Leggo con sconcerto e disgusto sempre crescenti le notizie intorno alla restituzione dei dipinti appartenenti al Museo di Castelvecchio di Verona, rubati nel novembre dello scorso anno, ritrovati in Ucraina, e da mesi ancora in attesa di tornare in Italia. Sconcerto e disgusto perché i dipinti hanno passato più tempo tra le mani delle istituzioni ucraine che tra quelle dei ladri. Sconcerto e disgusto per i silenzi e l’incapacità delle istituzioni italiane di fronte a una vicenda che ha assunto toni farseschi e che farebbe anche ridere, se non fosse per il fatto che di mezzo ci sono alcuni tra i dipinti più importanti del nostro patrimonio artistico. Sconcerto e disgusto perché ancora oggi, a quasi sette mesi esatti dal ritrovamento, ancora non abbiamo indicazioni precise su quando le opere di Castelvecchio potranno fare rientro alla loro sede.
Ieri l’ambasciatore ucraino in Italia, Yevhen Perelygin, in un incontro a Verona, ha fatto sapere che le opere rientreranno in Italia “entro la fine di dicembre”. Ma abbiamo buoni motivi per accogliere con riserva la comunicazione dell’ambasciatore, dato che tutti gli annunci che fin qui si sono susseguiti non hanno poi prodotto gli effetti sperati. All’inizio sembrava che i quadri dovessero tornare a Verona entro il mese di luglio. A luglio, però, il sottosegretario degli esteri informava che era in preparazione un incontro ufficiale tra il premier Matteo Renzi e il presidente ucraino Petro Poroshenko e che le opere sarebbero rientrate entro l’autunno. Per essere precisi, sarebbero rientrate a novembre, rassicurava lo stesso Renzi. La volontà infatti era (ed è tuttora) quella di presentare la restituzione nell’ambito di una cerimonia ufficiale con un incontro tra Renzi e Poroshenko. Il problema, a quanto pare, è che si fatica molto a trovare una data che possa far andare d’accordo gli impegni di Renzi con quelli di Poroshenko. Oltretutto c’è di mezzo anche il referendum: impossibile, ci dicono i giornali, che Renzi trovi il tempo di pensare all’incontro con Poroshenko e alla restituzione dei dipinti, preso com’è da questa vacua, noiosa, autoreferenziale e irritante campagna referendaria che da settimane monopolizza l’informazione e, così sembrerebbe, anche gli impegni delle figure istituzionali.
Alcune delle opere rubate al Museo di Castelvecchio. Elenco completo con immagini a questo link |
E non parliamo poi dell’evanescente figura di Dario Franceschini, ministro dei beni culturali (uno dei peggiori della storia) che non si è mai impegnato seriamente per far tornare i dipinti in Italia. Anzi, nei giorni seguenti il furto non aveva pronunciato una singola parola, ed era stato perciò duramente criticato. Ma Franceschini non sembra essere stato affatto scalfito dalle critiche: anzi, la sua condotta è tuttora votata all’assenza (un’assenza che pesa tantissimo, dato che si presuppone tocchi al ministro competente occuparsi in prima persona di una faccenda che riguarda opere sottratte), e al totale disinteresse, salvo qualche timida e sporadica dichirazione di rito, come i soliti ringraziamenti di circostanza alle autorità a seguito del ritrovamento. E ci domandiamo cosa mai dovrebbe occupare il primo posto dell’agenda di un ministro dei beni culturali, se non il rientro di ben diciassette dipinti rubati a uno dei più importanti musei italiani: si parla di opere di Pisanello, Mantegna, Tintoretto. E cosa dire invece del sindaco di Verona, Flavio Tosi, che addirittura ha grottescamente concesso la cittadinanza onoraria a Poroshenko? La gestione di tutta la vicenda da parte degli enti italiani è stata, a dir poco, inconsistente e maldestra, con la conseguenza che l’immagine dell’Italia ne ha risentito, dal momento che le nostre istituzioni sono apparse, fin dall’inizio, in balia degli eventi, confuse, senza polso, incapaci di intraprendere azioni diplomatiche incisive per velocizzare i tempi della restituzione. E pensare che già a luglio la vicenda era stata definita un "pasticcio internazionale": allora erano passati solo due mesi dal ritrovamento, dunque adesso che ne sono passati sette, quale termine dovremmo adottare per definire questa vergognosissima situazione? Una figuraccia storica? Un delirio colossale? Un chiaro saggio di assoluta incompetenza diplomatica? Una manifesta dichiarazione di palese disinteresse per l’arte?
Sta di fatto che ci sono voluti i cittadini per tenere alta l’attenzione. A Verona, ovviamente, la questione è molto sentita e c’è da dire che l’amore che i veronesi nutrono nei confronti delle loro opere è un qualcosa di esemplare. C’è stato un appello sottoscritto da un migliaio di persone e inviato al ministro dei beni culturali e all’ambasciatore italiano in Ucraina. C’è stato un avvocato veronese che ha sporto denuncia contro Poroshenko per appropriazione indebita e ricettazione (una denuncia poco più che simbolica ma che ha avuto comunque il pregio di far discutere della vicenda). C’è chi, sui mezzi di informazione e sui social, si è prodigato per fare informazione e dedicare spazio all’accaduto per non far abbassare la guardia e per continuare a fare pressione per una risoluzione rapida.
Ma al di là di tutto ciò, abbiamo ragioni per temere che il termine della fine di dicembre nuovamente fissato in queste ore non sia altro che l’ennesimo annuncio da prendere con le molle: se è vero che il rientro delle opere è stato subordinato (in maniera del tutto improvvida, a mio avviso) all’agenda di Matteo Renzi e a un futuro incontro che adesso non può che apparire, nei riguardi di noi cittadini, ipocrita e canzonatorio, c’è il rischio di aspettare ancora a lungo, dal momento che il presidente del consiglio non sembrerebbe aver inserito le opere di Castelvecchio tra le sue priorità. Non c’è da stupirsi, se pensiamo che il governo Renzi, con la sua riforma del ministero dei beni culturali, sarà ricordato, nella storia del settore, come quello che ha inferto i colpi più duri alla tutela, alla conservazione a anche alla valorizzazione del patrimonio. E il fatto che, a questo governo, al suo premier e al ministro dei beni culturali, l’arte non interessi poi così tanto, non è che un simbolo evidente dello sfacelo verso il quale il settore dei beni culturali sembra ormai avviato.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).