di
Ilaria Baratta
, scritto il 13/05/2018
Categorie: Opere e artisti - Quaderni di viaggio / Argomenti: Piacenza - Manierismo - Cinquecento - Arte antica
Il ciclo di affreschi del Pordenone che decora la cupola della basilica di Santa Maria di Campagna a Piacenza è uno dei grandi capolavori del Cinquecento ed è considerata la Cappella Sistina del pittore friulano. Un racconto degli affreschi dopo una visita 'in quota'.
“La Madonna di Campagna è il Vaticano o meglio la Cappella Sistina del Pordenone”: così affermava François Rio, scrittore e critico d’arte francese attivo nell’Ottocento, autore di De l’art chrétien (1841). Rio si riferiva alla basilica di Santa Maria di Campagna, chiesa alle porte della città di Piacenza la cui storia risale addirittura all’anno Mille, ricostruita nel Cinquecento e affrescata e decorata a partire dal 1529, l’anno successivo al termine del cantiere architettonico, da pittori e scultori di grande fama. Uno tra questi era il Pordenone, ovvero Giovanni Antonio de’ Sacchis, nato tra il 1483 e il 1484 nella città di Pordenone e scomparso improvvisamente a Ferrara, all’età di 56 anni, il 14 gennaio 1539, mentre era ospite in una locanda; la subitanea morte ha fatto pensare allo storico dell’arte e suo estimatore Giuseppe Fiocco a un avvelenamento.
L’artista friulano, il cui ingresso nell’arte fu dovuto probabilmente al padre, che di mestiere faceva il magister murarius (una sorta di muratore capomastro), era stato chiamato nella chiesa di Santa Maria di Campagna nel 1530 per realizzare una serie di affreschi e una pala: quest’ultima è lo Sposalizio mistico di santa Caterina tra san Pietro e san Paolo, nel quale il Pordenone si era autoritratto nel volto di san Paolo, mentre per il viso della Madonna aveva fatto un ritratto della moglie, una bellissima gentildonna piacentina, della famiglia Dal Pozzo, e dalla quale aveva avuto cinque figli. Gli affreschi in questione sarebbero invece quelli che tuttora decorano la cupola principale della basilica e che, fino al 10 giugno 2018, grazie all’apertura al pubblico del cosiddetto Camminamento degli artisti, è possibile ammirare da vicino compiendo la Salita al Pordenone.
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Piacenza, la facciata della basilica di Santa Maria di Campagna |
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Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone, affreschi della Basilica di Santa Maria di Campagna (1530-1535; affreschi; Piacenza, Basilica di Santa Maria di Campagna) |
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Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone, Sposalizio mistico di santa Caterina (1530-1532; olio su tavola; Piacenza, Basilica di Santa Maria di Campagna) |
Come saggio di prova, il Pordenone aveva realizzato il sant’Agostino, affresco che era piaciuto così tanto ai Fabbricieri che, scrisse Carlo Ridolfi nelle sue Maraviglie dell’arte (una raccolta di biografie di illustri pittori veneti), “vollero ch’egli seguisse a dipingere le due seguenti Cappelle e la tribuna maggiore”, la Cappella della Natività, commissionata dal patrizio piacentino Pier Antonio Rollieri, e la Cappella di Santa Caterina, commissionata da Caterina Scotti e dedicata a santa Caterina d’Alessandria. Nella Cappella della Natività, il pittore aveva raffigurato nel lanternino l’Assunta, sulle pareti episodi dell’infanzia di Cristo, come l’Adorazione dei Magi, l’Adorazione dei Pastori e la Fuga in Egitto, e la Natività della Vergine. Nella Cappella di Santa Caterina due episodi della vita della santa: il Martirio della ruota dentata e la Decollazione di santa Caterina, la Disputa di santa Caterina nella quale aveva ritratto l’architetto Alessio Tramello, il progettista che aveva ricostruito la basilica nel Cinquecento, e la pala d’altare con lo Sposalizio mistico, di cui abbiamo accennato precedentemente.
