Il Polittico dell'Agnello Mistico: il capolavoro di Hubert e Jan van Eyck nella Cattedrale di Gent


Il Polittico dell'Agnello Mistico, di Jan van Eyck e Hubert van Eyck, è stato realizzato nel 1432 ed è uno dei grandi capolavori della storia dell'arte mondiale. Si trova a Gent, nella Cattedrale di San Bavone.

Era il 1823 quando, a Berlino, un restauratore al lavoro sul Polittico dell’Agnello mistico, uno dei più grandi capolavori della storia dell’arte mondiale, rimosse alcune ridipinture scoprendo un’iscrizione illuminante, che recitava: “Pictor Hubertus eeyck. maior quo nemo repertus / Incepit. pondus. que Johannes arte secundus / [Frater] perfecit. Judoci Vijd prece fretus / VersU seXta MaI. Vos CoLLocat aCta tUerI [1432]” (“Il pittore Hubert van Eyck, il più grande di sempre, ha iniziato questo gravoso lavoro, che suo fratello Jan, secondo in arte, ha portato a compimento, su commissione di Joos Vijd. Con questo verso, il 6 maggio del 1432, colloca ciò che è stato fatto sotto la vostra protezione”). La quartina aveva permesso di far luce sui nomi dei due autori della spettacolare opera conservata nella cattedrale di San Bavone a Gent, nel cuore delle Fiandre: Jan van Eyck (Maaseik, 1390 circa - Bruges, 1441) e suo fratello maggiore, Hubert van Eyck (? - Gent, 1426). E proprio da qui è possibile dare avvio a un appassionante viaggio dentro una delle opere più note, ma al contempo più enigmatiche, dell’intera storia dell’arte. Non sappiamo come i due fratelli si spartirono i compiti, e l’operazione è resa difficile anche dal fatto che non conosciamo opere certe di Hubert van Eyck, quindi non sappiamo come dipingesse. Inoltre, rimangono da chiarire alcuni aspetti del significato complessivo, sul quale peraltro non vige concordanza unanime. E ancora, date le traversie che l’opera ha subito nel corso dei secoli, non possiamo stabilire con certezza dove si trovasse in origine. Occorre dunque andare per gradi.

Il Polittico dell’Agnello mistico è un’opera monumentale, ed è il più imponente dei polittici realizzati nelle Fiandre durante il quindicesimo secolo: misura tre metri e cinquanta in altezza, e quattro e settanta in larghezza, quando è aperto. Infatti il polittico è dipinto su entrambi i lati ed era stato concepito per essere chiuso o aperto (e quindi per mostrare certi scomparti piuttosto che altri) secondo le occasioni. Quando il polittico è aperto, mostra all’osservatore dodici tavole, suddivise su due registri. È tuttavia necessario sottolineare che l’impianto, per come lo vediamo oggi, secondo alcuni studiosi potrebbe non corrispondere all’idea originaria di Hubert e Jan van Eyck: uno storico dell’arte come Emile Renders, che peraltro riteneva Jan van Eyck l’unico autore del dipinto e l’iscrizione un’aggiunta posteriore e non autentica, s’è spinto a ipotizzare che il polittico fosse il risultato dell’assemblaggio di diverse opere del minore dei due fratelli. Secondo questa teoria, il committente Joos Vijd avrebbe comperato delle opere separate e le avrebbe riunite in maniera piuttosto casuale in un unico polittico. Occorre poi domandarsi se la configurazione del complesso che abbiamo modo di vedere oggi corrisponda a quella effettivamente immaginata da Hubert e Jan van Eyck (o dal suo committente), perché nel corso dei secoli il Polittico dell’Agnello Mistico è stato smontato e montato più volte: tuttavia, la ricostruzione attuale sembra essere quella più probabile.

