle ricchezze, la banca dei Pazzi da tempo è diventata, assieme a quella dei Medici, la più prospera di Firenze. E anche sulle cariche pubbliche i Pazzi sono ben insediati: nel 1471 Jacopo riesce anche nell’impresa di far sì che uno dei suoi uomini, Baldo di Bartolo Corsi, diventi Gonfaloniere di Giustizia (ovvero capo del governo della Firenze repubblicana), secondo la consueta usanza per la quale, nella Firenze del Quattrocento, i membri più illustri delle famiglie in vista non dovessero ricoprire personalmente le cariche, ma piazzare uomini di fiducia al loro posto (esattamente come facevano i Medici).

Quali dunque gli attriti che portano alle decisione di eliminare fisicamente i due giovani Medici, malgrado la parentela, e malgrado la situazione fiorente della famiglia Pazzi? Nel corso degli anni, i Medici e i Pazzi si scontrano in diverse occasioni, e ben presto le schermaglie tra le due famiglie si allargano a coinvolgere molti dei più importanti attori della politica italiana del tempo. Uno dei motivi scatenanti riguarda l’acquisto della città di Imola, che viene messa in vendita nel 1473 da Galeazzo Maria Sforza (Fermo, 1444 - Milano, 1476), il duca di Milano: Lorenzo il Magnifico vorrebbe che Firenze acquistasse la città romagnola in modo da espandere la propria influenza verso nord, ma l’importante piazzaforte è anche oggetto delle mire di papa Sisto IV (al secolo Francesco della Rovere, Pecorile di Celle Ligure, 1414 - Roma, 1484), che intende donarla a suo nipote, il conte Girolamo Riario (Savona, 1443 - Forlì, 1488), come dono per il suo matrimonio con Caterina Sforza, così da consolidare i dominî papali in Romagna. La vicenda della compravendita di Imola diviene il motivo della definitiva frattura tra i Medici e Sisto IV. Lo storico Francesco Guicciardini (Firenze, 1483 - Arcetri, 1540) racconta bene la vicenda che si consuma attorno alla città romagnola: Lorenzo, “desideroso che la città comperasse Imola, e considerando che per essere il papa nuovo nello Stato, non aveva danari da comperarla o da sè [...], o da’ Pazzi”, pregò i Pazzi che “non lo servissino di danari, acciocchè, non la potendo comperare il papa, Imola venissi nelle mani nostre”. Secondo il racconto di Guicciardini, i Pazzi promettono ai Medici di non prestare soldi al papa, ma disattendono la parola data, e in più rivelano al papa e a Girolamo Riario “la richiesta fatta loro da Lorenzo; di che il papa sdegnato, gli tolse la depositeria che gli era di grande utilità, e Lorenzo si dolse assai de’ Pazzi, e caricògli, avendo presa onestà, che per opera loro la città non avessi avuto Imola”. Così ai Medici, che fino a quel momento erano i governatori delle finanze pontificie ed erano rimasti in buoni rapporti con Sisto IV, viene revocata l’amministrazione della Depositeria Apostolica (ovvero la tesoreria del papa) in favore dei Pazzi, che diventano quindi nuovi tesorieri del pontefice (un incarico di enorme prestigio e che avrebbe contribuito ulteriormente alla crescita delle loro fortune economiche). Ma col papa si consuma un altro grave scontro appena un anno dopo: nel 1474 scompare Filippo de’ Medici, arcivescovo di Pisa, e la cattedra della diocesi toscana rimane vacante. Il papa, in funzione antimedicea, affida la cattedra pisana al giovane Francesco Salviati (Firenze, 1443 - 1478), cugino di Jacopo Pazzi (la madre di quest’ultimo, Caterina Salviati, era zia di Francesco) e soprattutto uomo fortemente avverso ai Medici dal momento che Lorenzo, nel 1474, gli aveva impedito di diventare arcivescovo di Firenze, carica alla quale ambiva fortemente. Ancora, si aggiunge un’ulteriore motivazione, di natura economica: nel 1477, il Magnifico si adopera per far sì che la repubblica promulghi una legge in materia di successione ereditaria, che prevede il passaggio dell’eredità ricevuta da una donna senza fratelli maschi ai cugini della beneficiaria. Si tratta di una chiara legge ad personam, mirata a contenere un aumento smisurato delle fortune dei Pazzi: proprio nel 1477, infatti, Beatrice Borromei, moglie di Giovanni de’ Pazzi (Firenze, 1439 - Volterra, 1481), quest’ultimo fratello di Guglielmo e Francesco, aveva perso il ricchissimo padre Giovanni Borromei, e senza la legge voluta da Lorenzo l’eredità sarebbe finita nelle disponibilità dei Pazzi.

