Marina Abramović, The Cleaner: un anticipo della grande mostra di Palazzo Strozzi


Recensione della mostra 'Marina Abramović. The Cleaner', alla Bundeskunsthalle di Bonn, dal 20 aprile al 12 agosto 2018.

“[…] The Cleaner è molto piú che una semplice mostra, è un’esperienza coinvolgente e totalizzante dal grande significato storico artistico”. (Rein Wolfs, direttore della Bundeskunsthalle di Bonn).

Lo scorso 20 aprile, presso la Bundeskunsthalle di Bonn, è stata inaugurata The Cleaner, la retrospettiva sull’artista Marina Abramović, una delle figure piú controverse nel panorama artistico contemporaneo internazionale. La retrospettiva itinerante, curata da Lena Essling, Tine Colstrup e Susanne Kleine, è stata realizzata grazie ad una cooperazione fra il Moderna Museet di Stoccolma, il Louisiana Museum of Modern Art di Humlebaeck e la Bundeskunsthalle di Bonn. La mostra approderà il prossimo 21 settembre a Firenze, presso Palazzo Strozzi, e sarà visitabile fino al 20 gennaio 2019.

Concepita insieme alla Abramović, The Cleaner ripercorre cinquant’anni della sua carriera mediante ben centoventi lavori, fra cui filmati, video-installazioni, dipinti, performance live, scenografie, fotografie e materiale d’archivio, dai primi anni Settanta fino ad oggi. La mostra riprende e continua la retrospettiva del 2010 al MoMA di New York, occasione per la quale la Abramović realizzò la performance The Artist is present, opera fondamentale nella vita personale e nella carriera dell’artista.

Marina Abramović
Marina Abramović


Ingresso della mostra The Cleaner di Marina Abramović alla Bundeskunsthalle di Bonn. Ph. Credit Francesca Della Ventura
Ingresso della mostra The Cleaner di Marina Abramović alla Bundeskunsthalle di Bonn. Ph. Credit Francesca Della Ventura


Video-installazione The Artist is present. Ph. Credit Francesca Della Ventura
Video-installazione The Artist is present. Ph. Credit Francesca Della Ventura


Opere giovanili di Marina Abramović. Ph. Credit Francesca Della Ventura
Opere giovanili di Marina Abramović. Ph. Credit Francesca Della Ventura

La mostra presso la Bundeskunsthalle inizia proprio dalla performance del 2010 al MoMA con la quale la Abramović fu presente fisicamente per quasi tre mesi presso il museo newyorkese. Durante l’orario d’apertura del museo, in una delle sale del percorso espositivo, l’artista sedette in silenzio attendendo che i visitatori prendessero posto di fronte a lei: a dividere questo incontro fra sconosciuti un tavolo. Le emozioni provate dai visitatori furono diverse, dalla gioia, al pianto, alla rabbia. Il primo spazio espositivo che ospita la mostra alla Bundeskunsthalle vuole ricreare, mediante una grande video installazione, proprio questi momenti d’incontro fortemente emotivi fra l’artista e il visitatore. Anche a Bonn, quindi, sembra che l’artista voglia di nuovo affermare questa sua presenza costante, cercando di coinvolgere totalmente e sin da subito il visitatore in un “qui e adesso” che definisce l’essenza stessa della performance come genere artistico.

Nata nel 1946 nella Belgrado della ex-Jugoslavia, l’artista, secondo quanto racconta anche nella sua autobiografia (Attraversare i Muri. Un’Autobiografia, edita in italiano da Bompiani), ha da sempre subito il contrasto religioso ed educativo fra i suoi genitori, ex partigiani comunisti dell’era di Tito, e la fervente nonna cattolica. La mostra segue le diverse tappe della vita personale e della carriera dell’artista: dalle prime opere figurative realizzate presso l’Accademia d’arti di Belgrado, alle ultime performance che si caratterizzano per una durata temporale molto piú ampia rispetto a quelle dei primi anni Settanta.