Jan van Eyck e Hubert van Eyck, Polittico dell'Agnello Mistico (datato 1432; olio su tavola, 350 x 470 cm aperto, 350 x 223 cm chiuso; Gent, Cattedrale di San Bavone). Ph. Credit KIK-IRPA
Jan van Eyck e Hubert van Eyck, Polittico dell’Agnello Mistico (datato 1432; olio su tavola, 350 x 470 cm aperto, 350 x 223 cm chiuso; Gent, Cattedrale di San Bavone). Ph. Credit KIK-IRPA


Il Polittico dell'Agnello Mistico chiuso. Ph. Credit KIK-IRPA
Il Polittico dell’Agnello Mistico chiuso. Ph. Credit KIK-IRPA

I pannelli che vediamo quando il polittico è chiuso ci offrono una sorta di “introduzione” ai temi che l’opera sottende. Si tratta di un insieme piuttosto austero, un “preludio misurato allo splendore policromatico dell’interno” (così lo ha definito Otto Pächt). Il registro inferiore è occupato da quattro pannelli: ai lati troviamo i ritratti, a grandezza naturale, dei due donatori, ovvero il già menzionato Joos Vijd, un nobile del patriziato di Gent, ricco proprietario terriero, e dal 1395 sempre presente nel consiglio comunale di Gent, e sua moglie Lysbette Borluut. L’intento dei due coniugi non era solo quello di includere, nella loro cappella all’interno di quella che all’epoca era la chiesa di san Giovanni (l’edificio sarebbe stato dedicato a san Bavone ed elevato al rango di Cattedrale solo nel Cinquecento), un’opera che potesse serbare la loro memoria, ma anche dimostrare a tutta la città di Gent il prestigio sociale da loro acquisito: un’opera tanto imponente, realizzata dai due migliori artisti sulla piazza, costituiva per quei tempi un’efficace dimostrazione di potere. Si tratta anche di due tra i più precoci (oltre che interessanti) esempi di ritrattistica fiamminga del Rinascimento, che si distinguono per il loro alto grado di realismo e di cura per il dettaglio. Le impressionanti doti analitiche di Jan van Eyck, cui s’attribuiscono i due ritratti, sono tutte tese a restituire un’immagine fedele di Joos Vijd e di Lysbette Borluut: il pittore non tralascia nei, ombreggiature della peluria (addirittura il committente ci appare con la barba di un giorno), rughe, occhiaie. La recente scoperta della pittura a olio aveva consentito agli artisti di poter portare ai massimi livelli il naturalismo delle loro realizzazioni, e i committenti gradivano sperimentare fin dove i loro artisti si potessero spingere.

Subito dopo i ritratti dei donatori incontriamo le figure di due santi: Giovanni Battista e Giovanni Evangelista, i santi patroni della chiesa, ai quali si rivolgono le preghiere del committente e di sua moglie, e coi quali questi ultimi condividono un unico spazio comune, malgrado ciascuna figura occupi un singolo scomparto. Sono dipinti in grisaille, ovvero in monocromo sui toni di grigio, affinché assumano l’aspetto di due statue: questo spettacolare effetto illusionistico di trompe-l-oeil non solo accresce il naturalismo dei ritratti di Joos Vijd e Lysbette Borluut, come hanno notato diversi studiosi e come risulta del resto evidente dal confronto diretto, ma dimostra anche il grado d’innovazione alla quale la pittura di Jan van Eyck era pervenuta. Il pittore non era stato il primo a utilizzare la tecnica della grisaille per creare figure simili a statue: lo aveva già fatto il suo conterraneo Robert Campin (Valenciennes, 1378 circa - Tournai, 1444), ma van Eyck, col suo segno più aspro, i suoi contrasti di luce più netti e la cura maggiore per certi dettagli (si notino i riccioli dei capelli dei due santi, o il vello dell’agnello del Battista: l’artista ha addirittura voluto imitare i segni del trapano dello scultore), aveva raggiunto effetti d’illusionismo ben più sorprendenti.

