di
Federico Giannini
(Instagram: @federicogiannini1), scritto il 21/12/2017
Categorie: Recensioni mostre / Argomenti: Genova - Arte antica
Recensione della mostra 'La città della Lanterna. L'iconografia di Genova e del suo faro tra Medioevo e presente' a Genova, Palazzo Reale
Ripercorrere otto secoli di storia di Genova attraverso le immagini del suo simbolo più noto, la Lanterna, in una mostra che la città dedica per la prima volta al celeberrimo faro, il più alto dell’intero Mediterraneo: è questo, a grandi linee, l’obiettivo principale di La città della Lanterna. L’iconografia di Genova e del suo faro tra Medioevo e presente, l’esposizione curata da Serena Bertolucci e Luca Leoncini che il pubblico può visitare fino al 4 febbraio 2018 negli spazi del Teatro del Falcone di Palazzo Reale. Una rassegna iconografica per suggerire al visitatore quanto il profilo della Lanterna abbia contribuito (e in maniera sostanziale) ad alimentare l’immaginario sulla città, e come sia diventata elemento che unisce tutti i genovesi quale simbolo d’appartenenza. Una valenza che la Lanterna s’è garantita fin da quando era di fatto considerata segno distintivo della città nelle prime carte topografiche note: le prime mappe erano riproduzioni del porto, e il modo più immediato per riconoscere Genova era offrire una rappresentazione chiara del faro che accoglieva le navi all’entrata dell’anfiteatro naturale su cui sorge la città, e che serviva anche per comunicare con gli abitanti.
La principale particolarità della mostra consiste nel fatto che si tratta di un’esposizione pensata per un pubblico vastissimo. Sono molte le tipologie d’oggetti che il visitatore può trovare lungo il percorso, scandito in ordine cronologico, con alcune sale dedicate ad approfondimenti sui grandi pittori che alla città hanno dedicato splendide vedute (ed è quasi possibile affermare che non c’è veduta di Genova senza la Lanterna): dai dipinti ai documenti d’archivio, dalle incisioni alle mappe antiche, fino ad arrivare ai poster pubblicitari, alle litografie, alle fotografie, alle cartoline, agli ovvî modellini della Lanterna, alle vere curiosità che compongono una sorta di Wunderkammer, per di più inedita, tutta dedicata al simbolo di Genova (etichette per valigie, veline per incartare arance, maglie dei calciatori e molto altro). Occorre sottolineare che la Lanterna, per quanto nota, non è mai stata un simbolo ufficiale di Genova, ruolo ch’è invece stato ricoperto da altri segni come il grifone, lo scudo di san Giorgio (o san Giorgio stesso, la cui figura campeggia sul gonfalone comunale), la Madonna Regina di Genova: lo è diventata per la sua mole superba, la sua riconoscibilità, la sua enorme importanza per la città. Tutte caratteristiche che le sono state riconosciute da artisti, pittori, topografi, governanti (molti dogi desideravano che la Lanterna comparisse nei loro ritratti ufficiali) almeno fin dal 1371, anno al quale rimonta la prima rappresentazione nota del faro genovese.
La sua storia però è decisamente più antica: la tradizione fa risalire al 1128 la costruzione della Lanterna, benché probabilmente l’edificio abbia origini da cercare ancor più indietro nel tempo. La raffigurazione cui si accennava poco sopra si trova sulla copertina in pergamena di un registro dei conti dei Salvatori del porto e del molo, l’ente al quale, all’epoca, era affidata la gestione dello scalo marittimo di Genova: nel volume venivano annotate entrate e uscite relative al funzionamento del faro (si trattava soprattutto di spese per i combustibili e per il personale addetto alla manutenzione della struttura). Si tratta d’un documento d’importanza fondamentale per comprendere quale fosse l’aspetto della Lanterna in antico, ovvero prima che venisse totalmente ricostruita nelle forme attuali nel 1543, diverso tempo dopo i fatti che portarono Genova a liberarsi dal dominio francese a cui era soggetta e ad abbandonare la forma di governo della compagna communis per darsi l’assetto di Repubblica. Lo stato era soggetto al dominio francese dal 1499: a seguito di una rivolta finita male, i francesi decisero di costruire, nel 1507, una fortezza (la Briglia), sul promontorio di Capo di Faro, proprio dove sorgeva la Lanterna. Il castello nacque con lo scopo di disincentivare nuovi tentativi d’insurrezione, ma ottenne scarsi risultati dacché, appena sei anni dopo, gli abitanti, guidati da Emanuele Cavallo e da Andrea Doria, posero sotto assedio la fortezza per scacciare i francesi: riuscirono nell’impresa e la Briglia fu distrutta, ma la Lanterna subì danni ingenti, tanto che trent’anni più tardi dovette esser riedificata. La Lanterna più antica si presenta invece con forme più tozze dell’attuale edificio, che appare invece più slanciato (raggiunge i settantasette metri d’altezza, benché anche il faro precedente fosse particolarmente alto), e nella raffigurazione sulla copertina del registro compare con molti degli strumenti che servivano per inviare comunicazioni alla città (in antico, infatti, la Lanterna svolgeva anche funzioni di torre d’avvistamento e di guardia): l’asta con le lanterne illuminate indicava quante navi stavano entrando in città, la vela issata sulla sommità serviva da indicatore durante le ore del giorno, l’uccello sul lato opposto è un piccione viaggiatore, mentre sul punto più alto il pesce è semplicemente un simbolo cristiano. La copertina è stata peraltro restaurata di recente, con un intervento, progettato da Giustina Olgiati, piuttosto difficoltoso dato il pessimo stato di conservazione dell’oggetto, che ha subito diversi danneggiamenti nel corso del tempo (strappi, lacerazioni, persino la colatura d’un liquido).
