Tessuti variopinti in tonalità chiare e luminose e con forti contrasti, tagli dalle fogge più disparate, uno spiccato senso dell’eleganza, un gusto che prediligeva la ricercatezza, l’estro, la fantasia: sono queste le caratteristiche più evidenti della moda degli etruschi. Poche altre antiche civiltà sono state in grado di sviluppare un abbigliamento vario e vivace come quello degli etruschi che, quando vestivano, rifiutavano la sobrietà dei greci e l’austerità dei romani e, al contrario, dimostravano d’apprezzare abiti originali e colorati, spesso stravaganti. Osservare i reperti etruschi che ci sono pervenuti significa entrare nel mondo coloratissimo di una civiltà in cui il benessere è diffuso, che ama il lusso, che ha sviluppato una mentalità aperta, che garantisce alla donna un’indipendenza e una libertà sconosciute presso altre culture, e dove anche gli strati più bassi della popolazione (e addirittura gli schiavi), con ogni probabilità, amano vestire con abiti più belli e più ricchi rispetto a quelli che, in altri luoghi, sarebbero considerati idonei al loro status. Dall’analisi della moda del tempo emerge dunque un vero look etrusco, fatto di abiti in diverse fantasie oppure bianchi ed eleganti ma curatissimi nei dettagli, e ancora mantelli dai tagli arrotondati, scarpe a punta, preziosi e stravaganti gioielli indossati anche dagli uomini: un look che è stato capace anche d’ispirare diversi stilisti contemporanei.
Diverse sono le caratteristiche che rendono unica e particolarmente moderna la moda etrusca. A cominciare dal fatto che, soprattutto in epoca arcaica, le donne indossassero spesso capi d’abbigliamento tipicamente maschili: si trattava per lo più di toghe e mantelli, ma valeva anche per i cosiddetti calcei repandi, gli stivaletti a punta che rappresentano la più peculiare calzatura etrusca. Quest’usanza nasce probabilmente per esigenze pratiche, legate al clima dell’Italia del nord, più rigido rispetto a quello della Grecia, che dunque costringeva le donne a indossare gli stessi mantelli di panno pesante indossati dagli uomini al fine di ripararsi dalle intemperie. E sempre per via del clima la moda etrusca giunge a ideare una gran quantità di capi d’abbigliamento delle forme più varie: un’altra caratteristica della moda etrusca è la sua grande varietà, che non trova riscontri presso altre civiltà contemporanee. Inoltre, come accadeva nella moda greca, la decorazione nella moda etrusca aveva un carattere puramente ornamentale: il contrario di quanto avveniva nella moda romana, che aveva sviluppato una decorazione di carattere simbolico. Ancora, per gli etruschi la scelta dell’abbigliamento non è rigidamente collegata alla classe sociale d’appartenenza, come avveniva presso i romani: donne e uomini etruschi scelgono solitamente i propri vestiti in libertà e in funzione del loro gusto individuale. La moda della Toscana di duemilaseicento anni fa racconta dunque la storia di una società evoluta, dove il gusto per il bel vestire è trasversale rispetto alle classi sociali.
Sono diverse le opere che possono offrirci delle testimonianze particolarmente eloquenti. Percorrendo le sale del Museo Archeologico di Firenze, non si potrà fare a meno di notare il sarcofago di Larthia Seianti, una delle più interessanti opere del museo. Si tratta di un capolavoro di scultura etrusca proveniente da Chiusi: un sarcofago in terracotta con la cassa splendidamente decorata da un fregio a motivi floreali, e sormontata dal ritratto di Larthia, dama appartenente a una facoltosa famiglia della Chiusi del secondo secolo avanti Cristo. E oltre a essere un’opera d’arte d’indiscutibile qualità, il ritratto di Larthia è anche un importantissimo documento sulla moda e sugli usi degli etruschi (anche perché, peraltro, buona parte della policromia originaria si è conservata: il sarcofago, infatti, era dipinto a colori). La donna è distesa sulla sua kline, il particolare letto sul quale gli antichi si sdraiavano durante i banchetti, ed è colta nell’atto di specchiarsi, mentre con una mano scosta il velo che le cinge il capo. I monili che indossa (orecchini a disco con vistosi pendenti dorati, bracciali anch’essi dorati, un’armilla, ovvero il bracciale che si usava portare sul bicipite, un diadema e un pendente a testa di Medusa sullo scollo) indicano il suo elevato status sociale. La sua veste denota invece il gusto elegante delle donne etrusche.
