Chi, fino al 5 giugno, vorrà entrare al CAMeC di Spezia (città dal cui toponimo, in qualità di abitante della zona, ometto con cura l’articolo) per vedere come un gruppo di tredici artisti contemporanei s’interroga sul concetto di comunità nella società odierna, non farà male a rispolverare Umberto Eco per leggere un suo articolo dello scorso anno, peraltro incluso nella solita raccolta postuma pubblicata a poche ore di distanza dalla sua scomparsa (per l’esattezza, appena tre giorni dopo le esequie), che potrebbe fornire qualche spunto (se in positivo o in negativo dipende dalla sensibilità e dalle visioni del lettore) per avvicinarsi alla mostra #community! La comunità attraverso lo sguardo di artisti contemporanei, a cura di Cinzia Compalati e Andrea Zanetti. Nel suo articolo, Eco cita Zygmunt Bauman, teorico della società liquida, per provare a dare di quest’ultima una definizione commestibile e adatta anche a un pubblico non avvezzo ai trattati di sociologia. Dice Eco: “Per Bauman tra le caratteristiche di questo presente”, ovvero il tempo in cui viviamo, il tempo della “società liquida”, “si può annoverare la crisi dello Stato”. Le “entità supernazionali”, del resto, hanno limitato il potere decisionale degli stati nazionali, continua Eco. Dunque “scompare un’entità che garantiva ai singoli la possibilità di risolvere in modo omogeneo i vari problemi del nostro tempo, e con la sua crisi ecco che si sono profilate la crisi delle ideologie, e dunque dei partiti, e in generale di ogni appello a una comunità di valori che permetteva al singolo di sentirsi parte di qualcosa che ne interpretava i bisogni. Con la crisi del concetto di comunità emerge un individualismo sfrenato, dove nessuno è più compagno di strada di ciascuno ma antagonista, da cui guardarsi”. Un individualismo che avrebbe “minato le basi della modernità”: scomparirebbero i punti di riferimento e “tutto si dissolve in una sorta di liquidità”.
Mancherebbero le certezze, insomma: la società liquida si fonda su strutture in costante cambiamento. Certo: riecheggiando Esterházy, si potrebbe pensare che in realtà non sia mai esistita un’epoca in cui ci fossero certezze assolute, e che la storia abbia conosciuto sempre e soltanto “epoche di transizione”. Il fenomeno della liquidità, tuttavia, sarebbe nuovo per Bauman: ci troviamo, secondo il sociologo polacco, in un’era in cui tutto il sistema di valori su cui la nostra società e il nostro senso d’appartenenza si sono fondati (tradizioni, legami stabili, regole) è andato incontro a una progressiva frantumazione. “Uso la parola ’liquida’”, ha scritto Bauman, “perché la modernità liquida non può stare in piedi e mantenere la stessa forma a lungo”. E se mancano le certezze, le relazioni sociali, secondo questa visione, non possono che vacillare. A cominciare da quello che è considerato come il nucleo fondamentale della società, la famiglia, perché l’insicurezza fa sì che anche le relazioni affettive diventino liquide, fragili, delicate. Bauman parlava di questi argomenti in Liquid love, libro uscito in Italia col titolo “Amore liquido”. Al CAMeC la fragilità dei legami affettivi è abilmente descritta da Stefano Lanzardo nella sua installazione Domenica mattina. Quattro figure, che ci appaiono come avvolte da una nebbia che cela i tratti che dovrebbero caratterizzarle individualmente, rimangono ognuna assorta nei propri pensieri. Ci sono un padre, una madre e un bambino che non si guardano: troppo presi da se stessi per evitare di occuparsi l’uno dell’altro, con il padre che è del tutto assorbito dal tablet che tiene in mano, la madre che incede guardandosi attorno, probabilmente per verificare che qualcuno noti il suo vistoso vestiario, e il bambino che si balocca solitario con uno skateboard. Il tutto sotto lo sguardo interrogativo d’una bambina che sembra aver scorto, in questi tre personaggi, le caratteristiche di quell’individualismo di cui parla Eco. Per il quale, tuttavia, sarebbe più opportuno utilizzare un diverso aggettivo: “deteriore” è forse un termine che calza meglio. Perché non si tratta di un individualismo nel più alto senso filosofico del termine: non c’è nessuno che mira ad affrancarsi da una schiavitù opprimente col fine di ottenere una libertà di cui disporre autonomamente, non c’è nessuno che tenta di proteggere se stesso, anche in associazione col prossimo, dal dominio che la società esercita su di lui. Si tratta, al contrario, di un individualismo illusorio, fondato sul consumismo, che punta all’appagamento di desideri effimeri e di infima statura, e che ha semplicemente sostituito gli antichi dèi con divinità inedite, col risultato che l’individuo continua a essere ancora schiavo e succube. E questo aspetto è ben evidenziato da Holy writs di Zino: appesi al muro, la Bibbia e il Corano perdono consistenza fino a sgretolarsi in minuscoli pixel colorati, e sopra a un inginocchiatoio, di quelli che si possono trovare in qualunque chiesa, il testo sacro è stato rimpiazzato da un catalogo dell’Ikea.
