Una “scommessa ragionevole” e una “provocazione critica che non potrà che suscitare discussioni”: con tali definizioni, Enrico Maria Dal Pozzolo ha inteso presentare una nuova e suggestiva ipotesi attributiva per la Sacra Famiglia conservata al Museo Diocesano di Recanati, e fino al 10 febbraio 2019 esposta a Macerata, in una delle sale di Palazzo Buonaccorsi, per la grande mostra Lorenzo Lotto. Il richiamo delle Marche. Secondo il curatore dell’esposizione marchigiana, il dipinto potrebbe rappresentare una delle prime realizzazioni del giovane Lorenzo Lotto (Venezia, 1480 - Loreto, 1557): occorre tuttavia procedere per gradi, e ripercorrere la storia del quadro onde meglio contestualizzare l’importante questione che Dal Pozzolo ha posto all’attenzione della critica.
L’opera, una tavola dipinta a tempera e olio, in antico custodita presso il Duomo di Recanati, e per l’esattezza nella cappella della famiglia Antici, d’antica nobiltà recanatese, veniva segnalata per la prima volta nel 1711 da Diego Calcagni, un erudito locale, che nelle sue Memorie istoriche della città di Recanati citava il quadro come un dipinto “assai antico” che “rappresenta Giesù, Maria e Giuseppe”. I tre personaggi compaiono dietro un’arcata classica e si sporgono su di una balaustra coperta da un tappeto ricamato con fini motivi geometrici orientaleggianti. La Madonna stringe teneramente a sé, poggiando la mano sinistra sopra la destra, il Bambino paffutello che scalcia delicatamente e guarda in alto, mentre san Giuseppe, reggendosi al proprio bastone come da consueto topos iconografico, scruta la scena dall’alto. Una prima analisi dettagliata dello stato di conservazione della tavola risale al 1928, quando lo storico dell’arte recanatese Irnerio Patrizi la citò in una sua opera, Le grandi orme dell’arte del Quattrocento in Recanati, descrivendola in questi termini: “è dipinta su una solida tavola di pioppo rinforzata da due traverse, segata di recente ai lati verticali e nel lato inferiore; ha lo spessore di 2 centimetri. L’imprimitura, che appare ai bordi, è di colore rossastro generale; la tecnica è quella della tempera; scrostata si presenta qua e là la superficie e deteriorata per varie cause, tra le quali la sovrapposizione al capo della Vergine; il San Giuseppe, se si eccettuano alcuni riccioli della barba, lo si direbbe completamente ridipinto”.
Pittore veneto-lombardo della fine del XV secolo (Lorenzo Lotto?), Sacra Famiglia (1495-1500; tempera e olio su tavola, 75 x 50 cm; Recanati, Museo Diocesano) |
Sacra Famiglia, dettaglio della Madonna col Bambino |
Sacra Famiglia, dettaglio di san Giuseppe |
Si tratta d’un dipinto d’evidente ascendenza mantegnesca: il rapporto, in particolare, è con la commovente Madonna dell’umiltà di Andrea Mantegna (Isola di Carturo, 1431 - Mantova, 1506), che nel 1992 David Landau definì “indiscutibilmente la più bella stampa del Rinascimento italiano e una delle più toccanti Madonne con il Bambino della storia dell’arte”, ma della quale si conosce anche un disegno a penna con fondo dipinto a tempera e oro che di recente Lionello Puppi, in occasione d’una mostra tenutasi a Padova nel 2006, ha voluto attribuire alla mano del maestro padovano, e che s’è voluto appellare Madonna della tenerezza. Nella Madonna di Mantegna la Vergine, seduta a terra come da iconografia della Madonna dell’umiltà, avvolge con un abbraccio caldo e morbido il Bambino strofinando lievemente il suo volto su quello di lui: di fronte a tanta dolcezza poco possono anche le asperità del segno mantegnesco, che non rendono meno lirica una delle più delicate e intime scene del Rinascimento. La posa assunta dalla Vergine è la stessa che si nota nella Sacra Famiglia recanatese, tanto che alla mostra di Macerata le due opere sono state esposte appaiate: in particolare, dei cinque esemplarî noti della Madonna mantegnesca, è giunto nelle Marche quello della Biblioteca Antica del Seminario Vescovile di Padova.
L’opera di Mantegna è sorretta, “con tutta probabilità”, Francesco De Carolis, da “un’invenzione che l’artista ha elaborato per essere tradotta esclusivamente a stampa, mettendo in relazione diversi aspetti di solito elaborati in maniera separata”: per esempio, si tratta dell’unica opera in cui Mantegna tratta il tema iconografico della Madonna dell’umiltà, oltre che dell’unico caso in cui il Bambino appare in braccio alla madre da sdraiato (solitamente tale postura era riservata alle opere in cui il piccolo Gesù veniva fatto giacere per terra).
