L'Annunciata di Antonello da Messina: raffinatezza, ordine, modernità


L'Annunciata di Antonello da Messina (Palermo, Palazzo Abatellis) è un capolavoro di raffinatezza e modernità dotato di un solido impianto geometrico.

Un volto da ragazzina, dalla carnagione olivastra e dai lineamenti raffinati, di una purezza difficile da riscontrare in altre opere d’arte. Gli occhi neri e profondi, che con uno sguardo leggermente rivolto verso il basso comunicano esitazione, indugio, timidezza, magari anche un po’ di disagio. Il leggio, delineato con una precisione che rimanda alla pittura fiamminga e che non risparmia le tarlature sulla superficie del legno. E poi le mani, affusolate, eleganti: la destra compie un movimento in avanti quasi a volersi schermire, la sinistra cerca invece di chiudere il velo a coprire il collo, catturato in una leggera torsione, e la veste che lascia scoperta una porzione del petto, minuscola ma sufficiente da spingere la protagonista a ritener più conveniente coprirla. Sono questi gli elementi che rendono l’Annunciata di Antonello da Messina una delle opere più seducenti di tutta la storia dell’arte.

Antonello da Messina, Annunciata
Antonello da Messina, Annunciata (1476 circa; olio su tavola, 45 x 34,5 cm; Palermo, Palazzo Abatellis, Galleria Regionale)

Antonio di Saliba, Annunciata
Antonio di Saliba, Annunciata (fine XV secolo; olio e tempera su tavola, 46,8 x 34,7 cm; Venezia, Gallerie dell’Accademia)
È singolare che di un’opera tanto emozionante quanto capitale per l’arte occidentale non si sia saputo alcunché per secoli. La prima citazione risale infatti al 1866, quando il prelato nonché storico dell’arte palermitano Gioacchino Di Marzo scrisse di aver visto a Venezia un’opera uguale all’Annunciata, che allora si trovava nella collezione di un certo monsignor Vincenzo Di Giovanni. L’opera, a sua volta acquistata dalla nobile famiglia palermitana dei Colluzio, era allora ascritta ad Albrecht Dürer. Il dibattito su quale fosse l’esemplare originale, se quello che Di Marzo aveva visto a Venezia, oppure quello palermitano, andò avanti irrisolto fino al 1907: l’anno prima, l’Annunciata era entrata a far parte della raccolta di quello che era all’epoca il Museo Nazionale di Palermo, oggi diventato Galleria Regionale, e veniva esposta per la prima volta nelle sale di Palazzo Abatellis, dove la si può tuttora ammirare. L’originalità dell’opera di Palazzo Abatellis e l’attribuzione ad Antonello da Messina (Messina, 1430 circa - 1479) vennero confermate da Enrico Brunelli nel 1907, che stabilì la precedenza dell’Annunciata di Palermo rispetto al dipinto di Venezia: “liscia, fredda, monotona è la copia di Venezia, sebbene diligentissima: qui l’esecuzione è di una precisione estrema, di un rigore tutto antonellesco, e il colore è robusto e vigoroso, più vario anche e più ricco che non nell’altro esemplare. Mentre le vesti del quadro veneziano offrono una superficie azzurra uniforme, senza vivezza e senza intensità, qui il rosso della tunica ravviva l’azzurro del mantello: il rosso è un rosso vermiglio, simile al sangue arterioso, l’azzurro volge al verde marino e ha un’intonazione particolarissima che si riscontra talora nel mare siciliano, quando l’azzurro intenso di un cielo sereno del meriggio è rispecchiato e pare si fonda quasi nelle acque tranquille e profonde”. L’opera di Venezia sarebbe stata poi attribuita a un altro pittore siciliano, Antonio di Saliba, peraltro parente di Antonello da Messina.