Ci sono poi ragioni di natura ideale. Cardini e Frale scrivono che gli esecutori materiali della congiura, tra i quali gli stessi membri della famiglia Pazzi, “volevano tutti che Firenze e la Toscana della quale essa era la dominante cambiasse regime, fosse liberata dalla tirannia personale e familiare di Lorenzo: che si tornasse insomma - ciò almeno, nei programmi teorici e nelle declamazioni retoriche ufficiali - alla ‘libertà repubblicana’”. Oggigiorno, la storiografia ci ha restituito ritratti a tinte fosche dei Pazzi, complici anche le cronache che sarebbero state pubblicate dopo la congiura: Poliziano, per esempio, descrive Jacopo de’ Pazzi come un bestemmiatore incallito (per quei tempi un difetto gravissimo), traviato dal vizio del gioco, avaro e allo stesso tempo sperperatore, mentre Francesco de’ Pazzi è narrato come un uomo superbo e arrogante, calunniatore, incline alla collera e sanguinario. Il ritratto peggiore è tuttavia quello di Francesco Salviati, descritto come “uomo dalle fortune improvvise, [...] ignorante e spregiatore d’ogni legge umana e divina, dedito a vizî e nefandezze di ogni tipo, perduto nella sua lussuria e infame nei suoi lenocini”. Ciò nondimeno, dopo la congiura ci sarebbe stato chi, invece, cogliendo le istanze liberali del progetto dei Pazzi, avrebbe esaltato la loro azione, volta a rovesciare la signoria de facto dei Medici e a ripristinare le libertà della repubblica. In particolare, l’umanista Alamanno Zanobi Rinuccini (Firenze, 1426 - 1499), nel 1479 avrebbe composto un importante dialogo De libertate in cui avrebbe celebrato la florentina libertas soffocata dai Medici ed esaltato l’azione dei congiurati, ricordati positivamente perché, pur disponendo d’ingenti patrimonî e potendo quindi trascorrere una vita tranquilla, avevano al contrario scelto di rischiare la vita per la libertà. Così, Jacopo e Francesco de’ Pazzi sono descritti (si riporta di seguito la traduzione di Giuseppe Civati) come “uomini generosi e nobili quant’altri mai”, i quali “si imbarcarono in un’azione che gli renderà eterna gloria e che si deve celebrare con ogni lode”. Un’azione, secondo Rinuccini, tanto più gloriosa in quanto posta in continuità storica con le imprese dei tirannicidi del passato, al contrario del comportamento del popolo fiorentino, descritto come rinunciatario malgrado dei trascorsi altrettanto gloriosi, avendo reagito con forza, nel Trecento, al tentativo del duca d’Atene d’instaurare una tirannide.

Villa La Loggia a Firenze. Ph. Credit Finestre sull'Arte
Villa La Loggia a Firenze. Ph. Credit Finestre sull’Arte


La Cappella Pazzi
La Cappella Pazzi. Ph. Credit Finestre sull’Arte


Palazzo Pazzi a Firenze. Ph. Credit Francesco Bini
Palazzo Pazzi a Firenze. Ph. Credit Francesco Bini


Donatello (attr.), Stemma della famiglia Pazzi (prima metà del XV secolo; pietra; Firenze, Palazzo Pazzi)
Donatello (attr.), Stemma della famiglia Pazzi (prima metà del XV secolo; pietra; Firenze, Palazzo Pazzi)


Giorgio Vasari, Ritratto di Lorenzo il Magnifico (1533-1534; olio su tavola, 90 x 72 cm; Firenze, Uffizi)
Giorgio Vasari, Ritratto di Lorenzo il Magnifico (1533-1534; olio su tavola, 90 x 72 cm; Firenze, Uffizi)


Leonardo da Vinci, Mappa della città di Imola (1502 circa; matita e inchiostro su carta, 440 x 602 mm; Windsor, Royal Library)
Leonardo da Vinci, Mappa della città di Imola (1502 circa; matita e inchiostro su carta, 440 x 602 mm; Windsor, Royal Library)


Melozzo da Forlì, Sisto IV nomina il Platina prefetto della biblioteca Vaticana, particolare del ritratto di Sisto IV (1477; affresco staccato, 370 x 315 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana)
Melozzo da Forlì, Sisto IV nomina il Platina prefetto della biblioteca Vaticana, particolare del ritratto di Sisto IV (1477; affresco staccato, 370 x 315 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana)