La Madonna dell’umiltà potrebbe però non essere l’unico riferimento mantegnesco della tavoletta di Recanati. Il motivo di Maria che sfiora con la sua guancia il volto del figlio anima anche la famosa Madonna col Bambino oggi conservata al Museo Poldi Pezzoli: nella tela milanese, opera in cui Mantegna tocca ancora inusitate vette d’intenso lirismo e d’inaspettata finezza sentimentale (oltre che unica, di quelle viste sin qua, nella quale il Bambino dorme), sono ancora le gentili carezze della madre l’elemento protagonista del quadro, e questo ruolo da protagonista è tanto più evidente se si nota la mano destra, resa con un magistrale scorcio prospettico. Ma non solo: come nella Madonna dell’umiltà e nella Sacra Famiglia di Recanati, le mani della Vergine sono presenti e vive, e chi le osserva quasi riesce a immaginare le dita che scorrono per accarezzare il Bambino. Ma lo stesso non si può dire degli occhi: in tutti e tre i dipinti, Maria ha lo sguardo assente, quasi perso nel vuoto, perché la sua mente è già presaga delle sofferenze cui Gesù Cristo è destinato. Date le caratteristiche stilistiche e formali, e data la vicinanza concettuale delle tre opere, fin dagl’inizî del Novecento, ovvero da quando la Sacra Famiglia ha cominciato a sollevare gl’interessi della critica, la tavoletta del Museo Diocesano è sempre stata ascritta all’ambito mantegnesco, se non a Mantegna in persona, come riteneva lo stesso Irnerio Patrizi. Anzi: nella scheda del dipinto sul catalogo della mostra di Macerata (che ovviamente traccia un profilo preciso, puntuale e completo della storia critica dell’opera), Enrico Maria Dal Pozzolo ricorda che lo studioso Francesco Filippini ipotizzò, senza però prove concrete, che il quadro fosse stato eseguito da Mantegna “circa il 1492, per fra Giovanni Battista Spagnoli, mantovano, dotto umanista e poeta, beatificato dalla Chiesa, che fu amico e ammiratore del Mantegna e lo celebrò nei suoi versi. In un suo carme il poeta ricorda un voto, da lui fatto alla Vergine Loretana, di offrire una pittura e precisamente una Sacra Famiglia, per impetrare la guarigione da una grave malattia”. E per diversi decennî l’attribuzione a Mantegna non fu mai messa in discussione (solo Berenson, nel 1936, compilando l’elenco dei dipinti del suo Italian pictures of the Renaissance, identificò l’opera come una “c[opy] of lost Mantegna”, ovvero una copia d’un perduto originale di Mantegna).
Andrea Mantegna, Madonna col Bambino (1480-1490; bulino su carta, secondo stato, 240 x 240 mm; Padova, Biblioteca Antica del Seminario Vescovile) |
La Sacra Famiglia e la Madonna col Bambino alla mostra Lorenzo Lotto. Il richiamo delle Marche |
Andrea Mantegna, Madonna col Bambino (1490-1500 circa; tempera su tela, 45,2 x 35,5 cm; Milano, Museo Poldi Pezzoli) |
Ad ogni modo, i motivi stilistici di cui s’è ragionato non furono una prerogativa esclusiva del grande pittore veneto: la sua invenzione, infatti, fu così felice da attirare schiere d’artisti che decisero di replicarla o di reinterpretarla nei loro lavori (e non si tratta certo d’una coincidenza: per Mantegna, la stampa era un nuovo e formidabile mezzo per far circolare le proprie idee). È il caso, per esempio, di Domenico Morone (Verona, 1442 circa - 1518), artista che nelle prime fasi della sua carriera ebbe forti debiti verso l’arte di Mantegna, e che si rifece alla stampa del maestro (tagliando la figura della Madonna a mezzo busto) in una tavola d’inizio Cinquecento oggi custodita al Museo di Castelvecchio di Verona. Si potrebbe poi rammentare una tela di Francesco Bonsignori (Verona, 1460 - Caldiero, 1519), che nel suo dipinto, attualmente alla National Gallery di Londra, volle introdurre per primo il parapetto davanti alla Vergine e al Bambino e, ancora per primo, inserì le figure di quattro santi ai lati dei due protagonisti andando così a popolare la scena di personaggi estranei al momento d’intimità che Mantegna aveva voluto descrivere. Quello di Bonsignori è, peraltro, il dipinto cui la Sacra Famiglia di Recanati più s’avvicina. Converrà poi aggiungere che, nella tavola recanatese, figurano anche alcuni elementi che allontanerebbero l’opera da un ambito strettamente mantegnesco: volendo sorvolare sul san Giuseppe, che per via delle ridipinture è troppo compromesso onde fornire un termine di paragone accettabile, osservando la Madonna col Bambino non si potrà far a meno di notare un segno più morbido rispetto a quello di Mantegna e dei suoi seguaci, oltre ad alcuni dettagli del volto della Vergine (il taglio degli occhi, il colorito, il naso lungo e dritto, le arcate sopraccigliari) che addirittura avvicinerebbero l’opera all’ambito dei leonardeschi, tanto che nel 2005 Giovanni Agosti attribuì l’opera proprio a un non meglio precisato pittore leonardesco.