La Madonna del pittore messinese è solo apparentemente sola. In realtà, Antonello ci lascia nelle condizioni di percepire la presenza dell’arcangelo Gabriele, giunto per annunciarle la nascita di Gesù, proprio dinnanzi a lei: è fuori dalla composizione perché è nella posizione in cui ci troviamo noi che osserviamo il dipinto. Maria è stata colta alla sprovvista: la mano, protesa in avanti, vuol quasi “bloccare il messaggio dell’angelo con un soprassalto di pudica sorpresa ma anche d’interrogazione”, per utilizzare una felice espressione di Eugenio Battisti. Con quel leggero movimento della mano, sembra che Maria stia dicendo all’angelo di non procedere oltre, perché non era preparata a questo incontro, e allo stesso tempo si domanda che cosa avrà da dirle il messaggero di Dio: Antonello ha il pregio di tradurre in un gesto semplicissimo questo stato d’animo complesso. La pudicizia di cui Battisti parla è rivelata, come anticipato, dall’atto dell’altra mano, che cerca in tutta fretta e nel modo più veloce possibile di celare le sue membra con il velo (o, per usare il termine esatto, il maphorion, il manto che Maria usava per coprire spalle e capo). E nonostante la rapidità dell’azione, la Vergine non si scompone, anzi: l’eleganza rimane inalterata. Certo, c’è anche dell’artificio, perché Antonello sottopone l’intera opera a un evidente quanto severo ordine geometrico: il volto è inscritto in un ovale, il velo forma un triangolo, l’apertura del velo sul volto a sua volta forma un triangolo rovesciato, le pieghe ricadono perpendicolari. Malgrado tutto ciò, è un dipinto pieno di vita, per i motivi sopra descritti: perché siamo nelle fasi iniziali di un incontro, perché si sta per instaurare un dialogo, perché le movenze della Vergine sono molto espressive. E come se non bastasse, c’è anche un sottile alito di vento che scompone le pagine del libro appoggiato sul leggio: segno dell’arrivo dell’arcangelo che muove l’aria attorno a sé.

La lettura appena proposta dell’Annunciata non è che una delle tante che sono state proposte per l’opera. Si tratta, a mio avviso, della più suggestiva, oltre che di quella su cui c’è maggior accordo da parte della critica, ma occorre dar conto del fatto che c’è chi ha provato a interpretare i movimenti e la mimica di Maria secondo altri termini. Il gesto della mano destra protesa, lungi dall’essere un’invenzione di Antonello, ricorre in diverse Annunciazioni precedenti, e spesso viene interpretato come segno di accettazione del destino che l’arcangelo Gabriele ha comunicato alla Madonna. In un’Annunciazione del fiammingo Dirck Bouts oggi al Getty Museum ma attestata per la prima volta nel 1810 presso le raccolte della famiglia Foscari, appartenente al patriziato veneziano (non si può dunque escludere che non fosse a Venezia già all’epoca del soggiorno di Antonello in laguna, tra il 1474 e il 1475), la Vergine allunga entrambe le mani di fronte a sé mentre l’angelo, con l’indice puntato, le sta chiaramente declamando l’annuncio: è palese che, in una raffigurazione del genere, le mani indichino il fatto che Maria stia prendendo atto degli eventi che le sono stati comunicati. Tuttavia, in Antonello le cose sono rese più complicate dal fatto che una sola delle due mani viene portata avanti, così che l’altra possa avvalorare ipotesi di natura diversa.

Antonello da Messina, Annunciata, Particolare del volto
Antonello da Messina, Annunciata, Particolare del volto

Dirck Bouts, Annunciazione
Dirck Bouts, Annunciazione (1450-1455 circa; tempera su tela, 90 x 74,6 cm; Malibu, Getty Museum)

Tre anni fa, uno studioso siciliano, Giovanni Taormina, ha proposto una nuova interpretazione, anche alla luce del fatto che il libro davanti all’Annunciata potrebbe essere un manoscritto con il Magnificat (si intravede infatti una “M” maiuscola all’inizio della pagina sollevata dal vento). Vale la pena parlarne anche perché uno dei massimi studiosi di Antonello, Mauro Lucco, ha avuto il ruolo di “presentatore” della conferenza durante la quale Taormina ha presentato il suo studio. Il titolo, Il mistero svelato, non è certo di quelli che meglio si attagliano a uno studio di storia dell’arte, per via del suo mix di pretenziosità (dal momento che non è stato svelato alcunché: si tratta di un’ipotesi) e di quell’esoterismo che fa apparire come un “mistero” qualunque normalissima questione iconologica, ma i contenuti sono interessanti. Taormina parte dal presupposto che la “M” di cui si diceva sia una M in scrittura onciale (un tipo di scrittura dalle forme piene e sinuose, molto usata nei manoscritti medievali soprattutto in area mediterranea), la cui rotondità rimanderebbe al cerchio inteso come simbolo di perfezione: indizi che lasciano supporre che quella lettera indichi proprio l’inizio del Magnificat, la preghiera che, secondo il Vangelo di Luca, Maria eleva a Dio durante l’incontro con la cugina Elisabetta, episodio successivo al momento dell’Annunciazione. Nel Vangelo si dice che durante l’incontro “Elisabetta fu piena di Spirito Santo”: Taormina sostiente che il Magnificat presente nel libro sia un indizio che rivela, nel dipinto, la presenza dello Spirito Santo che si manifesta nella forma del vento che solleva le pagine (anche in accordo alla radice etimologica del termine “Spirito”: pensiamo solo al verbo “spirare”, per non parlare dei termini in greco e in ebraico con cui si esprime la parola “Spirito” e che hanno tutti a che fare con i concetti di vento, soffio, respiro). Inoltre, il sorriso accennato dalla bocca della Vergine stride con un eventuale moto di sorpresa suggerito dalle mani: Antonello, se avesse voluto comunicare la sensazione di sorpresa, avrebbe dovuto dipingere sul volto della Madonna un’espressione più coerente. Si tratterebbe dunque di una posa volta a comunicare consapevolezza. Se l’ipotesi corrispondesse al vero, Antonello avrebbe di fatto reinventato un’iconografia.