Melozzo da Forlì, Sisto IV nomina il Platina prefetto della biblioteca Vaticana, particolare del ritratto di Girolamo Riario (1477; affresco staccato, 370 x 315 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana)
Melozzo da Forlì, Sisto IV nomina il Platina prefetto della biblioteca Vaticana, particolare del ritratto di Girolamo Riario (1477; affresco staccato, 370 x 315 cm; Città del Vaticano, Musei Vaticani, Pinacoteca Vaticana)

È dunque tutta questa serie di concause, scatenate da motivi politici, economici e ideali, a far maturare ai congiurati l’idea di uccidere i Medici: la goccia che fa traboccare il vaso, secondo alcuni storici, è tuttavia la ribellione di Perugia e di altri centri dell’Umbria all’autorità di papa Sisto IV. Si teme che dietro le sedizioni, e soprattutto dietro a quella di Perugia, guidata dal condottiero Carlo Fortebraccio, ci sia la regia medicea (e, nello specifico, di Lorenzo), al fine di condurre le città umbre sotto l’egemonia fiorentina sottraendole all’influenza papale. La congiura, che è già stata pianificata da mesi, e ha ormai assunto proporzioni internazionali, può compiersi: alcuni dei più illustri congiurati temono che non si possa più aspettare, perché il rischio è che la situazione diventi compromessa, anche perché i Medici già sospettano, e sono messi in allarme dai loro alleati (i milanesi su tutti), che hanno già subodorato qualcosa.

Tornando un po’ più indietro nel tempo e volendo seguire il racconto di Niccolò Machiavelli (Firenze, 1469 - 1527) nelle Istorie fiorentine, è possibile affermare che è dai cospiratori più giovani che il progetto parte: il primo a nutrire il desiderio di eliminare fisicamente Lorenzo e Giuliano è Francesco de’ Pazzi che, a Roma dove risiede da tempo (un po’ perché è lui ufficialmente il tesoriere del papa, un po’ perché ha talmente in odio il governo fiorentino da non poter sopportare l’idea di dover abitare in città), spiega i suoi propositi prima a Girolamo Riario e poi a Francesco Salviati, trovando complicità. I tre però non si possono muovere senza l’approvazione di Jacopo de’ Pazzi: tuttavia il capofamiglia è riluttante, e si dimostra contrario all’idea del nipote. Francesco, Riario e Salviati ritengono dunque indispensabile trovare un appoggio nella figura di Sisto IV: se riusciranno a convincerlo, Jacopo non potrà tirarsi indietro. Riario non ha difficoltà nell’illustrare il progetto al potentissimo zio, che vede di buon occhio un cambio di regime a Firenze ma, dati gli uffici morali conferitigli dalla sua carica, auspica che il tutto avvenga senza spargimento di sangue. I tre giovani ingaggiano così un celebre condottiero, Giovanni Battista da Montesecco (Montesecco, prima metà del XV secolo - Firenze, 1478), e lo inviano in missione a Firenze per conoscere il Magnifico e per riferire a Jacopo che la platea dei congiurati si sta allargando: all’inizio Jacopo è ancora scettico, ma saputo che il papa è favorevole al rovesciamento dello strapotere dei Medici, si convince e garantisce un sostegno fattivo. Ben presto la congiura smette di rimanere confinata all’ambito della rivalità tra famiglie, prende a coinvolgere molte persone e soprattutto assume, come anticipato, proporzioni internazionali: recenti studî hanno dimostrato che nella cospirazione è implicato anche Federico da Montefeltro (Gubbio, 1422 - Ferrara, 1482), il munifico e potente duca di Urbino. Non si sa come il duca sia stato avvicinato, ma è certo che, essendo egli anche Gonfaloniere della Chiesa, ovvero capitano generale dell’esercito pontificio, non possa essere all’oscuro delle trame di Girolamo Riario e di Sisto IV. Il duca neppure pensa all’eventualità che la congiura fallisca: per lui, il problema è semmai la modalità d’esecuzione. Ancora, tra i mandanti della congiura figura anche il re di Napoli, Ferrante d’Aragona (Valencia, 1424 - Napoli, 1494), probabilmente avvicinato dai Pazzi ai quali aveva concesso favori (aveva fatto in modo che un Pazzi, Antonio, divenisse nel 1475 vescovo di Sarno), e animato da sentimenti antimedicei, che da anni si erano concretizzati nell’accoglienza riservata, a Napoli, a fuoriusciti fiorentini avversi alla politica dei Medici, tra i quali figurava quello che sarebbe diventato poi, assieme a Francesco, l’assassino materiale di Giuliano, Bernardo Bandini Baroncelli, mercante di illustri origini ma caduto in disgrazia economica, e che sperava, col tramite della congiura, di risollevare le sue sorti.