È poi necessario dedicare qualche attenzione al dettaglio del tappeto orientale steso sulla balaustra: si tratta d’un particolare che denota una stretta vicinanza dell’autore della Sacra Famiglia alla pittura veneziana del Quattrocento. Tappeti come quello della tavola di Recanati si ritrovano infatti in molte opere della Venezia del quindicesimo secolo: in un’opera di Vittore Carpaccio (Venezia, 1465 circa - 1525 circa), la Nascita della Vergine che in antico faceva parte del ciclo delle Storie della Vergine che decorava la Sala dell’Albergo nella Scuola di Santa Maria degli Albanesi a Venezia e che oggi invece è all’Accademia Carrara di Bergamo, sul parapetto in primo piano che delimita la scena troviamo poggiato proprio un tappeto, steso a metà in senso orizzontale, esattamente come quello della Sacra Famiglia.
La “provocazione” di Enrico Maria Dal Pozzolo, secondo il quale potremmo cominciare a prendere in seria considerazione l’idea che la Sacra Famiglia di Recanati possa essere un’opera giovanile di Lorenzo Lotto, è intanto giustificata sulla base delle similitudini con i primi dipinti lotteschi, a cominciare dalla prima opera datata di Lotto che si conosca, la Madonna col Bambino e san Pietro martire del 1503 conservata al Museo Nazionale di Capodimonte: il curatore della mostra di Macerata individua nel modo “alquanto belliniano” di definire le mani un tratto comune all’opera marchigiana e a quella napoletana. L’utilizzo della luce viene poi accostato a quello che possiamo apprezzare nel Ritratto di giovane dell’Accademia Carrara di Bergamo che possiamo considerare la prima opera nota di Lorenzo Lotto: è un dipinto del 1500 circa, realizzato quando l’artista doveva avere vent’anni o poco più. Ancora, un particolare rivelatore potrebbe essere proprio il tappeto in primo piano di cui s’è detto poco sopra: non è una notizia dell’ultima ora il fatto che Lorenzo Lotto amasse molto i tappeti, tanto che all’argomento sono anche stati dedicati alcuni studî specifici, uno del 1998 di Rosamond E. Mack e uno del 2016 di David Young Kim. “L’impegno di Lotto sui tappeti nelle sue opere”, ha scritto Kim nel suo saggio Lotto’s Carpets: materiality, textiles, and composition in Renaissance painting (la traduzione dall’inglese è dello scrivente), “fu così profondo che un tipo di motivo del tappeto turco del sedicesimo secolo divenne noto come tappeto Lotto”. I tappeti che portano il nome dell’artista, spiega Kim, “generalmente presentano arabeschi gialli intrecciati, forme a ottagono, a diamante o a losanga su fondo rosso. I bordi spesso contengono degli zigzag blu che s’intrecciano”. Tappeti simili si trovano in diversi dipinti di Lorenzo Lotto (uno dei più belli è quello che compare nel Ritratto di Giovanni della Volta con sua moglie e i suoi figli, alla National Gallery di Londra), ma anche quello che troviamo nella Sacra Famiglia è un ottimo esempio di “tappeto Lotto”.