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Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone, Sant’Agostino (1530 circa; affresco strappato e trasferito su supporto di vetroresina; Piacenza, Basilica di Santa Maria di Campagna) |
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La cappella di Santa Caterina nella basilica di Santa Maria di Campagna a Piacenza |
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Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone, Disputa di santa Caterina (1531-1532 circa; affresco; Piacenza, Basilica di Santa Maria di Campagna) |
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Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone, Martirio di santa Caterina (1531-1532 circa; affresco; Piacenza, Basilica di Santa Maria di Campagna) |
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Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone, Decollazione di santa Caterina (1531-1532 circa; affresco; Piacenza, Basilica di Santa Maria di Campagna) |
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Giovanni Antonio de’ Sacchis detto il Pordenone, Adorazione dei Magi (1531-1532 circa; affresco; Piacenza, Basilica di Santa Maria di Campagna) |
Tornando all’affermazione di Rio, gli affreschi che decorano la cupola principale di Santa Maria di Campagna sono accostati agli affreschi della Cappella Sistina, come il Pordenone è paragonato a Michelangelo. Entrambi, secondo Giorgio Vasari, possiedono “forza e terribilità”: nella prima edizione delle Vite del 1550 il Pordenone, in particolare, viene elogiato per la sua “forza, terribilità e rilievo” nel dipingere, tratto evidenziato anche nella successiva edizione del 1568, nella quale viene sottolineata la sua capacità nel contraffare gli scorci e nel rendere plasticità alle figure. L’arte del Pordenone è caratterizzata, secondo Vasari, da “terribilità et un certo furore molto da pittor nuovo e stravagante” così da essere considerato “nella pittura sì valoroso, che le sue pitture appariscon tonde , et spiccate dal muro. Là onde per avere egli dato forza, terribilità et rilievo nel dipignere, si mette fra quelli che hanno fatto augumento alla arte, et benefizio allo universale”. Grandissima dote, che dava “a chi non intende grandissimo fastidio perché non arriva all’intelletto a la profondità di tale difficoltà”, posseduta da Pordenone era quella di realizzare scorci per i quali si adeguavano le misure alla percezione visiva dello spettatore, capacità tipica anche di Michelangelo.
Così Giovan Paolo Lomazzo aveva definito tale capacità, indicando come esempio il Dio Padre di Santa Maria di Campagna, “prima vista mentita suprema particolare”: rappresentare “in piccioli spazj le figure dal disotto in su nelle volte a perpendicolo, facendoci vedere le parti di sotto in certo modo perfette, e così anco quelle da disopra. Ma quelle che sono al lungo per lo più si scortano di maniera, che questa tal figura si dimostra più larga che alta, ed opera dentro questa meraviglia, che la ci fa parere grande, come se così veramente fosse”. Se lo spettatore alza lo sguardo verso il lanternino della cupola principale, rimarrà colpito dalla straordinarietà della decorazione: il Dio Padre accompagnato da puttini che lo sorreggono sembra aleggiare con leggerezza mentre sorveglia ciò che gli sta sotto. Paola Ceschi Lavagetto ha sottolineato come il precedente del Padre Eterno della cupola di Santa Maria di Campagna sia quello di Michelangelo della Cappella Sistina.
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Vista della cupola di Santa Maria di Campagna dal basso |
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Affresco del lanternino: Dio Padre |
E in tempi più antichi, anche Fabio Di Maniago, nella Storia delle Belle Arti friulane (1842), aveva accostato il Pordenone a Michelangelo, affermando che “se fra i famosi pittori far si volessero dei paralleli […] io credo, meglio paragonar potrebbesi il Pordenone quanto con Michelangelo Buonarroti. Che se a taluno troppo strano sembrasse, che io compararlo volessi ad uno dei più celebri artisti che mai fiorissero, mi valga per iscusa Michelangelo istesso, il quale, se il vero dice il Ridolfi, tanta stima ebbe de’ suoi talenti, e tanto giudicò le di lui opere conformi alle sue, che, udendo decantare un Curzio dipinto da esso, lasciò Firenze, e portossi a Venezia espressamente per ammirarlo, e trovandolo di gran lunga superiore a quanto narrava la fama, se ne partì colmandolo di somme lodi”.