Nel percorso, fra i primi dipinti figurativi, esposti appena dopo la video-installazione del MoMA, e le sue ultime performance che fanno parte del “Metodo Abramović”, vi sono tutte le opere che l’hanno fatta conoscere al grande pubblico, sia quelle realizzate da sola che quelle in cooperazione con l’artista tedesco Ulay durante la loro lunga relazione affettiva e lavorativa (1976-1988). Mediante le sue performance, la Abramović ha cercato di esplorare nel suo significato più profondo le tematiche della memoria, del dolore, della perdita, della fiducia e della resistenza fisica e psicologica. Il coinvolgimento del pubblico come attore co-protagonista delle sue performance risulta fondamentale sin dagli anni Settanta. Nella retrospettiva fotografie, video-installazioni e re-performance permettono ancora una volta al visitatore di prender parte a Rhythm 10, Rhythm 0, Rhythm 5, Lips of Thomas e Art Must be Beautiful, Art Must be Beautiful, solo per citarne alcune fra le più famose. In queste, il corpo è utilizzato come materia dell’opera stessa, in una continua sperimentazione del sé e del processo artistico che hanno permesso alla Abramović di entrare subito a far parte della scena artistica europea di inizio anni Settanta, allora interessata dai lavori di Joseph Beuys, Vito Acconci, Gina Pane, Valie Export, Charlotte Moorman, Chris Burden. La costante presenza di simboli cristiani, occulti, comunisti nelle sue performance ha spesso e volentieri irritato il proprio pubblico, allora così come potrebbe nella mostra odierna.

Fotografie che illustrano la performance Rhythm 10, 1973. Ph. Credit Francesca Della Ventura
Fotografie che illustrano la performance Rhythm 10, 1973. Ph. Credit Francesca Della Ventura


Marina Abramović, Lips of Thomas, 1975. Ph. Credit Francesca Della Ventura
Marina Abramović, Lips of Thomas, 1975. Ph. Credit Francesca Della Ventura


Video della performance AAA-AAA, 1977. Ph. Credit Francesca Della Ventura
Video della performance AAA-AAA, 1977. Ph. Credit Francesca Della Ventura

Un ampio spazio della retrospettiva è, ovviamente, dedicato al rapporto dell’artista con Ulay, che la Abramović conobbe nel 1975 per trasferirsi con lui ad Amsterdam nel 1976. Per dodici anni i due artisti vissero e lavorarono insieme in un rapporto di totale simbiosi che ebbe fine nel 1988 con la famosa performance The Lovers. Appena dopo la rottura con Ulay, la Abramović era stravolta: fu la fine di un sodalizio artistico e di una relazione d’amore e, pertanto, si mise alla ricerca della propria identità e delle proprie radici. Nelle sue performance dei primi anni Novanta, l’artista dedicò la sua attenzione al conflitto che stava insanguinando la propria terra, la Serbia. Balkan Baroque, presentata nel 1997 alla Biennale di Venezia, trattava gli orrori e le sofferenze della guerra civile: era la rappresentazione dell’inferno nel mezzo del paradiso artistico veneziano. Nella retrospettiva è presente una video-installazione / trittico che ripropone la performance che le fece vincere il “Leone d’Oro” alla Biennale del 1997.

I viaggi in India, Australia, Brasile, Tibet e l’incontro con le tradizioni culturali non- occidentali hanno avuto un grande impatto nella vita personale e lavorativa della Abramović. Frutto di questi viaggi sono “gli oggetti transitori”, ovvero cristalli, minerali, come il quarzo, l’ametista, l’ossidiana, che permettono di conseguire uno scambio di energia vitale fra gli stessi oggetti e il pubblico. Le pietre sono degli “strumenti” attraverso cui lo spettatore è invitato ad interagire, sentendo l’energia che esse emanano.

L’ultima parte della retrospettiva é dedicata alle performance di lunga durata, a cui la Abramović si è dedicata negli ultimi anni della sua carriera. Qui l’artista si presenta, per un tempo più esteso (giorni, settimane o mesi), in situazioni strutturate intorno semplici atti quotidiani, quali mangiare, bere, dormire, meditare, fare la doccia, come nel caso, ad esempio, di The House with the Ocean View che vedrà un re-performance alla Bundeskunsthalle fra il 12 e il 24 giugno del 2018.