Che si voglia considerare convincente o meno l’ipotesi summenzionata, c’è un punto su cui Taormina concorda con tutta la critica: l’Annunciata di Antonello è risultato di un preciso ordine geometrico, come detto sopra. Si avverte la lezione di Piero della Francesca, autore che Antonello ben conosceva, e da cui riprende la tendenza a regolare la composizione secondo, appunto, principî geometrici ben definiti, e a inquadrare le sue scene in rigorose impostazioni prospettiche. L’indizio da molti ritenuto più rivelatore dell’aggiornamento di Antonello sulle conquiste della prospettiva è proprio la mano destra raffigurata in un mirabile e sofisticato scorcio che rimanda direttamente all’arte di Piero, come notava già Roberto Longhi nel 1914, mettendo in relazione la mano dell’Annunciata con quella della dama che compare dietro la regina di Saba nell’affresco con l’Adorazione del sacro legno e l’incontro con re Salomone che il pittore toscano aveva inserito nelle celeberrime Storie della Vera Croce nella chiesa di San Francesco ad Arezzo. Longhi dapprima forniva una splendida descrizione della mano: “la destra s’avanza inclinata a tentare cautamente il limite possibile del volume; trovatolo s’arresta, mentre, contrapposto, il libro alza sull’aria il fendente affilato del suo foglio candido”. E quindi passava a individuare i riferimenti: “senza la mano inclinata e spianata d’ombra e di luce della dama dietro il capo della Regina Saba, presso il ponte, non sarebbe esistita la mano della Annunciata di Palermo, la più bella mano che io conosca nell’arte”. Una mano che, dunque, serve anche a creare uno spazio tra l’Annunciata e noi: il gesto ci fa avvertire in modo tangibile la distanza che separa l’Annunciata da noi e contribuisce a renderci ancor più edotti di quel duplice ruolo che Antonello ci invita ad assumere e di cui aveva parlato lo storico dell’arte inglese John Shearman nel 1992: di fatto, il nostro può essere il punto di vista dell’angelo o quello di semplici spettatori della scena.

Piero della Francesca, Adorazione del Sacro Legno e incontro tra Salomone e la Regina di Saba
Piero della Francesca, Adorazione del Sacro Legno e incontro tra Salomone e la Regina di Saba, particolare (1452-1458; affresco, 336 x 747 cm; Arezzo, San Francesco)

Antonello da Messina, Annunciata, Particolare delle mani
Antonello da Messina, Annunciata, Particolare delle mani