Il registro superiore ospita invece una raffinata Annunciazione, alla quale alludono anche le figure che occupano le lunette. Si tratta di due profeti alle estremità (Zaccaria a sinistra e Michea a destra), e di due sibille al centro (a sinistra la Sibilla Eritrea, a destra la Sibilla Cumana): ognuno di loro reca un cartiglio. Zaccaria è accompagnato da un’iscrizione tratta dal suo libro, che recita “Exault satis filia Syon jubila [...] ecce rex tuus venit” (“Esulta grandemente, figlia di Sion, giubila [...], ecco, a te viene il tuo re”). Anche Michea porta con sé un passaggio del suo libro: “De te egreditur qui sit dominator in Israel” (“Da te uscirà colui che sarà dominatore in Israele”). La Sibilla Eritrea è invece associata a una frase che riprende un verso dell’Eneide di Virgilio e che dice “nil mortale sonans afflata es numine celso” (“Cantando niente di mortale tu sei ispirata da uno spirito elevato”): nell’Eneide, le parole si riferiscono alla Sibilla, ma nel contesto del dipinto di Gent possono essere lette come un riferimento all’Annunciazione. Lo stesso vale per il cartiglio della Sibilla Cumana, dove la frase “Rex altissimus adveniet per secula futurus scilicet in carne” (“L’altissimo re verrà e si farà carne per tutti i secoli”) si riferisce ovviamente alla venuta di Cristo: la citazione in latino è tratta dal De civitate Dei di sant’Agostino che, a sua volta, traduce dal greco una frase degli Oracoli sibillini, dodici libri di profezie varie, composti originariamente tra il secondo e il primo secolo avanti Cristo e quindi rielaborati nei primi secoli del cristianesimo.

I profeti e le sibille preannunciavano la nascita di Gesù: il racconto conduce quindi alla scena dell’Annunciazione, con i due protagonisti abbigliati di candide vesti e che occupano uno spazio unitario, separati però da due pannelli centrali che raffigurano dettagli della stanza entro cui si svolge la scena. Anche in queste due tavole, la minuzia di Jan van Eyck non ha tralasciato alcun particolare: nella prima, oltre le due eleganti bifore con colonnine in marmo nero e capitelli corinzi, possiamo infatti apprezzare una veduta di Gent (anche se è difficile dire se corrisponde a una reale zona della città), con tanto di volo d’uccelli nel cielo, mentre la seconda è una dettagliata rappresentazione dell’interno della dimora di Maria dove vediamo, appoggiata alla parete, una raffinatissima nicchietta gotica, sormontata da una cuspide con archetto trilobato, che contiene un bacile di bronzo, una brocca anch’essa in bronzo, e un asciugamano di lino, bordato d’azzurro. Questi oggetti alludono alla purezza della Vergine, ma hanno anche il merito d’introdurci in un tipico interno d’una casa fiamminga d’inizio Quattrocento. L’arcangelo Gabriele, come da tipica iconografia, sopraggiunge recando un giglio, anch’esso simbolo della purezza della Vergine, e pronunciando la frase “Ave gratia plena D[omi]n[u]s tecum[m]” (“Ave, o piena di grazia, il Signore è con te”). Lei, inginocchiandosi e giungendo le mani sul petto, risponde “Ecce ancilla Domini” (“Ecco l’ancella del Signore”), mentre la colomba dello Spirito Santo vola sopra il suo capo. È interessante notare che la scena dell’Annunciazione potrebbe aiutare a risolvere una delle questioni più dibattute attorno all’arte di Jan van Eyck: il suo eventuale viaggio in Italia, e più precisamente a Firenze. La storica dell’arte Penny Jolly, in un saggio scientifico del 1998, ha affermato che l’Annunciazione “dimostra chiaramente prove di contatti con il repertorio figurativo fiorentino per via dell’inclusione di tre caratteristiche insolite: i due pannelli inseriti tra la Vergine e l’angelo, la risposta scritta alla rovescia della Madonna a Dio, e la forma dei raggi di luce che si vedono sul muro dietro la Vergine”. Secondo Penny Jolly, i due pannelli richiamano lo spazio che Lorenzo Monaco (Siena?, 1370 circa - Firenze, 1425) inserì tra Gabriele e Maria nell’Annunciazione per la pala Salimbeni in Santa Trinita a Firenze, inoltre la scritta alla rovescia “Ecce ancilla Domini” appare, per esempio, nell’anonima Annunciazione della Santissima Annunziata, e ancora la luce che assume la forma delle finestre sulla parete ricorda un riflesso simile presente nell’Annunciazione del Beato Angelico (Vicchio, 1395 circa - Roma, 1455). Una somma di elementi che potrebbero dunque far pensare a una conoscenza dell’arte italiana coeva da parte di Jan van Eyck, cui la scena è da attribuire.

