Van Dyck tra Genova e Palermo: piccola ma significativa mostra genovese


Recensione della mostra “Van Dyck tra Genova e Palermo” alla Galleria Nazionale di Palazzo Spinola di Genova fino al 26 febbraio 2017.

La movimentazione di opere di grandi artisti conservate in collezioni permanenti, specie quando si tratta di inviarle a mostre temporanee, sta diventando sempre più un’operazione politica prima ancora che scientifica. La ragione di fondo è presto detta: un museo che si priva di uno dei suoi simboli perde inevitabilmente parte del suo fascino, seppur per pochi mesi. E il fatto che si stiano moltiplicando le occasioni in cui i soggetti più svariati interpellano i musei allo scopo di chiedere opere in prestito (ma non è detto che ciò sia un bene: lo notiamo dalla qualità di certe mostre) ha portato i prestatori a prendere le dovute cautele: in altri termini, a chiedere un’adeguata contropartita al fine di risarcire la perdita. Io ti presto un Vermeer, e tu mi mandi un Michelangelo. Io ti concedo un Piero della Francesca, però tu mi garantisci un Caravaggio. Quando il nome in ballo è di una certa levatura, ormai funziona quasi sempre così. Difficile è però trasformare il “risarcimento” in una mostra vera, di qualità, che eviti di assumere le sembianze di una mera ostensione. Bene: alla Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, a Genova, hanno saputo approfittare di uno scambio appartenente al genere sopra specificato per creare un’interessante occasione di approfondimento.

Questa occasione di approfondimento è una mostra che s’intitola Van Dyck tra Genova e Palermo, che rimarrà aperta fino al 26 febbraio, e che ha saputo ben sfruttare la partenza di uno dei più illustri capolavori della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola. La Galleria ha infatti dovuto privarsi del ritratto di Giovanni Carlo Doria a cavallo di Pieter Paul Rubens, tra le più celebrate opere della collezione, per spedirlo alla mostra milanese sul grande artista fiammingo. L’organizzazione della rassegna su Rubens di Palazzo Reale ha dunque fatto arrivare a Palazzo Spinola un dipinto che potesse colmare la lacuna: dalle collezioni dei principi del Liechtenstein è così giunto, sulle rive del mar Ligure, un ritratto di Anton van Dyck (Anversa, 1599 – Londra, 1641). Raffigura un galantuomo biondo, dai baffi arricciati, con gli occhi azzurri tranquilli e rilassati, quasi persi. La critica ha da tempo identificato il soggetto con un mercante d’origine genovese che nel 1624, anno a cui l’opera risale (si tratta di un dipinto datato), si trovava a Palermo, dove era stato appena nominato console della nazione genovese: una sorta di rappresentante della folta comunità ligure che abitava la città siciliana. Il suo nome era Desiderio Segno e sappiamo che van Dyck realizzò un dipinto che lo ritraeva perché, nell’inventario dei beni appartenenti al mercante redatto dopo la sua scomparsa (nel 1630), tra i vari oggetti figurava proprio un ritratto realizzato dall’artista di Anversa. Non abbiamo la certezza matematica che si tratti di quello oggi in Liechtenstein (dopo decenni di silenzio, l’opera ricompare nel Settecento inoltrato a Vienna, già nelle collezioni principesche: come abbia fatto ad arrivarci, ancora non si sa), ma ci sono comunque elementi che rafforzano la convinzione. C’è la data, ci sono le vistose somiglianze con il ritratto del viceré di Sicilia, Emanuele Filiberto di Savoia, che van Dyck realizzò nello stesso anno e che fu il motivo del viaggio che condusse l’artista da Genova a Palermo, c’è il gesto della mano destra, interpretato come un “segno” che allude al cognome del personaggio, ci sono gli inventari di casa Segno che dimostrano che l’uomo possedeva abbigliamento e oggetti simili a quelli che vediamo nel dipinto.