Tutti i cospiratori più illustri nutrono forte risentimento contro i Medici e, al contempo, ricaverebbero notevoli vantaggi dalla riuscita della congiura. Del perché Francesco de’ Pazzi e Francesco Salviati abbiano in odio i Medici s’è detto. Sisto IV non ha mai perdonato a Lorenzo la faccenda di Imola, e l’odio è cresciuto dopo l’appoggio garantito dal Magnifico alle città umbre in rivolta. Anche Riario cova rancore contro Lorenzo per la sua opposizione all’acquisto di Imola da parte del papa, dal momento che il progetto del conte (poi comunque riuscito) era quello di diventare signore della città romagnola. Federico da Montefeltro ha in disprezzo Lorenzo perché questi s’era opposto alla sua nomina a governatore luogotenente del ducato di Milano dopo l’assassinio del duca Galeazzo Maria Sforza. Ferrante d’Aragona invece è mosso da meri calcoli politici: l’alleanza tra Firenze, Milano e Venezia in chiave antipapale, stipulata per tramite di Lorenzo, aveva isolato Napoli, senza contare il fatto che Milano era legata agli angioini, nemici degli aragonesi. Una Firenze politicamente più debole giocherebbe quindi a favore del regno di Napoli. E lo stesso varrebbe per il ducato di Urbino, che potrebbe espandersi verso ovest ed esercitare la sua influenza anche sulla Valtiberina: propositi impossibili con una Firenze politicamente forte. Lo stesso dicasi per il papa, che potrebbe estendersi verso settentrione. I Pazzi sono interessati all’egemonia economica su Firenze oltre che al capovolgimento degli equilibrî politici fiorentini in loro favore, e Riario e Salviati sono anch’essi attratti dai beneficî politici.

Piero della Francesca, Ritratto di Federico da Montefeltro (1465-1472 circa; olio su tavola, 47 x 66 cm; Firenze, Uffizi)
Piero della Francesca, Ritratto di Federico da Montefeltro (1465-1472 circa; olio su tavola, 47 x 66 cm; Firenze, Uffizi)


Ambito napoletano, Ritratto del re Ferrante d'Aragona (terzo quarto del XV secolo; marmo, 42 x 53 cm; Parigi, Louvre)
Ambito napoletano, Ritratto del re Ferrante d’Aragona (terzo quarto del XV secolo; marmo, 42 x 53 cm; Parigi, Louvre)


Cesare Mussini, Salviati alla congiura dei Pazzi (1843; acquerello, 35 x 44,2 cm; Collezione privata)
Cesare Mussini, Salviati alla congiura dei Pazzi (1843; acquerello, 35 x 44,2 cm; Collezione privata)