|
La città della Lanterna. L’iconografia di Genova e del suo faro tra Medioevo e presente |
|
Una sala della mostra |
|
Modellino della Lanterna di Genova |
|
Copertina del registro di conti dei Salvatori del porto e del molo (1371; inchiostro su pergamena, 40 x 30 cm; Genova, Archivio di Stato) |
Il primo corridoio della mostra espone una lunga serie di xilografie e stampe antiche che ci testimoniano l’evoluzione storica di Genova e del faro dal Quattrocento in avanti. Tra le più antiche immagini della città figura una xilografia del pittore tedesco Michael Wolgemuth (Norimberga, 1434 - 1519), realizzata nel 1493 come illustrazione del Liber Chronicarum di Hartmann Schedel (Norimberga, 1440 - 1514), un libro che conteneva la storia di diverse città, molte delle quali venivano per la prima volta raffigurate con grande precisione: l’immagine di Genova, tra le più antiche che si conoscano della città, rivela una grande accuratezza, che ancor oggi ci permette di riconoscere molti monumenti, dalla stessa Lanterna al Duomo di San Lorenzo, dai portici di Ripa alla Torre dei Greci (la torre che svettava sull’imboccatura del porto opposta a quella del faro), dalle porte d’accesso ancor oggi esistenti al Castelletto, il forte che dominava Genova e che fu demolito nel diciannovesimo secolo. L’incisione ci rende pienamente consapevoli del fatto che già all’epoca Genova fosse una città grande, che si estendeva da un capo all’altro del suo porto: una figurazione che, come scriveva già nel 1985 Cesare De Seta, “ha acquistato un’articolazione ben diversa da quella sincretica delle carte nautiche: è un oggetto di cui si conoscono i principali elementi di identità ed essi si dispongono con ordine, anche con dettaglio, entro le linee ormai familiari della baia e dei monti restrostanti”. Occorre infatti sottolineare come le opere che illustrano la città tendano, con l’avanzare del tempo, a divenir sempre più fedeli e a svincolarsi dalla logica di mera utilità rivestita dalle raffigurazioni che s’incontravano sulle carte nautiche: gli autori cominciano a raffigurare i monti dietro la città, a fornire immagini precise delle chiese e dei principali edificî cittadini, il porto viene descritto in modo più accurato. È così che si giunge a un’opera importante come l’acquaforte, d’autore anonimo, La tres celebre cité de Gennes, del 1571: qui la raffigurazione s’estende da Sampierdarena fino al Bisagno, il notevole traffico di vascelli in rada offre l’immagine d’un porto attivo e fiorente, e vengono inclusi anche i nomi di alcuni dei principali monumenti.
