Nel corso dei secoli l’oggetto del sentimento d’amore è stato divinizzato, spiritualizzato, desiderato e a volte anche posseduto; l’amore è stato fonte di sospiri, tormenti, gioie e passioni. Per tutto ciò è stato da sempre ispirazione di scrittori, poeti e artisti che hanno cercato di imprimere, su carta attraverso la parola e su tela attraverso la pittura, quella miriade di sensazioni che l’amore suscita involontariamente, poiché la sola cosa certa dell’amore è che ci invade senza alcuna spiegazione, incondizionatamente.
Ci stiamo riferendo a quel sentimento puro che ci fa sentire le “farfalle nello stomaco” e la “mente tra le nuvole”: detta così sembrerebbe un’ovvietà, ma purtroppo, soprattutto oggigiorno, non lo è. Tuttavia, se pensiamo a Dante e Beatrice, a Laura e Petrarca, a Leopardi e Silvia, a Romeo e Giulietta, ad Amore e Psiche e a tante altre coppie letterarie e artistiche, ci rendiamo conto che queste, da tempi remoti, ci hanno affascinato, portandoci maggiormente a desiderare di conoscere le infinite storie d’amore che hanno pervaso i mondi della letteratura e dell’arte. In questa sede proviamo ad analizzarne una.
Lui è uno dei più grandi artisti del Rinascimento, conosciuto in tutto il mondo. Nato ad Urbino nel 1483, è figlio di un altro celebre pittore, Giovanni Santi, che lavorò alla corte dei Montefeltro. È allievo del Perugino e amico del Pinturicchio; dopo aver compiuto viaggi tra Firenze e Siena, si trasferisce a Roma, dove realizzerà i suoi più grandi capolavori per volere di papa Giulio II e di papa Leone X. Lui è Raffaello Sanzio.
Raffaello, Autoritratto (1504-1506 circa; olio su tavola, 47,5 x 33 cm; Firenze, Galleria degli Uffizi) |
Lei è la figlia di un fornaio di Trastevere, talmente bella che appena Raffaello la vede ne rimane folgorato. Non a caso diventerà musa ispiratrice di alcuni dei suoi dipinti più celebri: la cosiddetta Fornarina, conservata alla Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma, e probabilmente anche la Velata, custodita presso la Galleria Palatina di Firenze. Lei è Margherita Luti, una giovane di origine senese, figlia di Francesco Luti, fornaio a Roma. Il soprannome “Fornarina” le deriva proprio dal mestiere del padre.
Raffaello, La Fornarina (1518-1519; olio su tavola, 87 x 63 cm; Roma, Palazzo Barberini, Galleria Nazionale d’Arte Antica) |
In una nota al Raffaello e la Fornarina, canto scritto dal poeta romantico Aleardo Aleardi e pubblicato nel 1858, si legge che “la casa della Fornarina rispondeva col suo picciol orto in sul Tevere, da quella banda, verso Ripa grande, dove il fiume lambe le rotte pile del ponte Sublicio: poco discosta dalla Chiesa di S. Cecilia, alle ultime pendici del Gianicolo. Quivi il Sanzio vide per la prima volta la bellissima transteverina, e se ne accese, e di quel momento serbò la memoria in un suo Sonetto, gittato giù alla buona. Gli artisti d’allora sapevano di tutto”.
Il sonetto in questione, scritto dallo stesso Raffaello dietro un suo disegno “di tre sue figurine”, recita così: “Un pensier dolce è rimembrare, e godo / di quell’assalto, ma più provo il danno / del patir, ch’io restai, come que’ ch’anno / in mar perso la stella, se il ver odo. / Or lingua di parlar disciogli il nodo / a dir di questo inusitato inganno / che amor mi fece per mio grave affanno; / ma lui più ne ringrazio, e lei ne lodo. / L’ora sesta era che l’occaso un sole / aveva fatto, e l’altro scorse il loco / atto più da far fatti che parole. / Ma io restai pur vinto al mio gran foco / che mi tormenta, ché dove l’uom suole / desïar di parlar, più riman fioco”.
Aleardo Aleardi, nella sua composizione, rappresenta poeticamente il primo incontro tra i due giovani e in particolare il momento in cui Raffaello vede Margherita e ne rimane subito abbagliato: “Il sapiente sguardo / indagator de la beltade affisse / il cavaliero lungamente in quella / grazia di Dio: notando la superba / leggiadria de le forme, e il crine, e il labro / tumidetto e le molli ombre e la varia / ingenuità de le virginee pose. / Ond’ei fu vinto. A rotti balzi il core / batteagli: il fiume, gli alberi, le mura / gli giravano intorno a le pupille / vertiginose: lo feria di cento / squille indistinte un tinitinnire, e l’alma / tremolando gli ardea, quasi fiammella / al vento. Alfine si riscosse, e disse / involontariamente « o Fornarina! ». / A quell’accento rapida si volse / ed arrossì la crëatura bella; / trasse dall’onda il pié tutto stillante. / E i lunghi raggi de le nere ciglia / velarono il pudor de le sue gote”.