Si passa quindi alla messa in atto del piano. L’intento è quello di uccidere contemporaneamente Lorenzo e Giuliano: non si può correre il rischio che uno dei due sopravviva raccogliendo attorno a sé i suoi uomini e soprattutto il popolo. E occorre eliminarli perché, anche nel caso la congiura riesca ma senza uccisioni come auspicato dal papa (che peraltro, come riporterà Montesecco durante il suo processo, avrebbe dato della “bestia” al nipote Riario per la violenza dei suoi propositi), non ci si può esporre al rischio dell’eventuale ritorno, con conseguente vendetta, dei due fratelli. L’occasione è data dal banchetto concesso dai Medici nella loro villa di Fiesole, sabato 25 aprile 1478, in onore del giovanissimo Raffaele Riario (Savona, 1461 - Napoli, 1521), nipote di Girolamo e appena nominato cardinale da Sisto IV: si pensa così di avvelenare Lorenzo e Giuliano. Un’improvvisa indisposizione di Giuliano manda però a monte i piani dei cospiratori. Si rimanda tutto al giorno dopo, e i congiurati non possono permettersi di fallire: le armate del papa e di Federico da Montefeltro sono nei dintorni di Firenze, pronte a intervenire allo scoppio dei disordini che seguiranno l’omicidio dei due fratelli. Rimandare ulteriormente il piano vorrebbe dire essere inevitabilmente scoperti. Raffaele Riario ha organizzato, proprio per la domenica, una messa di ringraziamento in Duomo, e i congiurati stabiliscono che Lorenzo e Giuliano saranno uccisi durante la celebrazione. Giuliano è ancora malato, ma i cospiratori debbono per forza concludere il piano: Francesco de’ Pazzi e Bandini Baroncelli si recano personalmente nel palazzo dei Medici e si offrono per accompagnarlo in Duomo (occorre infatti sapere che in pubblico i Pazzi e i Medici non lasciano trasparire sentimenti negativi: viceversa, cercano di dimostrare un’amicizia di facciata, motivata anche dalla stretta parentela). Lo prelevano, si accertano che non sia armato, e lo conducono in chiesa. Di Lorenzo avrebbe dovuto occuparsi Giovanni Battista da Montesecco, che però si rifiuta di uccidere un uomo in chiesa, tanto più che il condottiero non nutre rancori personali verso Lorenzo (anzi: quando lo aveva conosciuto, gli era parso come un uomo gentilissimo e affabile). Il compito è quindi affidato a due preti, Stefano da Bagnone (Bagnone, 1418 - Firenze, 1478) e Antonio Maffei (Volterra, 1450 - Firenze, 1478), entrambi legati ai Pazzi. Tutti i quattro assassini designati sono però inetti con le armi: Francesco de’ Pazzi e Bandini Baroncelli hanno la meglio su Giuliano e riescono a ucciderlo solo perché questi è malato e disarmato, ma Francesco, poco abile con spade e pugnali e accecato dall’odio, nella foga della sua violenza si ferisce da solo e si procura un grave infortunio alla gamba. I due sacerdoti riescono solo a ferire Lorenzo, che si difende con la sua spada, utilizzando il mantello a mo’ di scudo e facendosi aiutare da alcuni suoi amici, tra i quali lo stesso Poliziano: il Magnifico si rifugia nella sagrestia e la sua scorta ne sbarra l’accesso. Nel frattempo, dall’altra parte della città, l’arcivescovo Salviati con i suoi uomini cerca d’impadronirsi di Palazzo Vecchio: il piano è quello di eliminare il gonfaloniere Cesare Petrucci e, tramite un colpo di stato, instaurare un nuovo governo provvisorio. A Jacopo de’ Pazzi è invece affidato l’incarico di aizzare il popolo fiorentino contro i Medici, inneggiando alla libertà.

L’interesse per le fasi più concitate e drammatiche della congiura ha fatto sì che nel corso dei secoli diverse opere d’arte venissero dedicate al tema della congiura stessa, e possiamo così ripercorrere la rapida successione degli eventi, a cominciare dall’uccisione di Giuliano, dipinta in un’opera di Stefano Ussi (Firenze, 1822 - 1901), dove il giovane, dipinto con un abbigliamento anacronistico, è al centro della scena, mentre viene pugnalato dai suoi assalitori, che si dispongono attorno a lui per sferrare i colpi senza lasciargli scampo. Lo storico Carlo Denina (Revello, 1731 - Parigi, 1813) avrebbe fatto illustrare il suo libro Delle rivoluzioni d’Italia con incisioni sul tema della cospirazione antimedicea: abbiamo quindi la scena in cui Lorenzo il Magnifico, ferito, è condotto nella sagrestia dove viene calmato e curato dai suoi amici. Ma ci sono anche opere più antiche: la summenzionata mostra Le storie di Botticelli. Tra Boston e Bergamo ha esposto infatti un raro ritratto di Giuliano pugnalato, un’incisione che correda gli Elogia virorum bellica virtute illustrium di Paolo Giovio (Como, 1483 - Firenze, 1552), una raccolta di biografie di uomini illustri scritto dallo storico lombardo nel 1551 e pubblicato in più edizioni.

Stefano Ussi, La congiura dei Pazzi (seconda metà del XIX secolo; olio su tela, 41 x 61 cm; Collezione privata)
Stefano Ussi, La congiura dei Pazzi (seconda metà del XIX secolo; olio su tela, 41 x 61 cm; Collezione privata)


Carlo Denina, Lorenzo de' Medici ferito durante la congiura dei Pazzi, dalle Rivoluzioni d'Italia (1846; incisione)
Carlo Denina, Lorenzo de’ Medici ferito durante la congiura dei Pazzi, dalle Rivoluzioni d’Italia (1846; incisione)


Paolo Giovio, Giuliano de' Medici pugnalato, dagli Elogia virorum bellica virtute illustrium (edizione del 1575)
Paolo Giovio, Giuliano de’ Medici pugnalato, dagli Elogia virorum bellica virtute illustrium (1575; incisione xilografica, 160 x 148 mm, stampata in Basilea, tipografia di Pietro Perna; varie collocazioni)