I donatori Joos Vijd e Lysbette Borluut. Ph. Credit KIK-IRPA
I donatori Joos Vijd e Lysbette Borluut. Ph. Credit KIK-IRPA


Dettagli dei volti dei donatori. Ph. Credit KIK-IRPA
Dettagli dei volti dei donatori. Ph. Credit KIK-IRPA


I pannelli con san Giovanni Battista e san Giovanni Evangelista. Ph. Credit KIK-IRPA
I pannelli con san Giovanni Battista e san Giovanni Evangelista. Ph. Credit KIK-IRPA


Dettaglio del san Giovanni Evangelista. Ph. Credit KIK-IRPA
Dettaglio del san Giovanni Evangelista. Ph. Credit KIK-IRPA


Profeti e sibille. Ph. Credit KIK-IRPA
Profeti e sibille. Ph. Credit KIK-IRPA


L'Annunciazione. Ph. Credit KIK-IRPA
L’Annunciazione. Ph. Credit KIK-IRPA


Veduta di Gent. Ph. Credit KIK-IRPA
Veduta di Gent. Ph. Credit KIK-IRPA

La nascita di Cristo è dunque annunciata e il polittico può essere aperto: ci si trova dinnanzi a un insieme molto più eterogeneo e articolato di quello che si ammira quando il polittico è chiuso, e al contempo molto più complicato, con figure rappresentate in scale diverse, ragion per cui diversi storici dell’arte hanno voluto individuare nell’opera le mani dei due fratelli. I più sono propensi ad attribuire a Hubert l’ideazione del complesso e a Jan l’esecuzione delle figure (anche per il fatto che pressoché tutte sono vicinissime al suo stile), benché lo scarto qualitativo delle tre figure centrali del polittico aperto possa far pensare che queste ultime siano da ascrivere alla mano di Hubert. Tutti sono però d’accordo sull’assegnare a Jan le figure agli estremi opposti: sono i progenitori, Adamo ed Eva. Entrambi sono nudi, ma mentre Adamo si copre il pube con una foglia di fico, Eva, che con la mano destra regge il frutto del peccato, si mostra senz’alcun filtro, dal momento che con la mano tiene la foglia appena sotto il monte di Venere, scoprendosi totalmente alla vista del riguardante. Questi due pannelli costituiscono una straordinaria innovazione: nessun artista, prima d’allora, s’era mai spinto a rappresentare il corpo umano nudo, e per di più in un’opera destinata a un edificio di culto, con tanto crudo naturalismo. L’artista ha voluto rendere con estrema accuratezza la morbidezza dell’epidermide, la leggerezza dei capelli che, sfilacciati e leggermente disordinati, ricadono sulle spalle (lisci quelli di Eva, ricci quelli di Adamo), la peluria che ricopre il petto di Adamo e le sue braccia, o il pube di Eva, e addirritura le vene pulsanti. “Eva”, scrisse in un suo articolo lo storico dell’arte Kenneth Clark, “è la prova di quanto minutamente ’realistico’ nella resa dei dettagli possa essere un artista, e allo stesso tempo subordinare il tutto a una forma ideale”. È stata infatti rilevata anche la dipendenza dei progenitori da modelli classici: la posa della Venus pudica, per esempio, potrebbe aver costituito un precedente.