Stefano Lanzardo, Domenica mattina (2015) |
Zino, Holy Writs (2016, particolare) |
D’altra parte, questa schiavitù è ben esemplificata da Entrelazos di Lorena Huertas, una delle personalità più forti del gruppo di #community (e non poteva che proporre una delle opere più interessanti dell’intera esposizione). Una porta è tenuta ferma da una serie di fili, rossi come il sangue, che impediscono di aprirla: il problema è che, anche qualora un animo particolarmente volenteroso e coraggioso volesse dipanare l’intricato gomitolo, oltre la porta troverebbe nient’altro che il muro. Un’opera ricca di suggestioni filosofiche, che può essere letta in tanti modi diversi. Si può agevolmente spaziare da Hobbes a Nietzsche passando per Spinoza, Stirner, Marx, fino ad arrivare, ovviamente, a Bauman, che ha scritto molte pagine sul rapporto tra libertà e sicurezza, da lui considerati “senza ombra di dubbio i due valori centrali della vita umana”, e alla base di un equilibrio spesso fragile e comunque estremamente difficile da conciliare: “nella continua ricerca di un equilibrio soddisfacente tra libertà e sicurezza pare che noi seguiamo il movimento di un pendolo più che la traiettoria di una freccia”. È forse il dilemma principale della società liquida. E ancora: “più libertà abbiamo, più ci sembra pesante e minacciosa”. La libertà, del resto, comporta degli oneri: il filo di Lorena Huertas conduce così (a ritroso, seguendo fisicamente il percorso della mostra) verso le Aggregazioni di Carolina Barbieri, la più giovane artista di #community, nata nel 1991 e quindi pienamente “inserita” nella società liquida, assieme a tanti giovani suoi (e nostri) coetanei. E all’interno di questa società, i giovani per Carolina Barbieri si muovono come fossero legati a dei fili invisibili all’interno di una prigione che non ha sbarre. Stessi volti, stessi movimenti, e di nuovo l’assenza di tratti individuali. Siamo, insomma, ancora al di qua della porta di Lorena Huertas, e ci muoviamo attraverso una libertà forse apparente, oppure forse consapevole, ma della quale non si vuol affrontare il gravoso carico.
Lorena Huertas, Entrelazos (2015) |
Carolina Barbieri, Aggregazioni (Miraggio) (2016) |
Se c’è una cosa che colpisce dell’intero percorso di #community è la prevalenza di un punto di vista pessimistico, o comunque nostalgico per un passato che, forse, non è mai neppure esistito (ma non ci dobbiamo sorprendere: è l’atteggiamento che prevale anche fuori dalle mura del CAMeC, nella vita di ogni giorno). Non possono dunque essere lette in modo positivo neppure le tenere e umane emozioni di Fa volare di Enrica Pizzicori: è retorica del ricordo raccolta in una dimensione più che privata, nella quale il concetto stesso di comunità appare come ridotto all’osso e sembra ripiegare su poche, intime certezze. L’unico spazio per uno sguardo diverso, che guarda alla società odierna forse con una certa fiducia (magari inconsapevole, ma comunque affiorante) è offerto da Se fossi più alta #2 di Roberta Montaruli: il pessimismo che si traduce in un ambiente urbano privo di presenze umane è in parte compensato dall’auspicio secondo il quale, come recita il cartellino che accompagna l’opera, “se fossimo tutti più alti vedremmo mondi diversi”. La liquidità avrà anche minato delle certezze (ammesso che, in passato, ce ne fossero) ma ha aperto a una visione pluralistica e al confronto, gli dèi del passato sono stati sostituiti da divinità ugualmente inquietanti ma non è detto che queste ultime siano definitive, ed esiste ancora la possibilità di gettare uno sguardo ulteriore per vedere quei “mondi diversi” a cui accenna l’opera di Roberta Montaruli. Un qualcosa di liquido è, per sua stessa natura, contrario a un qualcosa che rischia di irrigidirsi. Sul finale dell’articolo citato in apertura, Eco, inserendosi nel folto novero dei pessimisti, riteneva che fosse necessario “sopravvivere alla liquidità”, che tale sopravvivenza richiedesse “nuovi strumenti” (quali non è però dato sapere) e che il guaio fosse che “la politica e in gran parte l’intellighenzia non hanno ancora compreso la portata del fenomeno”. Ma se da diverso tempo a questa parte (come ricordava anche Guido Crainz su Repubblica qualche anno fa, e da allora la situazione non è di certo cambiata) la politica e, aggiungo io, la sedicente “intellighenzia” mirano all’autoconservazione, che senso ha domandarsi se sono in possesso degli strumenti per permettere a noi di vivere al meglio nel mondo odierno? L’unica conclusione è che le trasformazioni non possono che passare da noi e dai nostri sguardi, che dovrebbero spingersi più in alto per “vedere mondi diversi”. E in questo senso, le prospettive offerte da #community, un’esposizione ricca di interessanti suggestioni, sono particolarmente stimolanti.
Enrica Pizzicori, Fa volare (2015). Foto di YAB - Young Artists Bay |
Roberta Montaruli, Se fossi più alta #2 (2016, particolare) |
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).