Sarcofago di Larthia Seianti (150-130 a.C.; terracotta policroma, 105 x 164 x 54 cm; Firenze, Museo Archeologico Nazionale). Ph. Credit Finestre sull’Arte |
Il ritratto di Larthia Seianti. Ph. Credit Finestre sull’Arte |
Si tratta di una candida tunica, con tre fasce verticali violette, stretta in vita da una cintura decorata con borchie. Ha uno scollo a V, sottolineato da altrettante bordature violacee, e scende fino alle gambe a lasciare scoperti soltanto i piedi. Questa tunica ha un nome preciso: si chiama chitone ed è un indumento di derivazione greca. Larthia ne indossa una variante a maniche corte, ma il chitone può anche essere smanicato (occorre sottolineare che era un capo per tutte le stagioni: venivano fabbricati in lana o in più fresco lino per le stagioni più calde) e, come nel caso della dama chiusina, il compito di coprire le spalle è affidato a una piccola mantellina, leggera o pesante a seconda della stagione, che può anche coprire il capo. Il mantello è comunque un capo di vestiario piuttosto semplice, che viene indossato semplicemente mettendolo sulle spalle e facendolo ricadere dritto, in modo da fargli formare un rettangolo sulle spalle. Il mantellino corto si chiama himation, viene utilizzato anche dagli uomini, ed è un capo di derivazione greca. In molti casi, il mantello è fissato su entrambe le spalle per mezzo di bottoni che possono anche essere finemente decorati: gli etruschi potevano contare su di una raffinatissima arte del gioiello.
Anche gli uomini portano il chitone, che però differisce rispetto alla versione femminile. Sempre al Museo Archeologico di Firenze troviamo la stele di Larth Tharnie, un uomo che impugna un coltello e veste un chitone a tre quarti, che arriva all’incirca all’altezza del ginocchio (l’opera è databile a un periodo compreso tra il 550 e il 540 avanti Cristo: un lasso di tempo che corrisponde all’incirca col periodo in cui vengono introdotti, dalla Grecia, i capi di derivazione ionica, gli stessi che indossa anche Larthia Seianti, che giungono nelle terre degli etruschi verso la metà del sesto secolo avanti Cristo). Un altro tipo di chitone maschile è quello corto sopra il ginocchio: nei rilievi che decorano le urne etrusche con le scene più svariate, moltissimi personaggi sono abbigliati con questo particolare indumento che viene fermato in vita con una cintura, così che la parte inferiore sembri formare una specie di gonnellina. Inoltre, tipica dell’abbigliamento maschile (ma spesso indossata anche dalle donne) è la tebenna: si tratta di un mantello lungo, che viene indossato sopra il chitone e può essere fermato sopra entrambe le spalle e poi lasciato ricadere dritto, oppure fermato in modo asimmetrico su di una sola spalla. La tebenna è, peraltro, l’indumento da cui ha avuto origine la toga romana: la tebenna, infatti, può anche essere indossata senza chitone. Nel bronzetto che raffigura il dio Vertumno e che è conservato anch’esso al Museo Archeologico di Firenze, possiamo notare come la divinità che per gli etruschi presiedeva i cambi di stagione sia raffigurata con indosso un chitone a maniche corte e una tebenna fermata sulla spalla sinistra. Esisteva poi un altro modo di indossare la tebenna, molto più informale: con le estremità riportate sulle spalle e lasciate ricadere all’indietro sulla schiena: lo notiamo bene osservando un personaggio negli affreschi della Tomba dei Leopardi a Tarquinia. Altro tipo di mantello è la chlaina: di lunghezza variabile, può arrivare poco oltre le spalle ma in certi casi anche fin sotto alle ginocchia, ed è un indumento tipicamente maschile. Ne abbiamo esempi nei cippi di Chiusi, dove vediamo alcuni personaggi che lo indossano: ricade sia anteriormente che posteriormente (si portava come oggi si porterebbe un poncho) e ha una forma semicircolare.