Le figure di Adamo ed Eva sono immediatamente seguite da due pannelli con angeli musicanti: a sinistra, un gruppo è impegnato a cantare leggendo le parole da un leggio posto su un banco decorato con una figurazione di san Michele che sconfigge il drago. A destra, un angelo suona un organo mentre gli altri lo accompagnano con strumenti a corda. Qui, van Eyck ha voluto evitare figurazioni stereotipate, e si è profuso in un ulteriore brano di singolare realismo: per accorgersene, è sufficiente osservare le espressioni degli angeli, concentratissime mentre cantano e suonano (vediamo occhi socchiusi, fronti aggrottate, sguardi che seguono gli spartiti). I loro canti glorificano la figura centrale della Deësis, il tema iconografico, di origine bizantina, che vede nel mezzo Cristo re in trono affiancato dalla Madonna e da san Giovanni Battista. Sono queste le tre figure che, apparendo più piatte e tradizionali rispetto a quelle del resto del polittico, si è portati ad assegnare alla mano di Hubert van Eyck. Al centro, Cristo re è abbigliato con un’ampia veste rossa, indossa una tiara a tre corone, con la mano destra compie il gesto della benedizione e con la sinistra mostra lo scettro: sono tutti attributi che lo identificano come Rex Regum, Dominum Dominantium (“Re dei re, Signore dei signori”), titolo che vediamo sul bordo inferiore del mantello, ornato di perle. La regalità di Cristo è del resto sottolineata anche dalle scritte che corrono lungo la sommità del trono, dalla ricchezza dei gioielli che decorano la sua veste, dall’ulteriore corona posata ai suoi piedi. La sua figura è stata spesso scambiata per quella di Dio Padre o della Trinità, dal momento che nella figurazione compaiono attributi che potrebbero condurre a una lettura di questo tipo (la scritta “Deus potentissimus” o il gesto delle tre dita, per esempio), ma la tradizione iconografica che prevede la figura di Gesù al centro della Deësis, e ulteriori attributi (il pellicano, simbolo di Cristo, oppure il motivo della vite che allude al sacramento dell’Eucaristia e al sacrificio della croce) non lasciano molti dubbî in merito all’identità della figura centrale. Il preziosismo che contraddistingue i tre personaggi della Deësis non ha eguali nel resto del polittico. Ogni dettaglio trasuda opulenza: lo stesso Giovanni Battista, solitamente vestito di abiti logori, sopra alla sua tradizionale tunica fatta di peli di cammello indossa una mantella bordata d’oro e ornata di perle e gemme. Particolarmente elaborata è anche la corona della Vergine, che alle pietre preziose alterna gigli e rose, i suoi fiori. Si tratta d’elementi che evidenziano il gusto per il lusso dei committenti del polittico.

Il registro inferiore è invece quello che vede la presenza del pannello con l’adorazione dell’agnello mistico. L’agnello, con la testa circondata da un nimbo, si trova in piedi sopra un altare che reca l’iscrizione “Ecce agnus Dei qui tollit peccata mundi” (“Ecco l’agnello di Dio che toglie i peccati del mondo”): dal suo petto sta sgorgando sangue, anch’esso allusione al sangue versato da Gesù sulla croce (la scorgiamo infatti dietro l’animale, portata da alcuni angeli che recano i simboli della Passione). Il sangue cade dentro un calice, a simboleggiare, anche in questo caso, il sacramento dell’Eucaristia. La scena è immersa in un paesaggio verdeggiante, simbolo del Paradiso, e sullo sfondo vediamo anche il profilo d’una città, con torri, palazzi, campanili (è un’allegoria della Gerusalemme celeste, la città perfetta che appare a san Giovanni in una visione): tutto il paesaggio viene investito dalla luce emanata dalla colomba dello Spirito Santo. Una luce che non produce alcuna ombra: nell’Apocalisse si legge infatti che “la città non ha bisogno della luce del sole, né della luce della luna: la gloria di Dio la illumina e la sua lampada è l’agnello”. Attorno all’agnello si dispone una folla di personaggi giunti per adorarlo: ci sono gli apostoli, sante e santi, papi, scrittori antichi e filosofi, profeti. È un’altra immagine giovannea: nell’Apocalisse si legge che “apparve una moltitudine immensa, che nessuno poteva contare, di ogni nazione, razza, popolo e lingua. Tutti stavano in piedi davanti al trono e davanti all’Agnello, avvolti in vesti candide, e portavano palme nelle mani. E gridavano a gran voce: ’La salvezza appartiene al nostro Dio seduto sul trono e all’Agnello’”. Nella schiera delle sante, in alto a destra, riconosciamo in prima fila, dai loro attributi, sant’Agnese (con l’agnello), santa Barbara (con la torre) e santa Dorotea (con un cesto di fiori), e tra i personaggi in basso a sinistra s’è anche voluto riconoscere, nell’uomo barbuto con la tunica bianca e il capo cinto d’alloro, il poeta Virgilio. Al centro esatto possiamo ammirare la fontana della vita: sul bordo della vasca corre la scritta “hic est fons aque vite procedens de sede Dei + agni” (“Questa è la fontana dell’acqua della vita, che procede dal trono di Dio e dell’agnello”). La fontana riveste un forte ruolo simbolico, dal momento che l’acqua scorre verso il bordo inferiore, quindi verso l’altare della cappella Vijd, dove il sacerdote officiava la messa: si tratta d’una sorta di chiamata ai fedeli, poiché, sempre nell’Apocalisse, Dio dice a san Giovanni che darà da bere alla fonte dell’acqua della vita, e van Eyck ha voluto dar corpo a quest’immagine facendo defluire l’acqua all’esterno del polittico, come se dovesse inondare la chiesa.

