Il bacio di Francesco Hayez: quante e quali sono le versioni?


Quante e quali sono le versioni del celeberrimo Bacio di Francesco Hayez? L'originale, del 1859, è conservato alla Pinacoteca di Brera di Milano.

Uno dei momenti più suggestivi delle ultime stagioni espositive in Italia è stata la contemporanea presenza in mostra a Milano, sulla stessa parete, di tre versioni del Bacio, uno dei dipinti più celebri di Francesco Hayez (Venezia, 1791 - 1882), il grande genio del romanticismo italiano. L’occasione di vedere le tre opere riunite fu offerta dalla grande mostra, interamente dedicata ad Hayez (e intitolata, appunto, Hayez), che si tenne tra la fine del 2015 del 2016 alle Gallerie d’Italia di Piazza Scala a Milano. L’esposizione dei tre “baci” generò tuttavia (e genera tuttora) un po’ di confusione sul numero esatto delle versioni del Bacio oggi note. Quante e quali sono, dunque, le versioni della celeberrima opera che si conoscono?

Le tre versioni del Bacio di Hayez in mostra a Milano tra 2015 e 2016

Le tre versioni del Bacio di Hayez in mostra a Milano tra 2015 e 2016
Le tre versioni del Bacio di Francesco Hayez in mostra a Milano tra 2015 e 2016

Andiamo con ordine. La prima versione (l’originale, se preferiamo) è il dipinto che oggi si trova alla Pinacoteca di Brera. Fu eseguito nel 1859 per un nobile, il conte Alfonso Maria Visconti di Saliceto, appartenente a un ramo secondario della famiglia che resse le sorti del Ducato di Milano tra Duecento e Trecento, e fu esposto per la prima volta in una rassegna che inaugurava all’Accademia di Brera (siamo sempre a Milano) il 9 settembre 1859, tre mesi dopo l’ingresso di Vittorio Emanuele II in città durante la seconda guerra d’indipendenza. Il titolo con cui l’opera fu presentata era un po’ diverso da quello “accorciato” col quale la conosciamo oggi: il dipinto fu infatti esposto come Il bacio. Episodio della giovinezza. Costumi del secolo XIV. Un titolo sicuramente enigmatico, esattamente come il significato stesso del dipinto. Si faceva riferimento a una “giovinezza”: ma di chi, non era dato sapere. Altrettanto vaga era l’allusione al “secolo XIV”. L’unica cosa chiara a tutti era l’azione svolta dai due protagonisti: un bacio. Eppure, fu anche (e forse soprattutto) questa ambiguità di fondo a garantire un immediato successo a un’opera che, in mezzo a dipinti di soggetto prevalentemente militaresco (la seconda guerra d’indipendenza si era da poco conclusa, con la decisiva vittoria dell’asse sardo-francese, e gli artisti intendevano omaggiare l’evento con la tipica retorica risorgimentale), si era clamorosamente distinta per il suo porsi fuori dalle convenzioni. Ciò nondimeno, la felice intuizione di Francesco Hayez (è a lui che si attribuisce l’idea del Bacio) fu quella di ammantare l’opera di un velato significato politico. L’interpretazione politica del quadro si era diffusa già in epoca risorgimentale: nel 1872, lo scrittore Federico Dall’Ongaro lo definì Il bacio del volontario (è noto come alla battaglia di Curtatone e Montanara, durante la prima guerra d’indipendenza, avessero partecipato molti giovanissimi volontari).

Ma non fu solo questo l’unico merito di Hayez: come ha scritto in un recente contributo lo storico dell’arte Fernando Mazzocca (uno dei maggiori esperti dell’arte di Hayez), l’idea “di rappresentare il momento più intenso e poetico della relazione tra due persone che si amano, riuscendo a renderne in maniera così immediata e convincente tutto il fascino e il mistero” riuscì a penetrare l’animo degli osservatori al punto da rendere il quadro un’icona la cui efficacia persiste ancora ai giorni nostri. Pochi infatti rimangono insensibili all’attrazione esercitata dal bacio dei due giovani protagonisti, un bacio così sensuale, sentito, passionale, naturale. Una simile attrazione non dovette lasciare indifferente neppure il regista Luchino Visconti, che decise rievocare l’opera nella scena del film Senso in cui si consuma l’ultimo bacio tra i due protagonisti: una scelta, quella di Luchino Visconti, che innegabilmente ha contribuito alla fama del dipinto. Questo primo Bacio di Hayez pervenne nel 1886 alla Pinacoteca di Brera col legato del conte Visconti di Saliceto, che dispose l’obbligo di esporlo al pubblico: tuttavia, fin dal 1859 il successo dell’opera fu tale che ad Hayez ne furono richieste fin da subito diverse repliche.