Per tornare alla storia, i piani non vanno secondo quanto previsto dai congiurati: non solo perché Lorenzo sopravvive, ma anche perché i Pazzi hanno sottovalutato la reazione dei fiorentini. Petrucci, uomo fedele ai Medici, insospettito dall’atteggiamento di Salviati, si accorge delle intenzioni dell’arcivescovo: ne nasce una colluttazione dove i filomedicei hanno la meglio, e Salviati, assieme ad altri congiurati tra i quali il letterato e umanista Jacopo Bracciolini (Firenze, 1442 - 1478), figlio del celebre Poggio Bracciolini, viene catturato per poi essere sommariamente processato e quindi impiccato alle finestre di Palazzo Vecchio. Francesco de’ Pazzi, gravemente ferito, si rifugia nel palazzo di famiglia per medicarsi, ma una folla inferocita lo raggiunge, comincia a saccheggiare Palazzo Pazzi, e il giovane banchiere, sottratto a stento alle grinfie del popolo che lo vuole linciare, viene portato a Palazzo Vecchio, dove subisce la stessa sorte di Salviati (anzi: è appeso assieme a lui ma, a differenza dell’arcivescovo che appare confuso e sconvolto, durante il processo sommario Francesco rimane impassibile e fiero). Le mosse di Jacopo sono ben riassunte da Machiavelli, che non lesina considerazioni sul popolo di Firenze, poco avvezzo alla libertà: “messer Jacopo, ancoraché vecchio, e in simili tumulti non pratico [...] salì a cavallo con forse cento armati, stati prima per simile impresa preparati, e se n’andò alla piazza del Palagio, chiamando in suo aiuto il popolo e la libertà. Ma perché l’uno era dalla fortuna e liberalità de’ Medici fatto sordo, l’altra in Firenze non era conosciuta, non gli fu risposto da alcuno”. Non sapendo cosa fare, Jacopo si dà alla fuga e cerca di riparare in Romagna. Viene però raggiunto sull’Appennino, riconsegnato ai fiorentini e giustiziato quattro giorni dopo la congiura (e del suo cadavere verrà fatto scempio alcuni giorni dopo: alcuni partigiani medicei lo dissotterrano, lo portano in giro per la città in segno di scherno e disprezzo, arrivano alla macabra risoluzione di presentare la salma davanti a Palazzo Pazzi, e infine lo gettano in Arno, e tra i più sarcastici c’è chi commenta che Jacopo ha avuto più seguito da morto che da vivo). Anche Montesecco viene catturato, ma perché si è rifiutato all’ultimo di partecipare alla congiura e collabora attivamente con la giustizia (le sue confessioni sono una delle più preziose testimonianze per ricostruire le trame della congiura dei Pazzi), e soprattutto perché detiene il titolo di cavaliere, gli viene risparmiata l’onta dell’impiccagione ed è giustiziato tramite decapitazione, pena ritenuta più onorevole. I due religiosi, Maffei e Stefano da Bagnone, si rifugiano nel monastero della Badia fiorentina, ma pochi giorni dopo sono catturati, mutilati e impiccati. Bandini Baroncelli è l’unico che riesce a far perdere le tracce: viene però individuato un anno dopo a Istanbul, e riportato a Firenze è anch’egli impiccato: celeberrimo è il disegno di Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 - Amboise, 1519) che ritrae il congiurato appeso, con ancora indosso gli abiti alla turca, segno che non gli era stato dato neppure modo di cambiarsi.

