Cosa si può dire di Plautilla Nelli (Firenze, 1524 - 1588), la monaca-artista a cui gli Uffizi dedicano un’interessante mostra monografica, senza cadere nella retorica spicciola che parla, forse in maniera un po’ troppo avventata, di femminismo ante litteram, o in eccessi di sopravvalutazione che rischiano di far perder di vista il contesto storico e sociale entro cui Plautilla si trovò a operare? Per rispondere alla domanda si può, anzi tutto, partire da un passo delle Vite di Giorgio Vasari. In particolare, nella vita della scultrice Properzia de’ Rossi, il grande storico dell’arte aretino passa in rassegna alcune delle donne artiste della sua epoca, o immediatamente precedenti, e tra di loro figura suor Plautilla, per la quale Vasari spende parole d’elogio: “cominciando a poco a poco a disegnare et ad imitar coi colori quadri e pitture di maestri eccellenti ha con tanta diligenza condotte alcune cose, che ha fatto maravigliare gl’artefici”. Segue nutrito elenco delle opere di mano di “suor Plautilla, monaca et oggi priora nel monasterio di S. Caterina da Siena in Fiorenza in sulla piazza di San Marco”. Spicca, nel racconto vasariano, una constatazione: il fatto che Plautilla avesse iniziato la propria carriera artistica con l’“imitar coi colori quadri e pitture di maestri eccellenti”.
Mostra Plautilla Nelli. Arte e devozione in convento sulle orme di Savonarola, la sala dei disegni |
La via dell’“imitazione” era infatti la sola di cui all’epoca una donna potesse disporre, qualora intendesse avviare il proprio cammino artistico. In tal senso, Plautilla (al secolo Polissena de’ Nelli) ebbe di che ritenersi fortunata: il convento di Santa Caterina, di cui divenne priora, si trovava sulla stessa piazza del convento di San Marco, dove per anni aveva dimorato e lavorato uno dei più aggiornati artisti del Rinascimento maturo, fra’ Bartolomeo della Porta. Plautilla non ebbe mai modo di conoscerlo, essendo ella nata sette anni dopo la scomparsa di fra’ Bartolomeo, ma conobbe molto bene la sua arte, anche perché, ci racconta sempre Vasari, i disegni del frate-pittore giunsero a Santa Caterina “apresso a una monaca che dipigne”: Plautilla non è nominata, ma la “monaca che dipigne” è senz’altro lei. La raccolta grafica di fra’ Bartolomeo che Plautilla poté alacremente studiare dovette costituire un’eccezionale palestra, oltre che il suo unico modo per imparare a disegnare: per una donna, e tanto più per Plautilla ch’era una monaca, ottenere una tradizionale formazione artistica in bottega era impresa decisamente ardua. Non impossibile, come certa vulgata lascerebbe supporre, ma comunque molto difficile: solitamente, le donne che dipingevano provenivano da famiglie dalla consolidata tradizione artistica, o che nutrivano forti interessi per l’arte. Si registrano casi di donne in grado, all’epoca, di ricevere lezioni da un maestro, ma sono alquanto rari: per limitarci alla carrellata vasariana, potremmo giusto riportare gli esempî di Sofonisba Anguissola, che fu scolara di Bernardino Campi, e di Lucrezia Quistelli della Mirandola, che l’aretino asserisce esser stata allieva di Alessandro Allori e del Bronzino. Entrambe contemporanee di Plautilla: la differenza tra le loro esperienze e quella della monaca soggiace proprio nel fatto che, mentre Sofonisba e Lucrezia appartenevano a stirpi molto aperte all’arte che, con tutta evidenza, non serbarono alle due giovani un futuro fatto di vita monacale, per Polissena (così come per sua sorella Costanza), proveniente da una famiglia della borghesia mercantile di Firenze, le opzioni erano due, come si evince dal testamento del padre, redatto nel 1534. Da una parte il matrimonio, dall’altra il convento: una scelta all’epoca comune a molte ragazze di famiglia benestante, quale era la futura suor Plautilla. Per lei, e per sua sorella, si aprirono le porte del convento.