Mostra Van Dyck tra Genova e Palermo
La Mostra Van Dyck tra Genova e Palermo


Anton van Dyck, Ritratto di Desiderio Segno
Anton van Dyck, Ritratto di Desiderio Segno (1624; olio su tela, 131 x 101 cm; Vaduz, The Princely Collections of Liechtenstein)

Alla Galleria Nazionale di Palazzo Spinola possiamo dunque vedere un ritratto decisamente importante. Perché il ritratto di Desiderio Segno, che arriva per la prima volta a Genova, oltre a presentarci uno dei personaggi allo stesso tempo più intensi e delicati della produzione di van Dyck, è testimone prezioso dei rapporti che, agli inizi del Seicento, intercorrevano tra Genova e Palermo, ma anche dell’attività di van Dyck in Sicilia, della quale ci rimangono solo tre ritratti sicuri (ovvero i ritratti di Desiderio Segno, di Emanuele Filiberto e di Sofonisba Anguissola). E poi, l’opera si lega in modo indissolubile ai quadri di van Dyck presenti nella collezione della Galleria Nazionale di Palazzo Spinola, con i quali è stato messo a confronto. Un confronto estremamente interessante e intelligente: i protagonisti sono il Ritratto di Ansaldo Pallavicino, che ha scalato due piani (la mostra è infatti ospitata all’ultimo livello del palazzo), e il Ritratto di gentildonna (o Ritratto della marchesa Spinola), che i curatori dell’esposizione, Farida Simonetti e Gianluca Zanelli, hanno affiancato al ritratto di Desiderio Segno creando un suggestivo gioco di gesti e di sguardi. Le opere, disposte su tre grandi pannelli neri che occupano tutta una parete (quella che solitamente ospita il ritratto equestre rubensiano), sembra facciano parte di un’unica rappresentazione, un grande trittico armonioso e scenografico: gli sguardi dei personaggi posti a lato convergono verso il centro e le movenze sembrano suggerire all’osservatore di abbracciare questa apoteosi della sobrietà tipicamente genovese (i facoltosi, all’epoca, erano tenuti a presentarsi in pubblico vestiti di nero, esattamente come i due effigiati adulti, per evitare indecorose ostentazioni).

I tre ritratti di Anton van Dyck a confronto
I tre ritratti di Anton van Dyck a confronto


Anton van Dyck, Ritratto di Ansaldo Pallavicino
Anton van Dyck, Ritratto di Ansaldo Pallavicino (1625 circa; olio su tela, frammento di 108 x 64 cm; Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola)


Anton van Dyck, Ritratto della marchesa Spinola
Anton van Dyck, Ritratto di gentildonna genovese con bambino noto anche come Ritratto della marchesa Spinola (1626-1627; olio su tela, 124 x 96 cm; Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola)

Particolarmente azzeccato è il confronto con il ritratto di Ansaldo Pallavicino, realizzato da van Dyck attorno al 1625 e presente a Palazzo Spinola fin dal 1650. All’epoca però il quadro era ancora integro: è stato infatti tagliato in epoche successive, perché in antico il piccolo Ansaldo accompagnava il padre Agostino, nominato nel 1625 protettore del Banco di San Giorgio (non sappiamo tuttavia che fine abbia fatto la parte più grande del ritratto originario, quella con Agostino Pallavicino, appunto). L’opera, che denota l’eccezionale capacità del pittore fiammingo nella rappresentazione della tenerezza e della spontaneità dei bambini (i suoi ritratti infantili sono tra i più naturalistici e veritieri di tutto il Seicento), rivela un’impostazione del tutto simile a quella del ritratto di Desiderio Segno, con la testa quasi impercettibilmente rivolta all’indietro e la mano destra che produce più o meno lo stesso gesto. All’incirca allo stesso periodo (siamo attorno al 1627, poco prima che van Dyck tornasse nelle Fiandre) risale anche il ritratto della gentildonna, che potrebbe essere una esponente della famiglia Spinola: un’opera di qualità non inferiore rispetto a quella dei due dipinti che compaiono sulla stessa parete e che assieme a loro si distingue per la resa morbida delle stoffe, la grazia degli incarnati, la capacità d’introspezione psicologica, la raffinatezza e la cura nella raffigurazione dei gioielli e delle decorazioni.