Nei rimanenti quattro pannelli laterali notiamo altri gruppi di persone che s’avviano verso l’agnello: sono le genti che giungono ad adorarlo. Nel pannello all’estrema destra abbiamo i pellegrini, guidati da san Cristoforo (il suo nome, in greco, significa letteralmente “colui che porta Cristo”). Segue il pannello con i martiri, mentre a sinistra troviamo, vicino al pannello centrale, i “Cristi milites”, ovvero i soldati di Cristo, mentre all’estremità figura il pannello con i giudici giusti. Quest’ultimo è l’unico pannello non originale del complesso: la tavola dipinta da van Eyck fu infatti rubata nel 1934, e quella che vediamo adesso è una copia realizzata nel dopoguerra dal restauratore Jef van der Veken (Anversa, 1872 - Ixelles, 1964).

Adamo ed Eva, e dettagli dei loro corpi. Ph. Credit KIK-IRPA
Adamo ed Eva, e dettagli dei loro corpi. Ph. Credit KIK-IRPA


Dettaglio del corpo di Eva. Ph. Credit KIK-IRPA
Dettaglio del corpo di Eva. Ph. Credit KIK-IRPA


I pannelli con gli angeli. Ph. Credit KIK-IRPA
I pannelli con gli angeli. Ph. Credit KIK-IRPA


Le facce degli angeli. Ph. Credit KIK-IRPA
Le facce degli angeli. Ph. Credit KIK-IRPA


La Deësis. Ph. Credit KIK-IRPA
La Deësis. Ph. Credit KIK-IRPA


Cristo re. Ph. Credit KIK-IRPA
Cristo re. Ph. Credit KIK-IRPA


La Madonna. Ph. Credit KIK-IRPA
La Madonna. Ph. Credit KIK-IRPA


Il pannello con l'agnello mistico. Ph. Credit KIK-IRPA
Il pannello con l’agnello mistico. Ph. Credit KIK-IRPA


Dettaglio dell'agnello mistico. Ph. Credit KIK-IRPA
Dettaglio dell’agnello mistico. Ph. Credit KIK-IRPA


Le sante. Ph. Credit KIK-IRPA
Le sante. Ph. Credit KIK-IRPA


Scrittori e poeti adorano l'agnello mistico. Ph. Credit KIK-IRPA
Scrittori e poeti adorano l’agnello mistico. Ph. Credit KIK-IRPA


I pannelli del registro inferiore. Ph. Credit KIK-IRPA
I pannelli del registro inferiore. Ph. Credit KIK-IRPA

Qual è dunque il significato generale d’un insieme tanto articolato? Tutto il programma iconografico, che fu scritto ricorrendo a varie fonti, è incentrato sul tema della redenzione. Adamo ed Eva, le cui figure sono sormontate da lunette decorate con, rispettivamente, il sacrificio di Caino e Abele e l’uccisione di Abele, sono considerati come coloro che hanno costretto l’umanità a una vita nel peccato. Adamo è infatti accompagnato dall’iscrizione “Adam nos in morte precipitat” (“Adamo ci ha fatti precipitare nella morte”), e ai piedi di Eva si legge “Eva occidendo orfuit” (“Eva ci ha danneggiati con un delitto”). Tuttavia l’umanità, malgrado sia costretta a vivere nel peccato, può comunque essere salvata grazie a Cristo, che si è sacrificato per redimere tutti i peccatori: l’agnello, nella tradizione cristiana, è il simbolo del sacrificio di Gesù, profetizzato sia nei libri del Vecchio Testamento, sia nel Vangelo di Giovanni (quando l’evangelista incontra Gesù, nel primo capitolo del libro, gli si rivolge con la celebre frase “ecco l’agnello di Dio, che toglie i peccati del mondo”). L’umanità che ha accolto la fede ed è stata quindi redenta dal peccato (ovvero quella che, nel dipinto, si raccoglie attorno all’agnello o sta per giungere a riverirlo) è la stessa che Dio ha salvato e che potrà accedere al Paradiso governato dai personaggi della Deësis. Questo il significato più evidente del dipinto, ma un’opera complessa come il Polittico dell’Agnello Mistico introduce anche altri temi. È stato suggerito, per esempio, che il polittico rivestisse anche un importante ruolo civile: san Giovanni Battista era all’epoca il patrono di Gent (e l’agnello, com’è noto, è uno dei suoi attributi) ed è lecito immaginare che i committenti intesero donare alla città anche un’opera nella quale gli abitanti potessero riconoscersi. Ancora, si è ipotizzato che il polittico possa anche leggersi come una grande allegoria del sacramento dell’Eucaristia: la storica dell’arte Dana Ruth Goodgal ha condotto approfonditi studî sull’iconografia del polittico e ha scoperto come ogni singola figurazione corrisponda ad alcuni passaggi del Tractatus de corpore Christi scritto nel 1400 dal religioso Olivier de Langhe, giungendo alla conclusione che tema del polittico sia piuttosto “l’unione del corpo mistico di Cristo nel sacramento eucaristico”. Ma i livelli di lettura sono molteplici, anche perché l’osservatore può avvicinarsi al polittico secondo diverse prospettive. Erwin Panofsky ha scritto che “l’occhio di van Eyck opera come un microscopio e un telescopio allo stesso tempo, così che l’osservatore è costretto a oscillare tra una posizione ragionevolmente distante dal dipinto e diverse posizioni a esso vicinissime”: in altri termini, van Eyck ci ha offerto un’opera che è passibile di più letture e punti di vista.