A sinistra: Stele di Larth Tharnies (550-540 a.C. circa; pietra, altezza 188 cm; Firenze, Museo Archeologico Nazionale). A destra: Vertumno (500 a.C. circa; bronzo, altezza 27,5 cm; Firenze, Museo Archeologico Nazionale) |
Uno degli affreschi della tomba dei Leopardi (473 a.C.) |
Cippo proveniente da Chiusi (500-480 a.C. circa; pietra; Roma, Museo di Scultura Antica Giovanni Barracco). Ph. Credit Francesco Bini |
Figurina di offerente femminile (V secolo a.C.; bronzo; Arezzo, Museo Archeologico Nazionale Gaio Cilnio Mecenate). Ph. Credit Francesco Bini |
Le donne sono solite portare lunghe tuniche, anch’esse in tessuti diversi, sopra alle quali indossano giacchetti, corpetti o maglie, variamente decorate (al Museo Archeologico di Arezzo troviamo una statuetta votiva dove vediamo una donna abbigliata in questo modo), mentre gli uomini, specialmente in epoche arcaiche, indossano un particolare perizoma che può arrivare fin quasi alle ginocchia e viene indossato come fosse un pantaloncino corto. È fermato in vita da cinture che possono assumere diverse forme: un esempio di questo particolare perizoma è quello che vediamo nelle statue A e B provenienti dalla necropoli di Casa Nocera a Casale Marittimo, anch’esse oggi conservate al Museo Archeologico Nazionale di Firenze. Per tutti, poi, è usanza indossare mantelli, anch’essi riccamente decorati con varie fantasie: la decorazione in assoluto più diffusa è però quella a scacchi o a losanghe, e in questa fase gli abiti sono coloratissimi, di derivazione orientale. Diversi musei toscani conservano bronzetti arcaici in cui la fantasia che decora i mantelli è suggerita dalle incisioni dell’artista sulla superficie del bronzo. Abiti di questo tipo sopravvivono soprattutto anche dopo il sesto secolo nell’Italia settentrionale, nelle aree meno soggette ai contatti con le civiltà greche.
Sempre osservando le opere del Museo Archeologico di Firenze, notiamo che sia il Vertumno sia Larth Tharnie indossano un altro capo di derivazione ionica come il chitone: i già citati stivaletti a punta chiamati calcei repandi (letteralmente “calzature ricurve”, per il fatto che la punta viene curvata all’indietro), uno dei capi più tipici e facilmente riconoscibili dell’abbigliamento etrusco, anch’esso di origine orientale. Vengono stretti attorno alla caviglia con lacci o cinture. Non mancano poi scarpe di diversa foggia, basse e senza punta, fermate con stringhe, oppure, per la stagione estiva, sandali di diverse forme e dimensioni, come quelli indossati da Larthia nel sarcofago fiorentino.