Il poeta immagina la bella Fornarina aggraziata nelle forme e nelle pose, fine e armonica nei suoi tratti, con labbra abbastanza carnose, bei capelli, timida, ingenua e pudica. Pare di aver di fronte il celebre dipinto realizzato da Raffaello Sanzio, tra il 1518 e il 1519, in cui è raffigurata l’amata. Nell’inventario del 1686, dopo la morte di Maffeo Barberini, viene descritta così l’opera: “un ritratto in tavola d’una donna, che tiene una mano al petto e l’altra tra le cosce, nuda, con un panno rosso”. La posa delle mani, una appoggiata sul grembo, l’altra su un seno, rimanda alla Venere pudica della statuaria classica: la donna si copre con un velo trasparente in un gesto pudico, anche se l’occhio dell’osservatore è orientato verso ciò che la figura vorrebbe sottrarre alla vista. I capelli neri appaiono raccolti in un lungo drappo oro e blu annodato sulla nuca e impreziosito da una perlina che le orna il capo. Il viso è regolare con grandi occhi scuri, la bocca piuttosto carnosa e le gote leggermente arrossate. La perla, presente sia nella Fornarina che nella Velata, rimanderebbe al nome stesso della ragazza: Margherita deriva infatti dal termine greco margaritès che significa “perla, gemma”, anche se nel Medioevo ha assunto l’accezione abituale di elemento botanico. Perciò il piccolo ornamento sul capo sarebbe un ulteriore omaggio alla bella Margherita Luti.
Raffaello, La Velata (1515-1516; olio su tela trasposta da tavola, 82 x 60,5 cm; Firenze, Palazzo Pitti, Galleria Palatina) |
Il braccio sinistro della fanciulla è cinto da uno stretto bracciale blu e oro che reca la scritta “Raphael Urbinas”, firma dell’artista e vincolo amoroso. Sullo sfondo si notano un cespuglio di mirto e un ramo di melo cotogno, simboli di fertilità e di amore e simboli della dea Venere. Il ritratto è impregnato “di carnalità e sospensione, realtà terrena e carattere sfuggente, superiorità e condiscendenza per mezzo di una plastica dolce ma precisa e solida, carezzevole nell’armonico risuonare dei caldi valori cromatici”: così lo aveva definito lo storico dell’arte Nello Ponente.
Aleardo Aleardi nel suo scritto descrive Raffaello come un giovane dal “volto regolare, fattezze delicate, capelli bruni, che amava portare lunghissimi, bruno pur l’occhio pieno di soave benignità; lungo il collo ed esile; color olivastro. Persona alta, il suo portamento spirava grazia elegante; i suoi modi nativa cortesia”. Lo vediamo nell’Autoritratto che l’urbinate realizzò all’incirca tra il 1504 e il 1506, conservato alla Galleria degli Uffizi a Firenze. L’artista appare a mezzo busto, di profilo, vestito di nero con un cappello dello stesso colore. La sua pelle è olivastra, il suo viso ha una forma regolare, con tratti fini e aggraziati, ha gli occhi scuri, come scuri sono i capelli lunghi quasi fino alle spalle.
La storia dell’arte, soprattutto nell’Ottocento durante i periodi del Romanticismo e del Neoclassicismo, ha viaggiato di fantasia immaginandosi l’idillio amoroso tra Raffaello e la Fornarina, i due giovani innamorati. Una storia d’amore affascinante che oscilla tuttavia tra la realtà e la leggenda: i protagonisti sono realmente vissuti ed è vero che la Fornarina fu musa di Raffaello in alcuni suoi dipinti, ma non è dimostrabile in modo tangibile che tra i due ragazzi sbocciò un tenero sentimento. Gli animi romantici, come chi scrive, desiderano comunque credere nella veridicità di questo amore.
Diverse furono le opere che pittori e scultori dedicarono a questo tema. L’artista milanese Federico Faruffini portò a compimento il suo dipinto tra il 1857 e il 1858: in primo piano, al centro della scena, i due giovani sono posti l’uno accanto all’altra, seduti su una roccia. Raffaello tiene tra le mani una tela, mentre rivolge il suo sguardo verso la Fornarina, che a sua volta fissa la tela. Sullo sfondo si percepisce un paesaggio con rovine antiche e ai margini del dipinto si intravede una forma ad arco che quasi incornicia la scena. È un dipinto che evidenzia le scelte cromatiche, in particolare nell’abito della ragazza e nel paesaggio piuttosto idilliaco.
