Arte come musica: l'incontro tra Vasilij Kandinskij e Arnold Schönberg


L'arte di Vasilij Kandinskij, primo artista astratto della storia, deve molto alla musica di Arnold Schönberg: ecco come si sviluppò il rapporto tra i due grandi artisti.

Dell’arte astratta si ha spesso una percezione distorta: agli occhi di molte persone che con queste forme espressive hanno poca confidenza, le composizioni astratte paiono quasi dettate dal caso, non regolate da un ordine preciso, create attraverso la disposizione fortuita dei colori sul supporto. Per comprendere quanto realizzare un dipinto astratto richieda, in realtà, impegno, ispirazione e dedizione, sarebbe sufficiente pensare al dipinto come a una sinfonia: così come è impossibile comporre una melodia armoniosa disponendo le note a caso sul pentagramma, allo stesso modo è impossibile creare un quadro suggestivo tirando pennellate alla bell’e meglio. In sostanza, l’arte è come la musica. E non si tratta solo di un esempio: è una premessa fondamentale per conoscere l’arte di Vasilij Kandinskij (Mosca, 1866 - Neuilly-sur-Seine, 1944).

Vasilij Kandinskij
Vasilij Kandinskij
Nel 1988, un importante filosofo francese, Michel Henry, scrisse un libro in cui intendeva svelare il significato dell’arte del grande pittore russo. E questo significato potrebbe essere tranquillamente riassunto nel titolo del libro: Voir l’invisible, ovvero “vedere l’invisibile”. Kandinskij intendeva catturare, per usare una sua espressione, il "suono interiore" degli elementi. Secondo l’artista, al di là della realtà tangibile e percepibile, esisterebbe una dimensione che non si può esprimere con le parole, o con le forme della realtà. È una dimensione, appunto, invisibile, fatta di emozioni e di spiritualità, che necessita di un linguaggio proprio, del tutto originale. Ma non solo: ogni oggetto della realtà reca un valore intrinseco che non può essere espresso con una forma che sia uguale per tutti: perché se io vedo un oggetto, posso associargli sensazioni diverse rispetto a quelle che altri proverebbero di fronte a quello stesso oggetto, e poi perché le forme sono legate ai luoghi e alle epoche. Dunque la forma rappresenta lo strumento creativo principale degli artisti e, per usare ancora le parole di Kandinskij, “la forma è l’espressione esteriore del contenuto interiore”. Ogni artista utilizzerà quindi forme che gli sono più congeniali e, si premura di sottolineare l’artista russo, ogni forma è buona per esprimere ciò che l’artista ha dentro di sé: perché “lo spirito dell’artista si specchia nella forma, e la forma porta in sé il modello della personalità dell’artista”.

Kandinskij giunse a queste conclusioni nel 1912, esprimendole in un suo articolo intitolato Über die Formfrage, “Sul problema della forma”. Per arrivare a quanto sopra ci furono però alcune tappe decisive: una di queste fu la partecipazione del pittore, il 2 gennaio del 1911, a un concerto del compositore austriaco Arnold Schönberg (Vienna, 1874 - Los Angeles, 1951). Il pittore rimase profondamente colpito dalla estasiante musica che ebbe modo di ascoltare al concerto, che si tenne a Monaco di Baviera, la città in cui viveva: tanto che decise di dar forma alle sue impressioni in un dipinto destinato a diventare uno dei suoi più celebri capolavori. Si intitola Impressione III: Concerto, e fin dal titolo possiamo notare come Kandinskij avesse la propensione a utilizzare, per i suoi dipinti, termini tratti dal lessico della musica: impressione, improvvisazione, composizione. E questo ci offre già un’idea molto interessante di quanto fossero solidi, per Kandinskij, i legami tra arte e musica. Il dipinto, conservato oggi presso la Städtische Galerie im Lenbachhaus di Monaco di Baviera, è dominato da un grande triangolo nero che si inserisce tra uno sfondo giallo e una serie di forme colorate che si dispongono nei pressi del bordo inferiore: il triangolo nero rappresenta il pianoforte, mentre le forme collocate sulla sua diagonale, in basso a sinistra, sono gli spettatori del concerto. La grande massa gialla, probabilmente, è interpretabile come il suono del pianoforte che investe il pubblico e lo accende di fervore: non sembra strano individuare persone che si protendono in avanti per applaudire il musicista. Musicista che, nel nostro caso, è una donna, Etta Werndorff, che suonò al concerto a cui assistette Kandinskij, e che appare certo molto più evidente nei due schizzi realizzati su carta per il dipinto, che nell’opera finita. Gli schizzi, peraltro, ci aiutano a individuare meglio le figure che appaiono sull’estrema sinistra, e che dovrebbero essere altri musicisti che suonarono al concerto. La figura che appare come un rettangolo bianco sovrastato da un tondo porpora e attraversato da una linea diagonale nera dovrebbe essere il soprano Marie Gutheil-Schoder, mentre le figure attorno a lei sono state identificate come i componenti del Rosé Quartet, che suonò i brani per archi di Schönberg nel concerto di Monaco. Inoltre, i due disegni che precedettero l’opera, sono fondamentali anche per comprendere il processo creativo di Kandinskij: tra il primo e il secondo la differenza è, infatti, abissale. Se nel primo potevano ancora trovare un accenno delle tradizionali regole della pittura (vediamo come la sala da concerto sia scalata in prospettiva), e ogni elemento è ancora facilmente intuibile, il risultato finale ci pone di fronte a un’opera in cui il grado d’astrazione è ben più elevato: diventa addirittura difficile individuare il lampadario ben riconoscibile nel primo disegno (forse, nel dipinto Kandinskij lo ha reso con i segni blu sopra al pianoforte).