S’è tentato di attribuire a Plautilla un improbabile alunnato presso fra’ Paolino da Pistoia, soprattutto per vicinanza geografica, per lontananza rispetto alle evoluzioni che l’arte conobbe a metà Cinquecento, e per affinità stilistiche, pur con gli evidenti limiti di suor Plautilla: tuttavia, la sua arte non dev’esser giudicata per un’originalità che si stenta a individuare (al visitatore che percorre le sale della mostra appare senz’altro monotona, attardata e ripetitiva, ma occorre anche sottolineare che Plautilla fu in grado di dare il suo contributo nel fissare certi canoni iconografici: si vedrà meglio tra poco), bensì per il ruolo che ricoprì nel contesto del tempo, anche in riferimento alla produzione artistica (e letteraria) dei conventi femminili del XVI secolo. Tutti temi sul quale negli ultimi anni, specie in area anglosassone, sono sorti moltissimi studî (e considerevole è anche la mole delle ricerche dedicate a Plautilla, notevolmente intensificatesi negli ultimi anni). Il problema della collocazione artistica di Plautilla, del resto, s’è posto a molti di coloro che hanno analizzato la sua produzione, e che spesso sono giunti a risultati discordanti: se Andrea Muzzi ha parlato di un’artista “dilettante”, intendendo in tal senso un’artista appartenente a quella schiera di coloro che “pur non esercitando la professione, praticavano l’esercizio artistico, segnatamente del disegno, al fine della propria elevazione intellettuale”, altri (come Fausta Navarro e Sheila Barker, che peraltro sono rispettivamente curatrice e membro del comitato scientifico dell’esposizione degli Uffizi) hanno posto l’accento sulla natura dell’attività di Plautilla Nelli, che certo non si limitò a un mero esercizio individuale, anche perché una pratica simile mal si sarebbe accordata con le istanze ancora savonaroliane del convento domenicano di Santa Caterina. Al contrario, i dipinti di Plautilla ebbero destinatarî, anche fuori dalle mura del convento: se gran parte della sua produzione era riservata all’esclusiva devozione monacale, lo stesso non si può dire per alcune tavole che lasciarono il monastero al fine d’abbellire altri conventi, ma anche chiese o raccolte di privati cittadini. A Perugia, per esempio, si conserva una Pentecoste nella chiesa di San Domenico, ancora due lunette di recente attribuzione vengono dal monastero di San Salvi, e Vasari ci parla di diversi dipinti in case di famiglie fiorentine, di una tavola in San Giovannino, di una predella con storie di san Zanobi dipinta per la Cattedrale di Santa Maria del Fiore, e di una “tavola grande” destinata al monastero di Santa Lucia.
La mostra si focalizza per lo più sulla parte “problematica” della produzione di Plautilla: a fronte di alcune opere che le si possono assegnare con certezza (e che si contano sulle dita d’una mano), assenti però dalla mostra, ne esiste un buon numero che è comunque possibile ricondurre alla sua attività. Interessanti in tal senso sono i dipinti che raffigurano santa Caterina da Siena, nei quali, sulla base di modifiche alle iscrizioni spesso ancora facilmente distinguibili (si possono ben notare anche nelle immagini che includiamo in questo articolo), s’è voluto vedere un omaggio a quella Caterina de’ Ricci (Firenze, 1522 - Prato, 1590) considerata, per le peculiarità della sua vocazione (si dice avesse ricevuto le stimmate e che cadesse spesso in mistico deliquio), una sorta di santa vivente: fu poi effettivamente canonizzata da Benedetto XIV nel 1746. La Chiesa non consentiva di raffigurare personaggi viventi nelle vesti di santi: di conseguenza, Plautilla celò le spoglie della coetanea sotto quelle di Caterina da Siena. All’origine di questa serie di ritratti va individuata, come scrive Fausta Navarro nel suo saggio a catalogo, “la volontà da parte di suor Plautilla e della vasta schiera di coloro che sostenevano la ’monaca santa’ [...] di sostenere suor Caterina de’ Ricci, a quei tempi ancora viva, divulgandone l’immagine. Ben consapevole del divieto della Chiesa di rappresentare come sante o beate personalità carismatiche venerate come tali ancor prima della canonizzazione [...] Plautilla profuse le sue doti artistiche per fondare l’iconografia di suor Caterina de’ Ricci. A tal fine poté avvalersi delle opportunità offerte dal modello cateriniano costantemente osservato dalle ’sante vive’, le ’nuove Caterine’ la cui fama doveva essere ben nota a Plautilla”. Ci muoviamo ovviamente nel campo della più pura ipotesi, tanto più che si tratta di novità emerse in occasione della mostra: si tratta però di suggestioni che varrà la pena continuare ad approfondire. I ritratti di santa Caterina da Siena/de’ Ricci sono tutti dello stesso tipo e, presumibilmente, tutti ricavati dallo stesso cartone, trasferito su tela o su tavola tramite spolvero: la santa, dai dolci lineamenti, è ritratta di profilo mentre adora un crocifisso gigliato (il giglio rimanda ovviamente all’ordine domenicano di cui tanto Caterina da Siena quanto Caterina de’ Ricci fecero parte). Un cartone che, con tutta evidenza, deriva da fra’ Bartolomeo: s’è confrontato il profilo delle Caterine di Plautilla con quello della Caterina da Siena nella Pala Cambi di Baccio della Porta e con quello della Madonna nel Compianto sul Cristo morto oggi alla Galleria Palatina ma un tempo nella chiesa di San Gallo, e s’è riscontrata una perfetta corrispondenza tra i rilievi grafici dei due artisti.