Lorenzo, una volta compreso che la situazione volge a suo favore, torna nel suo palazzo e, senza azzardarsi a uscire di casa per almeno una decina di giorni, approfitta dei disordini per eliminare ogni forma di opposizione senza muovere un dito e senza macchiarsi direttamente di alcun delitto, ma semplicemente riscuotendo i frutti della propria propaganda: solo nella notte tra il 26 e il 27 aprile muoiono circa ottanta persone, tra colpevoli e presunti tali, dacché la furia dei partigiani medicei si scatena in tutta la sua orrorifica ferocia (Poliziano, nel suo commentario, ricorda di cadaveri buttati qua e là per le strade, sui quali la popolazione si accaniva). La famiglia Pazzi, “ritenuta in blocco coinvolta nella congiura e quindi colpevole”, scrivono Cardini e Frale, viene distrutta: come detto, Jacopo e Francesco muoiono, e lo stesso accade a uno dei nipoti di Jacopo, Renato, che seppur non coinvolto nella cospirazione viene catturato e impiccato mentre tenta di fuggire dopo essersi accorto che restare a Firenze non è prudente. Guglielmo sopravvive solo grazie al fatto d’essere cognato di Lorenzo, ma viene immediatamente bandito dalla città. Giovanni e altri membri della famiglia sono catturati e imprigionati a Volterra. Parte poi la damnatio memoriae, che si consuma con la confisca dei loro beni e con la distruzione di tutti i segni della loro presenza in città (per questo non ci sono arrivati ritratti dei Pazzi). Per la famiglia è l’inizio di un declino inarrestabile e definitivo. Firenze rimane in tumulto e in situazione d’emergenza: schiere d’armati girano per la città, e anche il signore di Bologna, Giovanni Bentivoglio, amico dei Medici, invia un contingente per aiutare la famiglia. Quanto agli esponenti illustri della congiura, appena dopo i fatti del 26 aprile il papa e i suoi alleati muovono una guerra contro Firenze (il pretesto è l’uccisione di religiosi) destinata a durare per due anni. Infine, vengono tributati i giusti onori a Giuliano: allo scultore Bertoldo di Giovanni (Firenze, 1420 circa - Poggio a Caiano, 1491), noto anche per essere stato tra i primi maestri di Michelangelo, è affidato l’incarico di disegnare la medaglia commemorativa (esposta alla mostra bergamasca), realizzata nello stesso 1478. Rappresenta un rarissimo caso di evento d’attualità immortalato da un artista del Quattrocento: in uno dei lati della medaglia i congiurati si accaniscono su Giuliano mentre Lorenzo tenta di difendersi, mentre sull’altro lato Giuliano è già a terra esanime e Lorenzo cerca di sfuggire ai colpi dei sicari. Nella scena è raffigurato anche il giovane Francesco Nori, uno degli uomini del seguito del Magnifico, che interponendosi tra gli assassini e il signore sacrifica la sua vita per salvare quella di Lorenzo. Sopra alle due scene compaiono invece i ritratti, di profilo, dei due fratelli. Bertoldo di Giovanni utilizza la sua comprovata abilità di medaglista per restituire, con intensa e sorprendente vivacità narrativa, un episodio a lui contemporaneo: si tratta di uno dei primi casi nella storia dell’arte.

Odoardo Borrani, Il cadavere di Jacopo de' Pazzi (1864; olio su tela, 145 x 121 cm; Firenze, Galleria d'Arte Moderna di Palazzo Pitti)
Odoardo Borrani, Il cadavere di Jacopo de’ Pazzi (1864; olio su tela, 145 x 121 cm; Firenze, Galleria d’Arte Moderna di Palazzo Pitti)


Leonardo da Vinci, Bernardo Bandini Baroncelli impiccato (1479; inchiostro su carta, 192 x 78 mm; Bayonne, Musée Bonnat)
Leonardo da Vinci, Bernardo Bandini Baroncelli impiccato (1479; inchiostro su carta, 192 x 78 mm; Bayonne, Musée Bonnat)


Bertoldo di Giovanni, Medaglia della congiura dei Pazzi, recto (1478; bronzo, 6,56 x 6,56 cm; Varie collocazioni)
Bertoldo di Giovanni, Medaglia della congiura dei Pazzi, recto (1478; bronzo, 6,56 x 6,56 cm; Varie collocazioni)


Bertoldo di Giovanni, Medaglia della congiura dei Pazzi, verso (1478; bronzo, 6,56 x 6,56 cm; Varie collocazioni)
Bertoldo di Giovanni, Medaglia della congiura dei Pazzi, verso (1478; bronzo, 6,56 x 6,56 cm; Varie collocazioni)