E ancora il dipinto di Jean-Auguste-Dominique Ingres realizzato nel 1814 ed esposto al Fogg Art Museum di Cambridge nel Massachusetts: la scena si svolge in un interno, presumibilmente nello studio del pittore. I due giovani sono seduti e abbracciati al centro dell’opera; lui volge lo sguardo all’indietro, verso il dipinto sul cavalletto, lei verso l’osservatore. Si notano inoltre elementi rinascimentali, come gli abiti dei rispettivi personaggi (lei porta lo stesso turbante oro e blu della Fornarina di Palazzo Barberini) e il paesaggio che si intravede dalla finestra con la tenda spostata e il colonnato sulla sinistra della scena. Nello studio rappresentato nel dipinto è presente in penombra, quasi nascosta dalla tela sul cavalletto, una celebre opera dell’artista: la Madonna della Seggiola, che Raffaello compì tra il 1513 e il 1514 conservata alla Galleria Palatina di Firenze. Per Ingres la Fornarina di Raffaello era l’archetipo della bellezza muliebre.
Anche Pasquale Romanelli, negli anni Sessanta dell’Ottocento, raffigurò Raffaello e la Fornarina in una sua opera, questa volta in scultura, oggi conservata all’Hermitage di San Pietroburgo: si tratta del primo incontro tra i due, durante il quale l’artista cerca di convincere la bella ragazza a posare per lui. La cinge a sé posando delicatamente una mano sulla spalla e la guarda teneramente; lei lo blocca ponendo la sua mano sulla gamba del giovane. La Fornarina appare con un seno scoperto, dettaglio che rimanda alla Fornarina di Palazzo Barberini, ed è segno di pudore e di lealtà d’animo, nonostante ciò che si potrebbe pensare. Anche la figura di Raffaello è elaborata tenendo presente l’Autoritratto conservato alla Galleria degli Uffizi. Il gruppo scultoreo è di una straordinaria finezza nelle decorazioni delle vesti, nelle espressioni, nei particolareggiati dettagli ed è frutto della simpatia che lo scultore nutriva per il Romanticismo. E ancora, le opere di Giuseppe Sogni, Cesare Mussini, Francesco Valaperta, Francesco Gandolfi, Felice Schiavoni, fino ad arrivare al Novecento con le opere dissacranti di Pablo Picasso e ai giorni nostri con la fotografia di Joel-Peter Witkin: lungo è l’elenco degli artisti che si sono ispirati alla storia di Raffaello e della Fornarina.
Federico Faruffini, Raffaello e la Fornarina (1857-1858; olio su tela, 83 x 62 cm; Collezione privata) |
Jean-Auguste-Dominique Ingres, Raffaello e la Fornarina (1814; olio su tela, 64,77 x 53,34 cm; Cambridge, Massachussets, Fogg Art Museum) |
Pasquale Romanelli, Raffaello e la Fornarina (1860-1870 circa; marmo, altezza 97 cm; San Pietroburgo, Hermitage) |
Giuseppe Sogni, Raffaello e la Fornarina (prima del 1826; olio su tela, 169 x 125,5 cm; Milano, Accademia di Brera) |
Cesare Mussini, Raffaello e la Fornarina (1837; olio su tela, 184,5 x 248 cm; Milano, Accademia di Belle Arti di Brera) |
Francesco Valaperta, Raffaello e la Fornarina (post 1850-ante 1866; olio su tela, 91,5 x 128 cm; Varese, Civico Museo d’Arte Moderna e Contemporanea) |
Francesco Gandolfi, Raffaello e la Fornarina (1854; olio su tela, 100 x 100 cm; Milano, Accademia di Brera) |
Felice Schiavoni, Raffaello e la Fornarina (1850 circa; olio su tavola, 52,8 x 69,8 cm; Brescia, Musei Civici d’Arte e Storia di Santa Giulia) |
Joel Peter Witkin, Raffaello e la Fornarina (2003; stampa alla gelatina ai sali d’argento applicata su cartoncino, 87,6 x 67,3 cm) |
L’amore tra il celebre pittore urbinate e la bella fanciulla figlia di un fornaio è stato più volte fonte di ispirazione per letterati e artisti ed è proprio attraverso questi ultimi che il loro amore non finirà mai, perché verrà ricordato nell’arte e nella letteratura per l’eternità.
Bibliografia di riferimento
L'autrice di questo articolo: Ilaria Baratta
Giornalista, è co-fondatrice di Finestre sull'Arte con Federico Giannini. È nata a Carrara nel 1987 e si è laureata a Pisa. È responsabile della redazione di Finestre sull'Arte.