Plautilla Nelli, Santa Caterina da Siena/de’ Ricci (seconda metà del XVI secolo; olio su tavola; Firenze, Museo del Cenacolo di Andrea del Sarto) |
Plautilla Nelli, Santa Caterina da Siena/de’ Ricci (seconda metà del XVI secolo; olio su tavola; Assisi, Museo Diocesano) |
Plautilla Nelli, Santa Caterina da Siena/de’ Ricci (seconda metà del XVI secolo; olio su tela; Siena, Convento di San Domenico) |
Il discorso torna dunque, coerentemente, alla formazione di Plautilla. Dato ormai per assodato che la monaca non si formò con fra’ Paolino, che dal 1526 al 1547 fu attivo a Pistoia e non più a Firenze, e di sicuro una suora del convento di Santa Caterina di Firenze non aveva occasioni per andare a studiare a Pistoia, rimane in piedi l’ipotesi della formazione da autodidatta. Magari con l’ausilio di apporti esterni, forse giunti da qualche altra suora che già sapeva dipingere (difficile immaginare che Plautilla fosse arrivata, da completa autodidatta, a padroneggiare anche le tecniche di preparazione dei materiali). Conforta questa ipotesi anche il giudizio vasariano secondo cui “nelle sue opere i volti e fattezze delle donne, per averne veduto a suo piacimento, sono assai migliori che le teste degli uomini non sono e più simili al vero”: Plautilla non poté studiare le anatomie maschili che dai disegni dei suoi colleghi, mentre ebbe ovviamente modo di studiare le donne dal vero. Fra’ Paolino rivestì comunque un ruolo fondamentale nella vita di Plautilla: fu lui che, con ogni probabilità, donò i disegni di San Marco alla giovane suora. La mostra degli Uffizi espone una nutrita serie di disegni riferibili a suor Plautilla. Di vivo interesse il confronto diretto con fra’ Bartolomeo: una Madonna col Bambino di quest’ultimo è messa a paragone con una Madonna del Latte che un’iscrizione in grafia antica attesta essere “di suor Plautilla allieva del frate”. Più schematico, tradizionale e vagamente naïf il foglio di Plautilla, che dimostra comunque buone doti da disegnatrice, a cui occorre render merito se si pensa d’aver a che fare con una donna alla quale certe possibilità furono precluse. Basti vedere il Busto di giovane donna: lo si può considerare uno dei vertici della produzione di Plautilla, perché in questo disegno la suora, superando l’imitazione pedissequa, rivela, come ha notato Michele Grasso nel suo saggio in catalogo dedicato proprio ai disegni dell’artista, "una più personale cifra stilistica caratterizzata dalla volontà di sottolineare con semplicità e immediatezza un messaggio di pietas e devozione". Rimangono da risolvere dubbi circa l’evidente disomogeneità tra i fogli: quelli che gli sono stati attribuiti, almeno al Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi, sono otto, e le assegnazioni derivano da menzioni di Filippo Baldinucci (che parlava di otto fogli di Plautilla agli Uffizi, senza ulteriori specificazioni) e di Giuseppe Pelli Bencivenni, che forniva anche descrizioni dei soggetti e delle tecniche.