Il discorso si completa con una piccola Crocifissione, copia di autore ignoto dell’originale che Anton van Dyck dipinse per la chiesa di San Michele a San Michele di Pagana, frazione di Rapallo, ancora in loco. A San Michele di Pagana un facoltoso commerciante di profumi genovese, Francesco Orero, possedeva una villa, e fu lui a volere l’opera per la parrocchiale (tanto che si fece ritrarre in adorazione del crocifisso): l’opera in mostra si può considerare quasi un simbolo dell’inserimento di van Dyck negli ambienti dell’alta società genovese, con cui era diventato particolarmente familiare. Il suo soggiorno a Genova si protrasse infatti dal 1621 al 1627 (se si esclude la breve parentesi palermitana, durante la quale l’artista continuò comunque a frequentare committenti genovesi), e durante la sua permanenza, oltre a diversi ritratti, l’artista dipinse opere di vario soggetto, e la Crocifissione per il borgo rivierasco è una delle principali. L’opera potrebbe anche fungere da introduzione alla mostra, per meglio inquadrare il contesto storico a cui l’esposizione si riferisce e per comunicare al visitatore l’importanza di van Dyck per l’ambiente genovese (oltre che dell’ambiente genovese per van Dyck): la sua presenza è dunque un ulteriore piccolo tocco di classe dei curatori che con appena quattro dipinti sono riusciti a mettere in piedi un’esposizione molto densa e significativa.

Copia dalla Crocifissione di Anton van Dyck
Anton van Dyck (copia da), Francesco Orero in adorazione del Crocifisso in presenza dei santi Francesco e Bernardo (prima metà del XVII secolo; Genova, Galleria Nazionale di Palazzo Spinola)


Uno dei pannelli della mostra
Uno dei pannelli della mostra

Da segnalare anche il catalogo, edito da SAGEP, nell’ormai classico e maneggevole formato 17 x 22 che la casa editrice ha adottato per le pubblicazioni di Palazzo Spinola. I contributi sono quattro, tutti di altissimo livello: si parte con il bel saggio di Xavier F. Salomon, curatore della Frick Collection di New York e tra i massimi esperti di van Dyck, sul soggiorno palermitano del pittore e sul ritratto di Desiderio Segno. Segue l’aggiornatissimo contributo dello storico dell’arte Matteo Moretti (che è anche autore dell’ottimo apparato didascalico della mostra) in cui, a seguito di un’indagine partita dall’analisi degli Archivi Storici di Palazzo Spinola, si fa il punto della situazione su un cospicuo numero di opere della Galleria che le fonti documentarie riferiscono in vario modo al pittore fiammingo. I saggi sul ritratto di Ansaldo Pallavicino e sul ritratto della marchesa Spinola sono invece firmati dai due curatori, rispettivamente da Farida Simonetti e Gianluca Zanelli.

Van Dyck tra Genova e Palermo è una rassegna breve, che trova la sua ragion d’essere in diversi motivi. La presenza di un ritratto che rende manifesti i rapporti tra le due città, forse poco noti al grande pubblico, e che permette di avere a Genova una testimonianza fondamentale dell’attività artistica di van Dyck legata alla committenza genovese. La possibilità di vedere vicini tre esempi della ritrattistica del pittore appartenenti all’ultima fase del suo soggiorno ligure (la parentesi palermitana può esserne considerata quasi una parte integrante, dato che van Dyck continuò a intrattenere rapporti con la clientela genovese). L’occasione per ricostruire, sulla base degli studi più recenti e di una ricerca d’archivio, e di conseguenza presentare al pubblico attraverso il catalogo, la storia del nucleo delle opere di Palazzo Spinola riferite a van Dyck. La possibilità di avere un ritratto che aiuti il visitatore a focalizzarsi sulle scelte stilistiche del pittore fiammingo. L’intento divulgativo, dichiarato in apertura di catalogo, credo sia stato pienamente soddisfatto. Sul piano scientifico non abbiamo novità clamorose, ma abbiamo tanti elementi utili (tra i quali vale la pena citare una proposta “a puro titolo di ipotesi di lavoro” di Matteo Moretti per l’identificazione della gentildonna protagonista del Ritratto di dama un tempo riferito a van Dyck, e ricondotto di recente, da Piero Boccardo, alla mano di Jan Roos, collaboratore di van Dyck a Genova) che sicuramente faranno progredire lo stato delle conoscenze sull’arte di Anton van Dyck, delle quali la mostra di Palazzo Spinola costituisce già un ulteriore importante tassello.


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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