Icona bizantina del Duomo di Fermo
L’icona bizantina del Duomo di Fermo
Ma è proprio l’eventualità di calarci nei panni dell’angelo, e dunque la forte connessione che il pittore crea tra noi e il dipinto, la grande novità introdotta da Antonello, l’elemento che rende il quadro “un’immagine rivoluzionaria” tale per cui “l’Annunciata di per sé sola presuppone l’angelo, vicariato nelle sue funzioni dallo spettatore stesso” (così il succitato Mauro Lucco nel catalogo della grande mostra che le Scuderie del Quirinale dedicarono ad Antonello nel 2006). Federico Zeri pensava che l’opera fosse stata realizzata insieme a un pendant mai arrivatoci: tuttavia non ci sono, sulla tavola, segni che potrebbero far pensare a eventuali legature con altri dipinti. E lo stesso vale per l’altra Annunciata, quella che aveva dato il via alla rivoluzione iconografica operata da Antonello: è la tavola, oggi a Monaco di Baviera, che il pittore siciliano aveva realizzato appena un paio d’anni prima dell’Annunciata di Palermo (ammesso di accettare le datazioni più diffuse: 1476, dopo il soggiorno a Venezia, quella di Palazzo Abatellis, e 1474-1475 circa, subito prima della trasferta, quella della Alte Pinakothek) e nella quale aveva per la prima volta eliminato la figura dell’angelo, trattando la sua Virgo annunciata alla stregua d’un ritratto fiammingo (anche per via del fondo scuro) e conferendo a noi che osserviamo il ruolo di interlocutori di Maria. C’erano dei precedenti, nelle pose e nella scelta di alcuni particolari: sempre nel catalogo di cui sopra, Marco Collareta ricordava che, per spiegare l’Annunciata di Monaco, sono state chiamate in causa un’icona bizantina conservata nel Duomo di Fermo (per le mani raffigurate nella solita posizione) e conosciuta da Antonello forse durante il viaggio per Venezia, nonché una Madonna del cosiddetto Maestro E.S., aggiornato incisore tedesco attivo nella metà del Cinquecento (per il parapetto). Quello che però differenzia le tavole di Antonello da Messina da tutti i suoi predecessori, è l’inserimento della Vergine in un contesto narrativo, come ha ricordato anche lo storico dell’arte Lorenzo Pericolo, che per spiegare l’atteggiamento della Madonna ha proposto piuttosto un paragone con la Madonna Annunciata che compare nel Polittico dell’Agnello mistico del fiammingo Jan van Eyck: è un po’ come se Antonello avesse voluto fare un primo piano sul volto e sulle mani di Maria.

Antonello da Messina, Annunciata
Antonello da Messina, Annunciata (1474-1475 circa; olio su tavola, 43 x 32 cm; Monaco di Baviera, Alte Pinakothek)

L’Annunciata di Palermo è la tappa finale della rivoluzione di Antonello. Il coinvolgimento dello spettatore qui è maggiore che nell’omologa tavola di Monaco di Baviera. Il pittore ha rimosso il parapetto che creava un limite fisico tra noi e la Vergine. I gesti e la disposizione mentale, nota ancora Collareta, mostrano apertura nei confronti del mondo esterno, vengono rimosse le barriere tra lo spazio del dipinto e lo spazio reale, c’è continuità tra le movenze di Maria, il suo sconvolgimento interiore, il nostro rapporto con lei. Per dirla breve: è un dipinto estremamente moderno, che segna una tappa fondamentale della storia dell’arte occidentale. E, a costo di essere banali, si può dire che l’Annunciata di Antonello da Messina sia un dipinto di una bellezza disarmante. La sua Vergine è bella perché pura ma allo stesso tempo terrena, eterea e naturale, solenne ma vicina e palpitante. Un’opera che, come ha ben scritto Gioacchino Barbera, “è sorprendente nella sua capacità di rappresentare, con così convincenti senso del volume e prospettiva, un tipo di bellezza mediterranea idealizzata in un’immagine che è contemporaneamente astratta e realistica”.

Bibliografia di riferimento

  • Lorenzo Pericolo, The invisible presence: cut-in, close-up, and off-scene in Antonello da Messina’s Palermo Annunciate in Representations, Vol. 107, No. 1, University of Carolina Press, 2009, pp. 1-29
  • Teresa Pugliatti, Antonello da Messina: rigore ed emozione, Kalós, 2008
  • Paolo Biscottini, Antonello da Messina: l’Annunciata, Silvana Editoriale, 2007
  • Mauro Lucco (a cura di), Antonello da Messina, catalogo della mostra (Roma, Scuderie del Quirinale, 18 marzo - 25 giugno 2006), Silvana Editoriale, 2006
  • Gioacchino Barbera, Keith Christiansen, Andrea Bayer, Antonello da Messina Sicily’s Renaissance Master, catalogo della mostra (New York, Metropolitan Museum, 13 dicembre 2005 - 5 marzo 2006), Metropolitan Museum of Art, 2005
  • Giulio Carlo Argan, Vincenzo Abbate, Eugenio Battisti, Palazzo Abatellis di Palermo, Novecento, 1992
  • Eugenio Battisti, Antonello: il teatro sacro, gli spazi, la donna, Novecento, 1985
  • Sixten Ringbom, Icon to narrative. The rise of the dramatic close-up in fifteenth-century devotional painting, in Acta Academiae Aboensis, Ser. A, Vol. 31, no. 2, Åbo Akademi, 1965


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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