A sinistra: fra’ Bartolomeo, Madonna col Bambino (1510 circa; pietra nera, biacca, stilo su carta cerulea quadrettata a pietra rossa, 33,8 x 23,1 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe). A destra: Plautilla Nelli, Madonna del latte (penna e inchiostro, pennello e inchiostro diluito, pietra nera su carta, 26,6 x 19,1 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe) |
Plautilla Nelli, Busto di giovane donna (pietra nera parzialmente diluita, sfumino, biacca su carta, 31,9 x 23,1 cm; Firenze, Gallerie degli Uffizi, Gabinetto dei Disegni e delle Stampe) |
Tra le opere più degne di nota, si segnalano infine una Madonna addolorata e una iniziale di antifonario con una Presentazione di Gesù al Tempio con due monache. Varî sono i motivi d’interesse di queste due opere così diverse. Il primo, un dipinto attribuito a suor Plautilla fin dagli inventarî ottocenteschi degli Uffizi, è una sorta di variazione di un’opera di Alessandro Allori, ricavata da una pala di più grandi dimensioni: si trattava parimenti di una Madonna addolorata che godette di particolare fortuna negli anni Ottanta del Cinquecento e che fu presa a modello da molti artisti, tra i quali la nostra Plautilla, che propone una propria interpretazione del soggetto. La monaca non si limita a ricalcare meramente l’opera di Allori: dal dipinto in mostra traspare un patetismo accentuato, diverso rispetto a quello di Allori ed evidente soprattutto nell’abbondanza di lacrime che solcano il volto della Vergine addolorata, ritratta, come iconografia voleva, assieme ad alcuni strumenti della Passione (corona di spine, calice, lancia, chiodi, veste bianca) che notiamo sopra alla mensola decorata con citazione dantesca (“Non vi si pensa quanto sangue costa”). È un interessante esempio di come Plautilla, pur disinteressata a un’arte aggiornata e al passo coi tempi, risentisse del clima controriformato che influì sull’arte del tempo. Con l’iniziale d’antifonario scopriamo invece le abilità da miniaturista di Plautilla, riconosciute anche da Vasari. Sulla base di tale testimonianza (unita a quella di Serafino Razzi, letterato contemporaneo di Plautilla che parimenti parlò del suo talento nel campo della miniatura), e ovviamente sulla base di affinità stilistiche con le opere che a lei si possono ricondurre, le è stata attribuita questa Presentazione al Tempio per la quale è stata proposta una datazione precoce: non tanto per il modo in cui sono rappresentate le figure, che richiamano la compostezza (al limite della semplificazione) tipica di Plautilla, quanto per la conduzione tecnica che palesa un modus operandi tipico di un pittore esordiente, che per rendere l’epidermide dei personaggi diluisce i colori al punto da sfruttare, per le parti in luce, il bianco della pergamena.
Plautilla Nelli, Madonna addolorata (1582 circa; olio su tavola, 71 x 57 cm; Firenze, Museo del Cenacolo di Andrea del Sarto) |
Plautilla Nelli, Iniziale A: Presentazione di Gesù al Tempio con due monache (1545-1557 circa; tempera, foglia d’oro e inchiostro su pergamena, 58,7 x 41,4 cm; Firenze, Museo di San Marco) |
L’esposizione fiorentina, pur dovendo rinunciare alle opere di più grande formato (richiamate comunque da un video davanti al quale i visitatori possono trattenersi in una delle quattro sale dedicate all’esposizione), assolve in maniera egregia al compito di evocare le difficoltà che una donna doveva incontrare all’epoca e, malgrado certe lacune (nel video “integrativo”, per esempio, la menzione delle opere certe appare alquanto sbrigativa), riesce a inquadrare molto bene (grazie anche alla presenza di fogli di fra’ Bartolomeo) l’ambiente entro cui si svolse il percorso artistico di Plautilla. Una mostra che, giova sottolineare, è frutto di una ricerca lunga e soprattutto appassionata, condotta da una “squadra” in larga parte al femminile, e ancora una mostra che costituisce un notevole passo in avanti nell’ambito degli studî su Plautilla Nelli e, più in generale, sulla produzione culturale dei monasteri femminili nella Firenze del sedicesimo secolo, e che infine contribuisce anche ad aprire nuovi fronti di ricerca (s’è parlato dell’identificazione tra Caterina da Siena e Caterina de’ Ricci: un argomento degno d’essere approfondito). Plautilla può, nel frattempo, fregiarsi di un primato: quello di essere stata la prima donna pittrice di Firenze di cui conosciamo opere autonome. E indubbiamente possiamo riconoscerle i suoi meriti, che portarono anche Vasari a dire che suor Plautilla “arebbe fatto cose maravigliose se, come fanno gl’uomini, avesse avuto commodo di studiare et attendere al disegno e ritrarre cose vive e naturali”.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).