Osservare le stampe che ritraggono Genova nel corso dei secoli equivale anche a ripercorrere non soltanto l’evoluzione urbanistica della città (quella che vediamo nella Nuova delineatione della nobilissima e famosissima città di Genova del 1651 è una Genova ben diversa rispetto a quella del 1571: nel mezzo è trascorso il cosiddetto Siglo de los Genoveses, il cosiddetto “secolo dei genovesi”, che convenzionalmente si colloca tra il 1528 e il 1627 e che rappresenta il periodo di massimo splendore della Repubblica, dominatrice dei mari, snodo commerciale tra i primi in Europa, centro bancario d’importanza internazionale nonché notevole polo artistico e culturale), ma anche la sua storia tout court: interessante l’idea di presentare in mostra stampe e dipinti che raffigurano eventi fondamentali delle vicende storiche di Genova. Da segnalare, in particolare, un dipinto di Jan Karel Donatus van Beecq (Amsterdam, 1638 - 1722) che raffigura una Veduta della flotta francese durante il bombardamento di Genova del 1684, quando la città subì l’assedio e le cannonate delle navi del Re Sole desideroso di rompere l’alleanza tra la Repubblica di Genova e la Spagna (ma i genovesi, nonostante le migliaia di bombe che provocarono grossi danni alla città, riuscirono a resistere strenuamente e respinsero gli assalitori), e la particolarissima coppia di dipinti di Leopoldina Zanetti Borzino (Venezia, 1826 - Milano, 1902), pittrice d’origine veneta ma a lungo attiva in città che dedicò due vedute all’ingresso della flotta francese a Genova nel 1859: all’epoca si combatteva la Seconda guerra d’indipendenza e la Francia era alleata del Regno di Sardegna, di cui Genova faceva parte. Le due vedute, una dal bacino del molo nuovo e l’altra dalla villa del Principe, rappresentano il momento in cui Napoleone III arriva in città via mare con la sua flotta per assumere il comando dell’esercito che avrebbe combattuto contro gli austriaci.
|
Michael Wolgemut, Genua (1493; xilografia; Genova, Collezione privata) |
|
Anonimo del XVI secolo, La tres celebre cité de Gennes. 1571 (1571; acquaforte colorata a mano; Genova, Collezione Topografica del Comune) |
|
Jan Karel Donatus van Beecq, Veduta della flotta francese durante il bombardamento di Genova del 1684 (1685; olio su tela, 110 x 188 cm; Collezione privata) |
|
Leopoldina Zanetti Borzino, Le truppe francesi sbarcano nel porto di Genova, veduta dal bacino del Molo Nuovo (1859; olio su tavola; Genova, Istituto Mazziniano - Museo del Risorgimento) |
|
Leopoldina Zanetti Borzino, Le truppe francesi sbarcano nel porto di Genova, veduta dalla villa del Principe (1859; olio su tavola; Genova, Istituto Mazziniano - Museo del Risorgimento)
|
Nelle sale che occupano quella che era un tempo la platea del Teatro del Falcone il visitatore trova un’accurata selezione di dipinti realizzati da artisti che hanno declinato in varî modi il tema della veduta di Genova, con sezioni riservate ai diversi pittori. Si comincia col nome forse più celebre, quello del veneto Ippolito Caffi (Belluno, 1809 - Lissa, 1866): le sue vedute non mirano tanto alla precisione descrittiva (benché non manchino esempî in tal senso: si veda il grande Panorama del 1849), quanto all’evocazione di un’atmosfera mediante il sapiente utilizzo delle luci e dei colori. Un suo cartoncino propone una veduta del porto dalle colline retrostanti mentre sopraggiunge un temporale: la massa cupa delle nubi che si profilano all’orizzonte colora il mare del bacino portuale d’un blu pesante che rende ancora più marcato il contrasto con le porzioni d’acqua illuminate dagli ultimi raggi d’un sole che a breve verrà totalmente coperto dalle nuvole cariche di pioggia. Non dissimile negl’intenti è il Bagno delle donne a Genova, una delle prime opere a tema balneare che si conoscano: malgrado il soggetto nuovo, Caffi è più interessato alla resa degli effetti atmosferici. C’è spazio poi per un artista “di casa”, Luigi Garibbo (Genova, 1782 o 1784 - Firenze, 1869), artista che predilige vedute ampie ma che spesso indugia anche su particolari che rendono decisamente gustose le sue scene, anticipatrici del paesaggio realista ottocentesco: è il caso d’un grande acquerello, Sampierdarena veduta da san Benigno, del 1820, che offre all’osservatore uno spaccato di vita del tempo, con una nave che batte bandiera statunitense in procinto di lasciare il porto, alcuni ragazzini che si tuffano dagli scogli, i nobili che assistono al passeggio dalla terrazza della loro abitazione con una domestica che annaffia i fiori, financo due cagnolini che si annusano.
Non mancano poi dipinti particolarmente curiosi: di sicura presa sul visitatore è il dittico dello svizzero Carlo Bossoli (Davesco-Soragno, 1815 - Torino, 1884) che raffigura le grandi Terrazze di marmo, i sontuosi portici che sovrastavano l’attuale piazza Caricamento e che vennero utilizzati come passeggiata fino alla loro demolizione (tra il 1885 e il 1886, dopo appena quarant’anni di vita), in due momenti della giornata, ovvero di giorno e di notte. Tra le “star” della rassegna di Palazzo Reale impossibile poi non citare il Panorama di Genova ideato da Henry Parke (Londra, 1790 - 1835) per esser visto dall’interno di un cilindro: il visitatore doveva cioè collocarsi al centro del cilindro per avere un’illusione veritiera di come doveva apparire la città nella realtà. Doveroso infine menzionare i dipinti nei quali la Lanterna assurge a simbolo della città: nell’insolito Mercurio come genio ligustico di Giovanni Battista Carlone (Genova, 1603 - Parodi Ligure, 1684 circa) il faro sorge su di un promontorio molto più alto di quello reale, mentre in alcuni ritratti dei dogi presenti nel percorso espositivo la Lanterna diventa sfondo da ostentare quasi come simbolo di potere.