E non è soltanto il significato del dipinto a essere complicato: lo è anche la sua storia plurisecolare, il cui ultimo capitolo è rappresentato dal grande restauro al quale il Polittico dell’Agnello Mistico è stato sottoposto a partire dal 2012, e che vedrà la sua conclusione nel 2020, quando anche i pannelli del polittico aperto saranno sistemati e l’opera sarà riconsegnata alla città di Gent. Nel frattempo, il pubblico può vedere il dipinto durante i lavori al Museo delle Belle Arti di Gent. Nel corso dei secoli, l’opera ha infatti conosciuto diverse ridipinture e rimaneggiamenti che ne hanno alterato la colorazione, rendendo le superficî più scure, appiattendo i contrasti e il bilanciamento delle cromie. Senza contare il fatto che lo stato di conservazione del polittico era peggiorato: così, da un’indagine preliminare condotta nel 2010, si è giunti alla conclusione che l’opera necessitava d’un restauro, partito due anni più tardi, grazie anche al sostegno finanziario della The Getty Foundation. Senza intervento, i danni sarebbero potuti diventare irreversibili.

Dopo una prima fase di pulitura, il team di restauratori, guidato da Bart Devolder del KIK-IRPA (l’Istituto Reale per la Tutela del Patrimonio Culturale, la massima autorità belga in fatto di restauro di opere d’arte), ha cominciato a rimuovere le patine accumulatesi sulla superficie, scoprendo che vaste sezioni del polittico (circa il 70% del totale) avevano subito pesanti ridipinture tra il Cinquecento e il Seicento, facendo sì che, ha dichiarato Bart Devolder, “per più di quattrocento anni non abbiamo effettivamente visto la vera pala dell’altare di Gent”. Dopo accese discussioni, il team, supportato da un comitato scientifico d’altissimo livello al quale partecipano molti dei migliori specialisti di pittura fiamminga del Rinascimento, ha deciso di rimuovere le ridipinture, dal momento che l’operazione poteva essere condotta nella massima sicurezza. La fase successiva è stata il risarcimento delle perdite: una misura adottata per restituire integrità visiva ai pannelli del Polittico dell’Agnello Mistico e che, ha affermato Bart Devolder, “è stata condotta secondo i moderni principî etici della conservazione, facendo in modo che i ritocchi non coprissero i materiali originali e che fossero reversibili e facili da rimuovere per futuri interventi”. Tutto il lavoro è stato documentato su un sito web dedicato, che permette anche di visualizzare immagini ad alta risoluzione del polittico prima e dopo il restauro.