Gli storici si sono a lungo interrogati sui motivi che hanno portato al fallimento una congiura che era stata elaborata per mesi, se non per anni, e prevedeva il coinvolgimento di personalità importanti e influenti. La risposta del popolo fiorentino (che peraltro, come testimonia Poliziano, amava Giuliano), sottovalutata dai Pazzi (i partigiani medicei, evidenziano Cardini e Frale, affrontarono quelli dei Pazzi “rispondendo al nobile ma un po’ demodé ‘Popolo e Libertà!’ con il plebeo, sanguigno ‘Palle, Palle, Palle’” in riferimento allo stemma mediceo con sei sfere su campo d’oro), e la poca avvedutezza nel calcolare che un delitto in chiesa (e quindi un sacrilegio) sarebbe stato considerato particolarmente odioso dalla popolazione, di per sé non sono motivazioni sufficienti a spiegare il perché del fallimento: possono semmai aiutarci a comprendere il perché della contingenza, ma non bastano da sole a minare l’impalcatura della cospirazione, soprattutto per ciò che riguarda le sue diramazioni internazionali. Anche perché occorre considerare che, comunque, Girolamo Riario non viene in alcun modo scalfito dalla vendetta medicea, e i principali attori internazionali della congiura, dal papa al re di Napoli passando per il duca di Urbino, sono tutti vivi e ormai in guerra contro Lorenzo il Magnifico. Quanto al fronte interno, Lorenzo era riuscito a compattare le famiglie dell’oligarchia fiorentina in senso filomediceo garantendo la loro partecipazione al potere ottenendo però in cambio il riconoscimento del suo ruolo di arbitro nella politica cittadina. A illustrare ben le contraddizioni “di un’oligarchia di tradizione e sentimenti repubblicani, che tuttavia, per la definizione stessa del proprio ruolo, accetta un rapporto di subordinazione”, ha scritto lo storico Riccardo Fubini, è proprio il succitato dialogo De libertate di Alamanno Zanobi Rinuccini, che rimane tuttavia una voce isolata. Per quanto riguarda invece il fronte estero, il papa e il re di Napoli ingaggeranno sì una guerra contro Firenze, ma animati da intenzioni diverse: l’unico motivo che li unisce è proprio la guerra contro la città toscana. Fubini sottolinea che il Magnifico agirà facendo leva sulla diversità d’intenti, cercando un accordo per la pace con Ferrante d’Aragona “sulla base di una garanzia, a cui sarebbe rimasto fedele, nei confronti della minaccia franco-angioina”, e riuscendo quindi a stringere un’alleanza con Napoli (allentando quella con Milano). Nel 1480, col sopraggiungere della minaccia ottomana (i turchi quell’anno si spingono a saccheggiare Otranto), anche Sisto IV è persuaso a porre fine alla guerra con Firenze stipulando la pace. E in segno di distensione, Lorenzo invierà, nel 1481, alcuni dei più grandi artisti fiorentini (Sandro Botticelli, Cosimo Rosselli, il Ghirlandaio) a decorare la Cappella Sistina, fatta edificare dal papa della Rovere. In ultimo, la propaganda medicea, dopo la congiura, si concentrerà nell’addossare tutte le colpe sui Pazzi, cercando di tacere le prove del coinvolgimento dei sovrani stranieri, in modo da non compromettere la stabilità dell’Italia.

Si è detto che la Congiura dei Pazzi sia stata soprattutto frutto di uno squilibrio negli assetti politici internazionali nell’Italia del Quattrocento: anche in virtù di questi fatti, a partire dal 1478 l’azione politica di Lorenzo il Magnifico sarà votata a mantenere in perfetto equilibrio le sorti politiche dell’Italia e dei suoi stati, e questo gli varrà il famosissimo appellativo di “ago della bilancia dei principî italiani” affibiatogli da Guicciardini. La sua posizione dopo la cospirazione risulterà straordinariamente rafforzata, e a partire dagli anni Ottanta, Lorenzo potrà governare la città quasi come un principe (pur sempre senza mai ottenere incarichi ufficiali), concentrando il potere nelle proprie mani.

Bibliografia di riferimento

  • Maria Cristina Rodeschini, Patrizia Zambrano (a cura di), Le storie di Botticelli tra Boston e Bergamo, catalogo della mostra (Bergamo, Accademia Carrara, dal 12 ottobre 2018 al 28 gennaio 2019), Officina Libraria, 2018
  • Franco Cardini, Barbara Frale, La Congiura: potere e vendetta nella Firenze dei Medici, Laterza, 2017
  • Keith Christiansen, Stefan Weppelmann (a cura di), The Renaissance Portrait: From Donatello to Bellini, catalogo della mostra (Berlino, Bode Museum, dal 25 agosto al 21 novembre 2011; New York, The Metropolitan Museum of Art, dal 21 dicembre 2011 al 18 marzo 2012), Metropolitan Museum, 2011
  • Ingeborg Walter, Lorenzo il Magnifico e il suo tempo, Donzelli, 2003
  • Marcello Simonetta, Federico da Montefeltro contro Firenze: Retroscena inediti della congiura dei Pazzi in Archivio Storico Italiano, vol. 161 no. 2 (596) (aprile-giugno 2003), pp. 261-284
  • Cristina Acidini (a cura di), Splendore dei Medici. Firenze e l’Europa, catalogo della mostra (Monaco di Baviera, Kunsthalle der Hypo-Kulturstiftung, dal 4 dicembre 1998 al 21 febbraio 1999; Vienna, Kunsthistorisches Museum, dal 7 marzo al 6 giugno 1999; Blois, Chateau de Blois, dal 26 giugno al 17 ottobre 1999), Octavo, 1999
  • Riccardo Fubini, Italia quattrocentesca: politica e diplomazia nell’età di Lorenzo il Magnifico, Franco Angeli Editore, 1994


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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