Vasilij Kandinskij, Impressione III (Concerto)
Vasilij Kandinskij, Impressione III (Concerto) (1911; olio su tela, 77,5 x 100 cm; Monaco di Baviera, Städtische Galerie im Lenbachhaus)


Vasilij Kandinskij, Primo schizzo per Impressione III (Concerto)
Vasilij Kandinskij, Primo schizzo per Impressione III (Concerto) (1911; carboncino su carta, 10 x 14,9 cm; Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Pompidou)


Vasilij Kandinskij, Secondo schizzo per Impressione III (Concerto)
Vasilij Kandinskij, Secondo schizzo per Impressione III (Concerto) (1911; carboncino su carta, 10 x 14,8 cm; Parigi, Musée National d’Art Moderne, Centre Pompidou)


Arnold Schönberg
Arnold Schönberg
Entusiasta dell’ispirazione che il concerto gli aveva suscitato, un paio di settimane più tardi Kandinskij prese carta e penna e scrisse a Schönberg, che gli rispose di buon grado: iniziò così uno dei più interessanti rapporti epistolari del ventesimo secolo. La prima lettera di Kandinskij era datata 18 gennaio 1911: in essa, il pittore si premurava di comunicare al compositore quanto i due avessero in comune, perché Schönberg, a detta di Kandinskij, era riuscito a ottenere, in musica, ciò che l’artista russo intendeva raggiungere in pittura. Per usare le sue parole: la “dissonanza”, ovvero un’arte libera dalle regole precostituite, che nascesse dal sentire dell’artista e non dall’apprendimento accademico. L’idea era quella di trovare una “nuova armonia”: Kandinskij avvertiva che la sua ricerca era totalmente conforme a quella di Schönberg, che con la sua atonalità aveva sovvertito le regole della musica classica. La musica atonale di Schönberg, semplificando, si poneva l’obiettivo di non seguire più le gerarchie tonali della tradizione: i brani musicali fino ad allora erano stati costruiti attorno a una tonica, ovvero una nota principale, che dettava il ritmo di tutta la composizione, dando luogo ad armonie sottoposte a un sistema che seguiva certe regole affinché il risultato finale appaia gradevole. Schönberg aveva messo in discussione questa tradizione: nella sua musica non esistevano note principali, ognuna aveva pari importanza, e non esistevano gerarchie invalicabili. L’importanza maggiore era conferita all’ispirazione del compositore, libero di seguire il suo istinto.