Di Maniago aveva aggiunto inoltre che entrambi dovettero la loro arte a loro stessi e non ai loro maestri, poiché “si formarono uno stile proprio e originale”, che entrambi rifiutarono di raffigurare la natura nella sua semplicità, ma vollero affrontarla cercando “tutte le difficoltà dell’arte per aver la gloria di superarle”. Entrambi, “dotati di fervida fantasia e ingegno vivace, vollero sfogare i loro sublimi concetti nei vasti campi delle pareti, mal soffrendo di vedersi ristretti fra i confini di brevi tele”. Ambedue “ebber la sorte di vivere nell’epoca la più bella, che vantin le arti, figurarono nelle due città che n’erano le sedi principali, Venezia e Roma, e rivali furono ed emoli dei due più gran pittori che allor fiorissero, Michelangelo di Raffaello, e il Pordenone di Tiziano”. Nota era infatti la rivalità tra Giovanni Antonio de’ Sacchis e il Vecellio, accennata più volte nelle due edizioni delle Vite di Vasari e ricordata da Francesco Sansovino, il quale aveva affermato che il Pordenone era “nella pittura di così vivo spirito et di tanta inventione , che fece paura più volte a Titiano tanto eccellente”. E Luigi Lanzi, autore della “Storia pittorica della Italia (1795-1796), aveva dichiarato che “l’aver gareggiata con Tiziano non è un dir poco per sua gloria, e gli assicura almeno il grado di secondo in un tempo sì ferace di artisti eccellenti”.
Tornando a Di Maniago, egli aveva scritto che entrambi, Pordenone e Michelangelo, “a soggetto favorito del lor pennelli scelsero le Sibille, i Profeti, e quel giorno terribile, in cui scende il Figliuolo di Dio a giudicare i mortali”. Se pensiamo infatti alla volta della Cappella Sistina e alla cupola principale di Santa Maria di Campagna, sono presenti in ambedue sia Sibille che Profeti: a queste figure Pordenone ha dedicato le vele della cupola, mentre Michelangelo le ha posizionate ai lati delle storie, negli spazi delimitati dalle vele e dai pennacchi angolari. Inoltre il primo ha raffigurato in ciascuna vela insieme Sibille e Profeti, mentre il secondo li ha separati, lasciando in ogni spazio dedicato una sola figura.
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Vista della cupola affrescata dal Pordenone |
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La struttura della cupola |
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Le vele della cupola |
La cupola di Santa Maria di Campagna ha struttura a vele: non si ha l’impressione di un moto ascensionale, poiché lo spazio reale è destinato all’invasione delle figure stesse. Ogni scena rappresentata occupa uno spazio creato appositamente. Lo si comprende molto bene quando si giunge al termine della “Salita al Pordenone”, quando con estremo stupore e meraviglia ci si trova ad un’altezza privilegiata per ammirare da vicino gli affreschi della cupola: quelle piccole figure che si vedevano dall’interno della basilica con gli occhi all’insù, ora le troviamo così vicine da scrutarne i dettagli. Purtroppo, per ragioni di sicurezza, non è possibile fare il giro completo della cupola per poter vedere tutte le scene rappresentate: tuttavia la panoramica risulta abbastanza ampia.
Davanti ai nostri occhi si aprono differenti scene: in una vela sono raffigurati su una nuvola sorretta da putti due profeti e le sibille Eritrea e Frigia, di cui una al centro indica a un profeta che l’ascolta attentamente il libro tenuto dallo stesso profeta, mentre l’altro mostra in alto una pagina scritta puntandola con un dito come per far leggere allo spettatore quanto scritto. Nella vela accanto appare il profeta David con profeti e una sibilla: anche in questo caso si nota la presenza di libri, le cui pagine scritte sono rivolte verso lo spettatore; nell’altra accanto sono raffigurati profeti con la sibilla Delfica e un’altra sibilla: qui un profeta abbigliato di verde posto in piedi al centro della scena rivolge lo sguardo verso un vicino profeta e alza un braccio verso l’alto, mentre una sibilla legge e l’altra tiene tra le mani una cornucopia. Segue un’altra vela che raffigura un profeta e la sibilla Cimmeria: lei regge un libro e volge lo sguardo verso di lui, lui regge un lungo cartiglio. E ancora: Sansone con la sibilla Persica e un’altra sibilla, mentre accanto alla vela raffigurante due profeti e le sibille Eritrea e Frigia, un’altra vela rappresenta due profeti, la sibilla Ellespontica e Giona: qui una figura con una veste verde e una stola di color arancione tiene in una mano un libro chiuso, mentre solleva in avanti l’altro braccio e il suo sguardo è severo; di fronte a lui è seduto un uomo completamente nudo e muscoloso, che sorreggendosi alla nuvola sotto di lui volge lo sguardo dall’altra parte. Rimangono nascoste alla vista la vela con Daniele, il leone, due profeti e una sibilla e la vela raffigurante Abacuc, ritto in piedi con lo sguardo rivolto all’insù e un braccio che indica verso l’alto.