|
Ippolito Caffi, Genova. Panorama (1849; olio su due cartoncini uniti; Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro)
|
|
Ippolito Caffi, Genova. Con effetto di temporale (1854; olio su cartoncino, 16 x 33 cm; Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro) |
|
Ippolito Caffi, Bagno delle donne (1851; olio su cartoncino, 15 x 26 cm; Venezia, Galleria Internazionale d’Arte Moderna di Ca’ Pesaro) |
|
Luigi Garibbo, Sampierdarena veduta da San Benigno (1820; acquerello e matita su cartoncino quadrettato a matita; Genova, Collezione Topografica del Comune) |
|
Luigi Garibbo, Sampierdarena veduta da San Benigno. Particolare della passeggiata |
|
Luigi Garibbo, Sampierdarena veduta da San Benigno. Particolare della nave |
|
Luigi Garibbo, Sampierdarena veduta da San Benigno. Particolare degli scogli |
|
Luigi Garibbo, Sampierdarena veduta da San Benigno. Particolare della terrazza |
|
Carlo Bossoli, Le terrazze di marmo (giorno) e Le terrazze di marmo (notte) (entrambe 1850 circa; incisione colorata a tempera; Genova, Collezione privata) |
|
Giovanni Battista Carlone, Mercurio come genio ligustico (metà del XVII secolo; olio su tela; Novi Ligure, Collezione Ferdinando Soldani) |
Il corridoio finale conduce il visitatore ai giorni nostri. È un viaggio negli ultimi due secoli di storia genovese, con una selezione d’oggetti che include le fotografie ottocentesche di August Alfred Noack (Dresda, 1833 - Genova, 1895), preziosi documenti delle trasformazioni che Genova subì nel corso della rivoluzione industriale, i modellini della Lanterna, i manifesti pubblicitarî di hotel, eventi e manifestazioni o campagne per la promozione del turismo, e ancora cartoline, dipinti e fotografie di artisti contemporanei, fino ad arrivare al calcio: la sfida tra le due principali squadre genovesi è nota come il "derby della Lanterna", e il più celebre monumento della città figura nella serie di francobolli che celebrano la vittoria della Sampdoria nel campionato di Serie A del 1990-1991, nonché fotografato a occupare gran parte della maglia di Mattia Perin, portiere del Genoa dal 2013 a oggi.
Con La città della Lanterna, il faro trova il modo migliore per festeggiare il suo compleanno numero 890: una mostra divulgativa vasta (nel presente contributo non s’è parlato che d’una piccola parte di quanto il visitatore può trovare lungo il percorso) e decisamente saporita, a dimostrazione di come, per parlare a un pubblico ampio, non sia necessario ricorrere a nomi altisonanti o a mostre che somigliano più a luna park che a esposizioni: sono sufficienti una curatela di livello, un percorso espositivo in grado di non annoiare il visitatore occasionale, un apparato didascalico chiaro ed efficace, una selezione compiuta con intelligenza e mirata a raggiungere con immediatezza gli obiettivi del progetto scientifico. Tutte caratteristiche che non mancano alla rassegna genovese. Una mostra che, infine, offre l’opportunità di riflettere su di un’idea, lanciata in primavera da Antonio Musarra e da Giacomo Montanari, a proposito d’un museo della città, allestito con tutto il rigore del caso, che possa offrire ai cittadini e a quanti vengono da fuori un percorso che sia in grado di soddisfare il crescente interesse (certificato dai numeri) nei confronti di Genova e della sua storia, il tutto nell’ambito d’un sistema (di fatto ancora da costruire, ma fondato su basi eccellenti) che riconosca le enormi potenzialità della città e consenta un balzo in avanti nell’ambito del programma di valorizzazione del grande patrimonio artistico e culturale di Genova.
Se ti è piaciuto questo articolo abbonati a Finestre sull'Arte.
al prezzo di 12,00 euro all'anno avrai accesso illimitato agli articoli pubblicati sul sito di Finestre sull'Arte e ci aiuterai a crescere e
a
mantenere la nostra informazione libera e indipendente.
ABBONATI
A
FINESTRE SULL'ARTE
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).