Domenico Morone, Madonna col Bambino (1500-1515 circa; tavola, 35 x 43 cm; Verona, Museo di Castelvecchio) |
Francesco Bonsignori, Madonna col Bambino e quattro santi (1490-1510 circa; olio su tela, 48,3 x 106,7 cm; Londra, National Gallery) |
Vittore Carpaccio, Nascita della Vergine (1504-1508; tempera su tela, 126 x 128 cm; Bergamo, Accademia Carrara) |
Lorenzo Lotto, Madonna col Bambino e san Pietro martire (1503; olio su tavola, 55 x 88 cm; Napoli, Museo Nazionale di Capodimonte) |
Lorenzo Lotto, Ritratto di giovane (1500 circa; olio su tavola, 34,2 x 27,9 cm; Bergamo, Accademia Carrara) |
Tappeto Lotto, proveniente dall’Anatolia (XVI secolo; lana, 162 x 109 cm; Filadelfia, Philadelphia Museum of Art) |
Sacra Famiglia, dettaglio del tappeto |
Lorenzo Lotto, Ritratto di Giovanni della Volta con moglie e figli (1547; olio su tela, 104,5 x 138 cm; Londra, National Gallery) |
Supplica dei frati domenicani di Recanati per il finanziamento del polittico di Lorenzo Lotto (Recanati, 17 giugno 1506; Recanati, Archivio Storico Comunale, Annales, vol. 80 (1506), cc. 55r-56r) |
La frase in cui si parla delle opere giovanili di Lorenzo Lotto presenti a Recanati: “Super supplicatione prioris fratrum S. Dominici petentis subsidium pro cona magni pretii per magistrum L. Lotum Venetum construenda iuxta designum ostensum et melioribus picturi, que sintiste que inspiciuntur facte in iuventute vel potius in adolescentia sua”. |
Ci sono poi ragioni che si potrebbero dedurre, secondo Dal Pozzolo, dall’analisi dei documenti. Più nel dettaglio, nella supplica dei frati domenicani di Recanati per il finanziamento del polittico di San Domenico, datata 17 giugno 1506 (e anch’essa esposta alla mostra di Macerata), si fa riferimento ad alcune opere che Lorenzo Lotto avrebbe dipinto proprio nel borgo marchigiano “in iuventute vel potiut adolescentia sua”, ovvero “durante la sua giovinezza o piuttosto durante la sua adolescenza” (come spiega Francesca Coltrinari nel catalogo della mostra, all’epoca l’“adolescenza” era giuridicamente fissata tra i quattordici e i venticinque anni d’età, e la “giovinezza” giungeva successivamente). “Il contesto della frase”, afferma Dal Pozzolo, “induce a credere che si trattasse di lavori eseguiti a un’età forse immaginabile sui diciassette/diciotto anni, quindi - considerando che nel 1546 si definiva di circa sessantasei anni - verso il 1497-1498 [...]. Saremmo pertanto in una fase di poco precedente a quella in cui pare cadere la sua prima opera giunta fino a noi: il Ritratto di giovane dell’Accademia Carrara di Bergamo [...], un’opera caratterizzata da un fortissimo accento antonellesco, ma con un uso della luce e un ductus non incompatibili rispetto alla tavola marchigiana”. Inoltre, un ulteriore elemento che potrebbe sostenere l’ipotesi attributiva ci rimanda al primo committente noto di Lorenzo Lotto, ovvero Bernardo de’ Rossi, vescovo di Treviso del quale Lorenzo Lotto eseguì uno splendido ritratto ora custodito al Museo Nazionale di Capodimonte: è nota la passione che Rossi nutriva per Andrea Mantegna, e probabilmente, suggerisce Dal Pozzolo, il prelato decise d’avvalersi dei servigî del giovane pittore veneziano proprio a causa della sua vicinanza ai modi del padovano.
Certo, contro un’ipotesi tanto affascinante giocano l’assenza di documenti certi, il fatto che la storia nota della tavola di Recanati cominci molto tardi, la penuria di notizie sugli anni giovanili di Lorenzo Lotto, l’assenza di riferimenti riconducibili con sicurezza alla Sacra Famiglia, la mancanza d’opere lottesche che possano riferirsi in maniera incontrovertibile allo stesso periodo. Sussiste però la “condizione di dover visualizzare il mistero” degli esordî di Lorenzo Lotto, spiega Dal Pozzolo. E a tal fine s’è pensato d’introdurre la Sacra Famiglia, un’opera nota ma sin qui mai collegata all’estro lottesco, come un’opera che potrebbe esser assegnata alla mano del maestro veneto. Lo s’è fatto meritoriamente senza clamori, evitando d’avanzare il nome di Lorenzo Lotto senz’ammettere discussioni e senza punti interrogativi: in sostanza, piuttosto che affermare che la Sacra Famiglia è di sicuro un nuovo Lorenzo Lotto, s’è sottolineato che non è possibile escludere la paternità lottesca. Di certo c’è molto materiale su cui discutere, e molto su cui ancora studiare.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).