Francesco Hayez, Il Bacio (1859)
Francesco Hayez, Il Bacio (1859; olio su tela, 112 x 88 cm; Milano, Pinacoteca di Brera)

Partiamo dalle due che erano presenti alla mostra di Milano. Quella del 1861, conservata in collezione privata e facilmente riconoscibile perché la ragazza indossa un abito bianco (che confrontato con il mantello verde e la calzamaglia rossa del giovane ha dato adito a interpretazioni circa un’eventuale allegoria della bandiera italiana), è firmata e datata e fu dipinta per l’imprenditore di origine svizzera Federico Mylius, come sappiamo dai documenti dell’epoca. È passata in asta da Sotheby’s nel 2008, quando fu aggiudicata per un prezzo di poco inferiore agli ottocentomila euro: un record che ha resistito fino all’aprile 2016, quando la terza versione esposta alla mostra delle Gallerie d’Italia è stata aggiudicata in un’asta da Christie’s a New York per la somma di un milione e 865mila dollari. Questa versione, che si distingue ulteriormente dalle altre due per alcuni particolari (il velo gettato sugli scalini, la bifora in posizione più centrale, la mezza colonnina alle spalle dei protagonisti), fu dipinta nel 1867 per essere mostrata all’Esposizione Universale di Parigi di quell’anno. È interessante sottolineare che la versione del 1867 fu probabilmente quella a cui Hayez fu più affezionato, perché non volle cederla a nessuno, e rimase di sua proprietà fino alla sua scomparsa. Gli eredi la vendettero poi alla granduchessa Elena Romanova, nipote dello zar Alessandro III di Russia: per vie ereditarie passò infine ai collezionisti che decisero di farla passare in asta nel 2016.

Francesco Hayez, Il Bacio (1861)
Francesco Hayez, Il Bacio (1861; olio su tela, 125 x 94,5 cm; Collezione privata)


Francesco Hayez, Il Bacio (1867)
Francesco Hayez, Il Bacio (1867; olio su tela, 118,4 x 88,6 cm; Collezione privata)

Oltre alle tre versioni esposte a Milano tra il 2015 e il 2016, ne esistono altre meno conosciute, ma che sono state comunque rintracciate dagli studiosi e identificate, su base documentaria, come repliche eseguite dalla mano di Hayez. Lo storico dell’arte Sergio Coradeschi, nel suo libro L’opera completa di Hayez (della collana dei classici Rizzoli), dava conto di quattro versioni del dipinto: tre sono quelle di cui abbiamo già detto (l’originale oggi a Brera, la versione già Mylius e quella del 1867). L’altra sarebbe una versione appartenuta a un’amante di Hayez, Adele Appiani (nipote di Andrea, celebre pittore neoclassico): passata al tenore Angelo Masini, finì probabilmente in vendita presso la Galleria Scopinich nel 1926. Di questa versione si sarebbero perse le tracce. Ancora, nel catalogo delle opere di Hayez compilato nel 1994 da Mazzocca, lo studioso parlava di un’ulteriore versione del 1859, di dimensioni più ridotte (55 x 40 cm) rispetto alle altre note, che sarebbe appartenuta alla famiglia di un’altra amante del pittore, Carolina Zucchi, e che sarebbe ancora in possesso degli eredi della donna (l’opera si troverebbe a Torino).

Abbiamo dunque qualche elemento per rispondere alla domanda posta nel titolo dell’articolo: quante sono le versioni che conosciamo del Bacio di Hayez? Cinque in tutto, una delle quali risulta però non rintracciabile: il numero delle versioni di cui conosciamo l’ubicazione si ridurrebbe pertanto a quattro (e quattro è anche il numero proposto dal catalogo Sotheby’s relativo alla vendita del 2008 di cui s’è detto sopra). Accanto a queste versioni, tutte a olio su tela, ne esisterebbero tuttavia altre realizzate ad acquerello: Coradeschi ne parla al plurale, senza comunque precisare un numero. Sappiamo che esiste un acquerello del Bacio in collezione privata (era di proprietà del poeta trentino Andrea Maffei, amico di Hayez), e soprattutto conosciamo bene quello della Pinacoteca Ambrosiana di Milano, che in passato appartenne alla famiglia Negroni Prati Morosini (furono facoltosi committenti di Hayez): faceva parte del legato della famiglia che, nel 1962, entrò nella raccolta dell’Ambrosiana. Non si tratta comunque di studi per la realizzazione finale del dipinto, bensì di opere ricavate successivamente da un dipinto che riscosse particolare successo (caso non infrequente nella produzione di Hayez).

Un successo che, come abbiamo visto, portò l’artista a eseguire alcune repliche del quadro. Quelle di cui abbiamo notizia saranno davvero tutte quelle che l’artista realizzò? Chissà: ce ne saranno altre che non conosciamo? Le probabilità sono pochissime, certo: ma la storia dell’arte riserva sempre sorprese... !

Bibliografia di riferimento

  • Fernando Mazzocca (a cura di), Hayez, catalogo della mostra (Milano, Gallerie d’Italia di Piazza Scala, 7 novembre 2015 - 21 febbraio 2016), Silvana Editoriale, 2015
  • Maria Vittoria Marini Clarelli, Fernando Mazzocca, Carlo Sisi (a cura di), Ottocento: da Canova al Quarto stato, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale, 29 febbraio - 10 giugno 2008), Skira, 2008
  • Fernando Mazzocca, Hayez privato: arte e passioni nella Milano romantica, Allemandi, 1997
  • Fernando Mazzocca, Francesco Hayez. Catalogo ragionato, 24 Ore Cultura, 1994
  • Sergio Coradeschi, L’opera completa di Francesco Hayez, Rizzoli, 1971


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Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta

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