Arriviamo così al tema della “re-performance” come metodo per tenere in vita la performance stessa. La Abramović è convinta, infatti, che tale metodo, nel momento in cui coinvolge nuovi spettatori e nuovi perfomer, apporti un cambiamento nella realizzazione della performance stessa, contribuendo a mantenerla in vita in contesti sempre nuovi. Durante gli orari di apertura della retrospettiva è possibile, pertanto, osservare re-performance live, quali Imponderabilia (1977), Art Must be Beautiful, Art Must Be Beautiful (1975), Luminosity (1977), House with the Ocean View (2012), Counting the Rice (2015), solo per citarne alcune.

Qualunque sia il proprio giudizio personale sull’artista, bisogna ammettere che la mostra presso la Bundeskunsthalle, in quanto retrospettiva, incontra pienamente le attese del pubblico. È una mostra davvero totalizzante e coinvolgente a cui è necessario dedicare del tempo: due ore non sono sufficienti per visitarla. Una retrospettiva pienamente riuscita in cui ogni sezione espositiva si interseca pienamente con l’altra e nell’insieme diventa una unica grande performance a cui il visitatore è invitato a partecipare attivamente. La sfida adesso sarà riproporre la stessa mostra a Firenze, in una cornice diversa dal Moderna Museet di Stoccolma o dalla Bundeskunsthalle di Bonn, quale è quella di Palazzo Strozzi (ecco un anticipo)... ma per questo bisogna attendere ancora qualche mese.

Video-installazione della performance Coint on us, 2004. Ph. Credit Francesca Della Ventura
Video-installazione della performance Coint on us, 2004. Ph. Credit Francesca Della Ventura


Marina Abramović, The House with the Ocean View, 2012. Ph. Credit Francesca Della Ventura
Marina Abramović, The House with the Ocean View, 2012. Ph. Credit Francesca Della Ventura


Marina Abramović, Counting Rice, 2015. Ph. Credit Francesca Della Ventura
Marina Abramović, Counting Rice, 2015. Ph. Credit Francesca Della Ventura


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Francesca Della Ventura

L'autrice di questo articolo: Francesca Della Ventura

Ha studiato storia dell'arte (triennale, magistrale e scuola di specializzazione) in Italia e ha lavorato per alcuni anni come curatrice freelancer e collaboratrice presso il Dipartimento dei Beni Storici, Artistici ed Etnoantropologici del Molise (2012-2014). Dal 2014 risiede in Germania dove ha collaborato con diverse gallerie d'arte e istituzioni culturali tra Colonia e Düsselorf. Dallo stesso anno svolge un dottorato di ricerca in storia dell'arte contemporanea all'Università di Colonia con una tesi sul ritorno all'arte figurativa negli anni Ottanta in Germania e Italia. Nel 2018 è stata ricercatrice presso l'Universidad Autonoma di Madrid. Ha scritto sull'identità tedesca e italiana nell'arte contemporanea e nella politica, sul cinema tedesco e italiano del dopoguerra e grazie a diverse borse di studio D.A.A.D. ha presentato la sua ricerca a livello internazionale. Attualmente i suoi temi di ricerca riguardano l’arte degli anni Ottanta, in particolar modo quella femminista. Dal 2020 è entrata a far parte del gruppo di ricerca dell’Universitá di Bonn “Contemporary Asymmetrical Dependencies” con un progetto di ricerca sulla costruzione dei nuovi musei e delle condizioni di dipendenza asimmetrica dei lavoratori migranti nell’isola di Saadyat ad Abu Dhabi. Nell'ottobre 2020 ha fondato inWomen.Gallery, galleria online, sostenibile e per artiste. Dal 2017 lavora come giornalista d'arte per la rivista online e cartacea Finestre sull'Arte.





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