Urna della dama di Perugia (fine del III-inizio del II secolo a.C.; Siena, Museo Archeologico Nazionale). Ph. Credit José Luiz Bernardes Ribeiro |
Statue A e B dalla necropoli di Casa Nocera a Casale Marittimo (primi decenni del VII secolo a.C.; calcare conchiglifero; Firenze, Museo Archeologico Nazionale). Ph. Credit Finestre sull’Arte (A) e Francesco Bini (B) |
Statuette votive antropomorfe (650 a.C. circa; bronzo; Volterra, Museo Etrusco Guarnacci). Ph. Credit Francesco Bini |
Figurine femminili (fine VII secolo a.C.; bucchero con decorazione impressa a rotella; Firenze, Museo Archeologico Nazionale). Ph. Credit Finestre sull’Arte |
La moda etrusca sarebbe stata poi destinata a l’influenzare quella romana, anche se, quando le due culture cominciano a incontrarsi, i romani rifiutano il principale tratto distintivo dell’abbigliamento etrusco: il gusto per il lusso. Gli etruschi, infatti, avevano raggiunto livelli di elevato benessere fin dal settimo secolo avanti Cristo: le città dell’Italia del nord traevano la propria ricchezza dall’estrazione e dalla lavorazione dei metalli, mentre le città più meridionali, quelle poco a nord di Roma, fiorivano grazie al commercio, e la ricercatezza e l’eleganza nel vestiario rappresentavano il modo più immediato per comunicare la loro prosperità. Gli agi e il lusso di cui si circondano gli etruschi diventano così motivo di critiche da parte di contemporanei greci e romani: i romani dei primi secoli, in particolare, rifiutano questi usi degli etruschi perché ritengono che il lusso corrompa gli animi, e gli etruschi, specialmente in età repubblicana, divengono un termine di paragone negativo. Un osservatore greco come Diodoro Siculo, contemporaneo di Giulio Cesare e di Giulio Cesare, nella sua Bibliotecha historica (qui riportata nella traduzione di Marta Zorat) scrive, riportando le impressioni del suo più anziano contemporaneo Posidonio, filosofo di scuola stoica, che gli etruschi “preparano due volte al giorno tavole sontuose e tutte le altre cose appropriate ad un lusso eccessivo, allestendo letti con biancheria e ricami colorati, coppe d’argento di vario tipo, e hanno pronto a disposizione un numero non piccolo di domestici per servirli, alcuni di questi sono di straordinaria avvenenza, mentre altri sono adorni di vesti più sontuose di quanto spetterebbe alla loro condizione di schiavitù. Presso di loro hanno abitazioni particolari, e di vario tipo, non soltanto i magistrati, ma anche la maggioranza degli uomini di libera condizione. In generale, hanno perduto ormai quella prodezza che i loro antenati cercavano di emulare dai tempi antichi, e poiché passano la vita in bevute e in divertimenti che non sono da uomini, non è illogico che abbiano perduto la celebrità dei loro padri nell’attività bellica”. E se Strabone afferma che i romani conobbero il lusso quando soggiogarono gli etruschi, altri autori come Platone e Teopompo prendono di mira le usanze etrusche, a loro dire riflesso di un’eccessiva rilassatezza nei costumi dei popoli che abitavano in antico la Toscana e le regioni vicine. Tutto ciò comunque non avrebbe impedito ai romani di adottare certi capi d’abbigliamento etruschi, adattandoli al loro gusto: tuniche, toghe e mantelli, epurati dagli eccessi, sarebbero stati in seguito introdotti nel vestiario romano, nelle fogge che sono poi entrate a far parte dell’immaginario collettivo.
E ancora oggi, l’abbigliamento etrusco continua a ispirare le creazioni dei principali atelier di moda. Nel 2013, la maison Gucci ha presentato, per la collezione primavera-estate, una rivisitazione del chitone etrusco, lungo fino ai piedi, con ampio scollo a V, e con le maniche ampie a simulare un himation. L’anno prima, la casa Marni s’era ispirata alla tebenna per disegnare un cappotto femminile stretto in vita, con aperture all’altezza delle maniche, in modo da fargli assumere le forme d’un antico mantello etrusco. L’interesse per la moda etrusca riguarda anche gli uomini: Custo, sempre nel 2013, proponeva una linea di mantelli da uomo del tutto simili a quelli indossati dai nostri antenati, che i modelli portavano sopra eccentrici completi. E andando ancor più indietro nel tempo, negli anni Cinquanta, Fernanda Gattinoni realizzò una collezione intitolata Etrusca rendendo palesi le sue fonti d’ispirazione (la collezione sarebbe stata poi pubblicizzata tramite una campagna fotografica che vide le modelle posare assieme ad alcuni importanti capolavori dell’arte etrusca del Museo Nazionale di Villa Giulia a Roma, come l’Apollo di Veio e il Sarcofago degli Sposi). La moda etrusca, in certe forme, continua quindi a sopravvivere... !
I modelli di Gucci e Marni |
I mantelli di Custo |
Le immagini di Gattinoni al Museo Nazionale di Villa Giulia |
Bibliografia di riferimento
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo