Tutti coloro che, a Milano, visitano il Castello Sforzesco, più o meno a metà percorso si trovano, quasi all’improvviso, in una sala tanto insolita quanto suggestiva: al di sopra delle pareti, infatti, il visitatore vede intricate fronde di alberi e piante che si sviluppano fino a raggiungere il centro del soffitto, dove campeggia lo stemma partito Sforza-Este. Non sembra di trovarsi all’interno della Torre Falconiera, una delle due torri quadrate del Castello che dànno verso Parco Sempione: si ha invece l’impressione di essere sotto un lussureggiante pergolato e di trovarsi immersi in una vegetazione folta, ma curata con precisione. È la Sala delle Asse, forse l’ambiente più famoso del Castello, ed è opera di Leonardo da Vinci (Vinci, 1452 - Amboise, 1519).
Per iniziare a conoscere la storia di questo ambiente, è possibile partire proprio dallo stemma sul soffitto: perché la decorazione della sala viene commissionata a Leonardo da Ludovico il Moro (Milano, 1452 - Loches, 1508), duca di Milano, che nel 1491 aveva sposato Beatrice d’Este, all’epoca una ragazzina di ventitré anni più giovane di lui (un matrimonio combinato secondo le logiche dell’epoca, con il fine di consolidare l’unione tra le famiglie Sforza ed Este). Il duca incarica Leonardo di dipingere la “camera grande da le asse”, come apprendiamo da una lettera che il cancelliere ducale Gualtiero Bescapè invia allo stesso Ludovico il Moro nell’aprile del 1498, e il pittore, a sua volta, “promete finirla per tuto Septembre”. Il nome con cui il cancelliere si riferisce alla stanza, “camera grande da le asse”, potrebbe essere dovuto al fatto che anticamente l’ambiente era foderato con grandi pannelli di legno, che avevano una funzione pratica principale, ovvero quella di isolare il locale: la Sala delle Asse infatti è una camera esposta verso nord, con due pareti direttamente comunicanti con l’esterno... e il tutto la rende uno degli ambienti più freddi del Castello. I pannelli di legno servivano quindi per rendere la sala più confortevole. L’interpretazione è favorita dalla stessa lettera del cancelliere, che ci fa sapere che Leonardo “desarmarà la Camera grande da le asse”, ovvero “smonterà i pannelli” per lavorare alla decorazione. Non sappiamo, tuttavia, quale fosse la funzione pratica della sala. L’unica cerimonia svoltasi in periodo sforzesco nella Sala delle Asse di cui si ha notizia è l’assunzione della tutela del giovane Gian Galeazzo Sforza da parte di Ludovico il Moro, tenutasi nel 1480: una celebrazione importante, perché attraverso di essa Ludovico il Moro diventava ufficialmente reggente del ducato (il duca Gian Galeazzo, che sarebbe poi morto nel 1494 facendo sì che il titolo venisse assunto dal Moro, all’epoca era ancora un bambino). È dunque probabile che la Sala delle Asse fosse una camera di rappresentanza, o comunque un ambiente destinato a riunioni e cerimonie.
Leonardo da Vinci, Stemma Sforza-Este, particolare delle decorazioni della Sala delle Asse (1498; pittura a tempera su intonaco; Milano, Castello Sforzesco). Credit |
Leonardo da Vinci, Soffitto della Sala delle Asse (1498; pittura a tempera su intonaco; Milano, Castello Sforzesco) |
Quello che all’apparenza ci appare come un semplice pergolato frondoso nasconde, in realtà, un programma iconografico volto a celebrare il potere di Ludovico Sforza e anche a ricordare Beatrice d’Este, scomparsa nel 1497. Lo studioso Pietro Marani, tra i maggiori esperti dell’arte di Leonardo da Vinci, nel 1982 propone, per la prima volta, di identificare i sedici alberi dipinti dall’artista toscano nella Sala delle Asse con sedici piante di gelso: il nome della pianta in latino è infatti Morus, un chiaro riferimento al soprannome del duca di Milano. Ma non è tutto: il gelso costituisce infatti anche un rimando simbolico alla saggezza del duca. In un passo della Naturalis historia di Plinio il Vecchio, un’opera che Leonardo da Vinci conosce bene pur avendo forti lacune nel latino, l’autore descrive la pianta in questi termini: serotino quaedam germinatu florent maturantque celeriter, sicuti morus, quae novissima urbanarum germinat nec nisi exacto frigore, ob id dicta sapientissima arborum. sed cum coepit, in tantum universa germinatio erumpit, ut una nocte peragatur etiam cum strepitu (“alcune piante fioriscono durante la germinazione e maturano più velocemente: tra queste c’è il gelso, che delle piante coltivate è l’ultima a germogliare, in quanto lo fa solo quando è finito il freddo, e per questo è detta ’la più saggia delle piante’. Ma quando inizia a germogliare, lo fa anche nello spazio di una sola notte, tanto che si può addirittura sentire far rumore”). Il gelso, infine, è anche un riferimento all’allora situazione economica del ducato di Milano. Questa pianta infatti è un importante alimento per il baco da seta: già nel 1442 Filippo Maria Visconti, attraverso un decreto, aveva favorito la nascita di numerose seterie nel territorio del ducato, al fine di dipendere meno dalle importazioni. La produzione di seta aveva dunque conosciuto un notevole incremento, e per poter soddisfare le esigenze delle nuove attività si rendeva necessaria la creazione di coltivazioni di gelsi per l’allevamento dei bachi: la presenza del gelso nella Sala delle Asse è stata dunque vista anche come un omaggio alla produttività economica della Milano sforzesca, alla quale la produzione della seta contribuiva in maniera determinante. Ancora, il fatto che i tronchi dei gelsi assumano la forma di robuste colonne ha portato lo stesso Marani ad avvicinare gli alberi di Leonardo alle cosiddette "colonne ad tronchonos“, ovvero lavorate in modo che assumano la forma di tronchi d’albero, che caratterizzano una fortunata architettura della Milano quattrocentesca, e cioè uno dei portici della canonica di Sant’Ambrogio, su cui era intervenuto Donato Bramante. Dunque, il gelso così raffigurato celebra Ludovico il Moro anche come ”colonna" dello Stato sforzesco.
Leonardo da Vinci, I gelsi nella sala delle Asse (1498; pittura a tempera su intonaco; Milano, Castello Sforzesco). Credit |
Il gelso, tuttavia, non è l’unico motivo iconografico nella Sala delle Asse. Tra i rami possiamo infatti notare intrecci di corde dorate: un altro possibile rimando alla produzione di seta, ma anche allusione al matrimonio tra Ludovico e Beatrice (il nodo è infatti un simbolo coniugale). Occorre però spendere qualche parola in più su queste corde, che assumono la forma dei cosiddetti "nodi vinciani": si tratta di complicati intrecci che ricordano quelli delle ceste di vimini prodotte a Vinci, il borgo in cui Leonardo nasceva nel 1452 (e il cui stesso toponimo probabilmente si riferisce alla cospicua presenza di salici viminali - nella parlata locale vinci o vinchi - nelle campagne attorno al borgo). Costituiscono un motivo ricorrente nell’arte di Leonardo: li troviamo in diversi disegni (quasi che Leonardo si divertisse a eseguire questi schizzi) e anche in alcune opere, per esempio nella Dama dell’ermellino. In molti si sono affannati a trovare astrusi rimandi simbolici per questi intrecci: non sembrano sussistere però ragioni diverse da quelle meramente decorative (o, tutt’al più, dal rimando ai dolci vinci di dantesca memoria - Paradiso, XIV, 129 - che sottendono, appunto, un legame amoroso).
Leonardo da Vinci, Dettagli della decorazione della Sala delle Asse (1498; pittura a tempera su intonaco; Milano, Castello Sforzesco) |
A seguito della fine della dominazione sforzesca su Milano, il Castello (e con esso la Sala delle Asse) conoscono un periodo di inarrestabile decadenza, i cui effetti appaiono in tutta la loro gravità quando l’esercito italiano, nel 1893, cede l’edificio al Comune di Milano. Il Castello, nei secoli, era stato usato come fortezza militare ma anche come prigione, e molte delle sue stanze avevano subito pesanti alterazioni: tra queste, la Sala delle Asse, imbiancata in epoca non meglio precisata. E per i milanesi era ancora simbolo della dominazione straniera: tra la fine del dominio degli Sforza e l’annessione della Lombardia al Regno di Sardegna si erano succedute, alla guida di Milano, la Francia, la Spagna e l’Austria. Il compito di capire come recuperare il Castello tocca a un importante architetto del tempo, Luca Beltrami (Milano, 1854 - Roma, 1933), che propone di restaurare tutto l’edificio e di destinare i suoi spazi a servizi di pubblica utilità, come musei e scuole.
La Sala delle Asse viene riscoperta nel 1893, praticamente all’inizio dei lavori di ristrutturazione, grazie anche al determinante contributo dello storico dell’arte tedesco Paul Müller-Walde (Eberswalde, 1858 - Berlino, 1931). Müller-Walde è alle prese con lo studio dell’opera di Leonardo e viene a conoscenza del fatto che potrebbero esserci pitture dell’artista toscano nei cosiddetti “camerini” della parte nord del Castello. Beltrami, grazie anche alla consulenza fornita da Müller-Walde, fa eliminare l’intonaco che copriva le decorazioni di Leonardo e riesce così a riportare alla luce il frondoso pergolato che il genio di Vinci aveva immaginato per Ludovico il Moro. Rimangono ancora da sciogliere alcuni nodi circa i rapporti, non proprio idilliaci, tra Beltrami e Müller-Walde (nei suoi scritti, lo storico dell’arte tedesco lamenta l’ostruzionismo nei suoi confronti, forse perché altri studiosi coinvolti nei lavori non volevano che i meriti di scoperte così importanti fossero attribuiti a uno straniero), ma sta di fatto che le pitture riemergono e Beltrami ordina un restauro che viene eseguito dal pittore Ernesto Rusca.
Data la delicatezza dell’opera, le decorazioni di Leonardo subiranno altri interventi nel corso della storia, l’ultimo dei quali è iniziato nel 2013 ed è tuttora in corso: c’è stata una momentanea riapertura della Sala delle Asse durante l’Expo 2015, mentre attualmente la Sala è aperta ma è consentito ai visitatori il solo transito, senza la possibilità di soffermarsi per osservare bene le pitture. Il restauro, affidato all’Opificio delle Pietre Dure di Firenze, si pone diversi obiettivi, come indicato nella pagina del sito web dedicata ai lavori: si tratta di un restauro conservativo con lo scopo di “indagare ed eliminare le cause del deterioramento delle pitture; identificare attraverso indagini gli strati di ridipintura e gli interventi che si sono succeduti nel tempo; valutare la possibilità di un recupero della leggibilità della decorazione nel rispetto della storia conservativa dell’opera”. L’Opificio specifica anche che “l’avvio dei lavori è stato preceduto da due anni di studio che hanno portato anche ad alcune novità storiche di notevole rilevanza”: per esempio, si è scoperto che sotto gli Sforza, la “Sala delle Asse” era nota come “Camera dei Moroni” (dove con “Moroni” si identificano le piante di gelso). Lavori, dunque, di estrema importanza per un caposaldo della produzione di uno dei più grandi artisti della storia dell’arte.
Bibliografia di riferimento
Attuale cantiere di restauro della Sala delle Asse. Foto distribuita con licenza Creative Commons da fanpage.it |
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).