Tecnici del KIK-IRPA al lavoro, nel Museo di Belle Arti di Gent, sugli scomparti del polittico. Ph. Credit KIK-IRPA
Tecnici del KIK-IRPA al lavoro, nel Museo di Belle Arti di Gent, sugli scomparti del polittico. Ph. Credit KIK-IRPA


Il polittico chiuso, prima e dopo il restauro. Ph. Credit KIK-IRPA
Il polittico chiuso, prima e dopo il restauro. Ph. Credit KIK-IRPA


Il san Giovanni Battista durante il restauro. Ph. Credit KIK-IRPA
Il san Giovanni Battista durante il restauro. Ph. Credit KIK-IRPA


La figura del san Giovanni Evangelista prima e dopo i risarcimenti. Ph. Credit KIK-IRPA
La figura del san Giovanni Evangelista prima e dopo i risarcimenti. Ph. Credit KIK-IRPA

E le ridipinture che hanno alterato il polittico non rappresentano che una delle tante vicende cui l’opera è andata incontro nei secoli. Parte della cornice originaria è andata perduta quando, nel 1794, le armate francesi che avevano occupato il Belgio saccheggiarono la Cattedrale di San Bavone smembrando il polittico e portando i pannelli centrali a Parigi, da cui avrebbero fatto ritorno a Gent solo nel 1816. Ancora prima, l’opera, nel 1566, era stata smontata e nascosta nel campanile della Cattedrale per sottrarla alla furia della Beeldenstorm, l’ondata iconoclasta dei protestanti che si abbatté sul Belgio e sull’Olanda nell’estate del 1566. Più tardi, nel 1781, i pannelli con Adamo ed Eva erano stati a loro volta smontati e nascosti perché ritenuti osceni. Dopo il ritorno del polittico da Parigi, le vicissitudini del polittico non erano ancora finite: le autorità allora alla guida della Cattedrale decisero di vendere sei degli otto scomparti laterali (ovvero tutti tranne quelli dei progenitori) a un collezionista inglese, Edward Solly. Nel 1821, il re Federico Guglielmo III di Prussia comprò gli scomparti da Solly e li destinò alla sua raccolta conservata a Berlino (tra l’altro, nel 1894 le tavole del re furono segate a metà, così che fronte e retro potessero essere esposti separatamente). Nel frattempo, i pannelli con Adamo ed Eva, ancora nascosti, nel 1861 furono venduti allo stato belga, ma il polittico poté essere finalmente riunito nel 1920 quando, dopo la prima guerra mondiale, alla Germania fu imposta la restituzione degli scomparti laterali al Belgio. Nel 1934 si verificò il furto dei due pannelli con i giudici giusti e il Giovanni Battista: quest’ultimo fu ritrovato, il primo è ancora disperso. Nel corso della seconda guerra mondiale, l’opera fu ricoverata in Francia, ma fu scovata dai tedeschi durante l’occupazione del paese, e trasferita nel castello di Neuschwanstein. Fu in seguito spostata e gli americani, nel 1945, la ritrovarono nel sito delle miniere di Alt Aussee, e la rispedirono immediatamente a Gent, dove rimase esposta per soli cinque anni prima d’essere sottoposta a un restauro, che restituì l’opera alla Cattedrale solo nel 1986. Il resto, è storia recente.

Bibliografia di riferimento

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  • Bernhard Ridderbos, Henk Th. van Veen, Anne van Buren (a cura di), Early Netherlandish paintings. Rediscovery, reception and research, J. Paul Getty Museum, 2005
  • Alessandro Parronchi, Ricostruzioni. Piero della Francesca - l’altare di Gand, Medusa Edizioni, 2003
  • Carlenrica Spantigati, Van Eyck, Giunti, 2000
  • Penny Jolly, Jan van Eyck’s Italian Pilgrimage: A miraculous Florentine Annunciation and the Ghent Altarpiece in Zeitschrift für Kunstgeschichte, 61 (1998), pp. 369-394
  • Craig Harbison, Jan Van Eyck. The Play of Realism, Reaktion Books, 1991
  • Guy Bauman, Early Flemish Portraits: 1425–1525, The Metropolitan Museum, 1986
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  • Dana Ruth Goodgal, The iconography of the Ghent altarpiece, University of Pennsylvania, 1981
  • Elisabeth Dhanens, Van Eyck: the Ghent altarpiece Dhanens, Viking, 1973
  • Erwin Panofsky, The Friedsam Annunciation and the problem of the Ghent Altarpiece in Art Bulletin, 17 (1935), pp. 433-473


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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