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Profeti delle vele: Davide |
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Profeti delle vele: Sansone |
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Profeti delle vele: Daniele |
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Profeti delle vele: Abacuc |
Tutti i personaggi nelle vele sono sorretti da nuvole, di ispirazione raffaellesca, ed è ben visibile come il personaggio principale sia sproporzionato rispetto alle figure secondarie, rimpicciolite per dare allo spettatore il senso della profondità dello spazio e l’inganno dello scorcio secondo un punto di vista dal basso. Ogni vela è divisa dall’altra da lesene caratterizzate dalla presenza di puttini con animali, piante, strumenti musicali e oggetti e un ovale a monocromo al centro, in cui è raffigurata una scena del Vecchio Testamento: si riconoscono la Creazione del Mondo e la Creazione di Adamo, l’Arca di Noè, il Sacrificio di Isacco, Giuseppe venduto dai fratelli, Mosè riceve le tavole della Legge, David con la testa di Golia, Giuditta e Oloferne. Sovrasta le vele il lanternino della cupola nel quale è rappresentato il Dio Padre e una corona di puttini che “paiono impastati di carne, e si mostrano con attitudini puerili, e disinvoltissime, conforme al costume che le sconviene”, come ha scritto Luigi Scaramuccia. Il Dio Padre di Santa Maria di Campagna ricorda inoltre il riquadro nella volta della Cappella Sistina raffigurante la Separazione della terra dalle acque: anche qui Dio è rappresentato in volo con lo sguardo rivolto verso il basso accompagnato da puttini che lo sorreggono.
Altro punto in comune tra gli affreschi della basilica piacentina e gli affreschi della Cappella Sistina è l’intenzione e la capacità di coniugare religione cristiana e mitologia classica nei programmi iconografici: Michelangelo rappresenta al centro della volta della celebre Cappella scene del Vecchio Testamento, nelle lunette gli antenati di Gesù e, ai lati delle storie, raffigura profeti e Sibille, queste ultime appartenenti alla tradizione classica. Pordenone, come si è detto, raffigura nelle vele della cupola della basilica piacentina figure di profeti e Sibille alternati a episodi del Vecchio Testamento nei medaglioni ovali a monocromo nelle lesene, mentre nel fregio che collega la cupola e il tamburo si alternano episodi della tradizione mitologica a episodi della tradizione classica. Tra questi riconosciamo Bacco ebbro, Sileno ebbro tra i satiri, il Ratto di Europa, Nettuno e Anfitrite, Venere e Adone, Diana e le ninfe combattono i satiri, Giove fulmina i Giganti, le Fatiche di Ercole e ancora la Supplica delle Sabine, Castore e Polluce alla battaglia di Lago Regillo, la Giustizia di Traiano, la Battaglia di Cinegiro, un Guerriero alla tomba d’Achille. Gli episodi mitologici che si susseguono orizzontalmente sono stati interpretati da Jacqueline Biscontin come una successione di trionfi del bene sul male, secondo una rilettura in chiave cristiana, mentre per i medaglioni a monocromo ha individuato la fonte nelle Decadi di Tito Livio e nei passi dei Dictorum et factorum memorabilium libri di Valerio Massimo, oltre alla fonte del Vecchio Testamento.
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Scene del fregio: Bacco ebbro |
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Scene del fregio: Venere e Adone |
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Scene del fregio: Europa |
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Scene del fregio: Diana |
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Scene del fregio: Giove |
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Scene del fregio: le Fatiche di Ercole |
Tuttavia il programma iconografico della cupola di Santa Maria di Campagna è rimasto ancora oggi poco chiaro, poiché non è stato scoperto il legame diretto tra alcuni soggetti per fornire una chiave di lettura unitaria. È stata avanzata l’ipotesi del De Civitate Dei di sant’Agostino, santo che troviamo rappresentato all’interno della basilica, a sinistra dell’ingresso, in un dipinto dedicato realizzato dallo stesso Pordenone. Come sostiene Valeria Poli, il programma iconografico potrebbe essere riassunto dal sant’Agostino e dal san Giorgio, le due figure rappresentate ai due lati dell’ingresso: il primo, come detto, opera del Pordenone e il secondo opera di Bernardino Gatti detto il Sojaro. Queste due figure rappresentano le due anime della chiesa: rispettivamente quella trionfante e quella militante. Se così fosse potrebbe essere un riferimento ad un programma iconografico indicato da monsignor Paolo Giovio, che nella Stanza della Segnatura in Vaticano ha individuato la ricerca del Vero, del Bene e del Bello attraverso la Legge, l’Arte, la Fede e la Filosofia. Rimane tuttavia una questione aperta.
Ad ogni modo, il Sojaro non ha realizzato solo il san Giorgio a destra dell’ingresso di Santa Maria di Campagna, bensì a lui è spettato il compito dal 1543 di concludere il ciclo degli affreschi della cupola, compiendo gli Apostoli nelle lesene del tamburo, le Storie della Vergine nel tamburo e i Quattro Evangelisti nei pennacchi. Si potrebbe costruire un parallelo con un’altra chiesa decorata a fresco dal Pordenone: la chiesa dell’Annunziata a Cortemaggiore, in particolare la Cappella della Concezione. In questa cappella l’artista ha raffigurato Dio Padre, accompagnato da puttini, che affida ai profeti e alle Sibille l’annuncio dell’avvento di Cristo; qui le figure profetiche appaiono nelle lunette con scritte in lettere capitali.
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Vista del tamburo dall’alto |
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Scene del tamburo: Storie della Vergine, l’Annunciazione |
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Scene del tamburo: Storie della Vergine, la Natività |
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Scene del tamburo: Storie della Vergine, l’Adorazione dei Magi |
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Scene del tamburo: Storie della Vergine, l’Assunzione |
Per permettere ai visitatori di giungere allo spettacolo unico degli affreschi della cupola principale di Santa Maria di Campagna e di affrontare abbastanza agevolmente la “Salita al Pordenone”, è stato restaurato, grazie alla Banca di Piacenza e sotto indicazioni della Soprintendenza regionale per i Beni Architettonici, il cosiddetto “Camminamento degli artisti”, il percorso che veniva compiuto da pittori, scultori, studenti di accademie e di istituti d’arte, nonché dagli studenti dell’Istituto d’arte piacentino Gazzola, per scrutare, ammirare e studiare “in quota” gli affreschi del Pordenone. Ancora oggi sono visibili infatti molte scritte con i nomi che gli stessi studenti avevano impresso lungo il camminamento.
Un emozionante percorso che parte dalla sagrestia e che, dopo una lunga serie di scalini, durante la quale la sensazione di suspence aumenta proporzionalmente, ci fa giungere – con tanta soddisfazione – alla vetta, al punto più alto da cui è possibile interagire con quelle straordinarie opere d’arte realizzate secoli fa da due grandi artisti del tempo. Se ne percepiscono i giochi cromatici, la composizione prospettica delle figure, quell’inganno dello scorcio così perfetto che caratterizza il Pordenone. Lungo il percorso, all’interno del coro, è stato allestito uno schermo multimediale che, attraverso un video molto approfondito, prepara lo spettatore alla visita con notizie biografiche sull’artista e con informazioni su ciò che andrà ad ammirare dopo pochi minuti.
Giunti al loggiato del tamburo della cupola, punto massimo della salita, oltre a godere della bellezza artistica degli affreschi, così vicini, è possibile affacciarsi sul panorama della città: da qui si vedono Palazzo Farnese, Palazzo Gotico e l’angelo del Duomo. Si è pronti quindi a ripercorrere all’indietro l’intero camminamento degli artisti, ma questa volta con una sensazione di benessere e di spiritualità interiore e con negli occhi immagini spettacolari che rimarranno impresse nella memoria per lungo tempo.
La “Salita al Pordenone” è accompagnata da un catalogo con immagini dettagliate degli affreschi realizzati dal Pordenone non solo nella basilica di Santa Maria di Campagna, bensì anche a Cortemaggiore e a Cremona per fornire un confronto illustrativo dei suoi capolavori. I saggi presenti contribuiscono alla completa conoscenza dell’artista: Laura Bonfanti ha composto un excursus sulle vicende biografiche e artistiche del Pordenone, Valeria Poli ha delineato gli studi critici sull’artista, molti dei quali lo hanno accostato a Michelangelo, le imprese pittoriche del Pordenone a Cremona, Cortemaggiore e Piacenza e la storia della basilica di Santa Maria di Campagna. Inoltre il catalogo è arricchito dall’antologia delle biografie del pittore: i testi documentari relativi alla sua vita e alle sue opere. Un’iniziativa unica per far scoprire e conoscere uno dei capolavori più spettacolari di Piacenza da una prospettiva insolita.
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L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.