Schönberg, che peraltro si dilettava con la pittura, rispose a Kandinskij il 24 gennaio, con una dichiarazione che ci fornisce diversi elementi per comprendere il senso della sua arte (e di quella di Kandinskij): “l’arte appartiene all’inconscio! L’artista deve esprimere se stesso! E deve esprimersi in modo diretto! Non deve esprimere il proprio gusto, la propria educazione, la propria intelligenza, le proprie conoscenze o le proprie abilità. Non deve, insomma, esprimere ciò che ha acquisito, ma ciò che è innato, che è istintivo. [...] Io non credo che la pittura debba necessariamente essere oggettiva. Anzi, credo fermamente nel contrario”. Ispirato dalle ricerche di Schönberg, Kandinskij arrivò a elaborare un’arte in cui la volontà di esprimere la “dissonanza” si concretizza in toni accesi, masse di colori giustapposte, forme astratte che si sviluppano e s’inseguono come in una composizione musicale, assenza di disegno e di schemi rigidi. Kandinskij fu il primo artista a liberare l’arte dalla realtà: con lui, per la prima volta nella storia dell’arte, l’opera non intendeva più rappresentare elementi tratti dal mondo che ci circonda. Era l’inizio dell’arte astratta. E benché la prima opera astratta di Kandinskij (e di tutta la storia dell’arte) venga dalla critica individuata nel suo primo acquerello astratto del 1910 (quindi risalente a un anno prima dell’incontro con Schönberg), un ulteriore punto di svolta è offerto dalla Figura con cerchio, del 1911: il primo dipinto a olio astratto. L’artista scelse deliberatamente il titolo “Figura con cerchio” (in tedesco, Bild mit Kreis), e in più egli stesso riconosceva che quella fosse la prima opera d’arte astratta della storia: un riconoscimento di notevole importanza. Nel 1935, scrivendo al mercante d’arte Jsrael Ber Neumann, così descriveva il dipinto: “è un quadro molto grande, quasi quadrato, con forme molto vivide, e una grande forma circolare nell’angolo in alto a destra”. L’opera di Kandinskij è un trionfo di colori che assumono le forme più libere e svariate, che con tutta evidenza seguono un ritmo armonioso dettato dal sentimento dell’artista. C’è chi nel dipinto vede un volto, con tanto di occhi e bocca, chi un animale, chi ci vedrà sicuramente altro: tuttavia, ogni tentativo di ricondurre il dipinto a un elemento della realtà non può che risultare vano. Quel che conta è che i colori siano per Kandinskij come note musicali, che l’artista dispone sullo spartito per muovere l’anima di chi si trova dinnanzi all’opera.

Vasilij Kandinskij, Figura con cerchio
Vasilij Kandinskij, Figura con cerchio (1911; olio su tela, 100 x 150 cm; Tbilisi, Museo Nazionale della Georgia)

Inizialmente il pittore non fu soddisfatto di quest’opera: probabilmente sentiva di non aver espresso bene ciò che intendeva esprimere (anche se poi, più avanti nel tempo, avrebbe cambiato il suo giudizio). Si trattava comunque del segno che le sue ricerche erano ben lungi dall’aver trovato il loro compimento. Anche perché, per Vasilij Kandinskij, l’arte dovrebbe essere una risposta al mondo in cui si vive. Per lui infatti la necessità di trovare un’arte che si sganciasse dalla realtà era sintomo che l’artista stesse vivendo in un’epoca di decadenza: per usare le parole di un grande critico d’arte, Mario De Micheli, “appare evidente come per Kandinskij la nuova concezione dell’arte sia un modo di salvare se stessi fuori dalla storia”. Il pittore russo era convinto che un artista che vive in un mondo felice produca un’arte realistica, e un’arte soggettiva sia invece prerogativa di un artista che vive in un’epoca d’infelicità. “Più il mondo diventa orribile (come quello di oggi), più la nostra arte diventa astratta, mentre un mondo felice produce un’arte realistica”: è quanto scriveva Kandinskij, nel suo diario, nel 1914. Era l’anno in cui ebbe inizio la prima guerra mondiale: le strade del pittore russo e di Arnold Schönberg, che fino ad allora rimasero legati da una profonda amicizia professionale, furono costrette a dividersi. Il carteggio riprese poi nel 1922, ma l’anno successivo giunse all’orecchio di Schönberg, che era ebreo, l’infondato pettegolezzo secondo il quale Kandinskij sarebbe stato antisemita. Il pittore non poteva accettare che il suo rapporto con il compositore venisse minato da una maldicenza, così i due si chiarirono, ma il carteggio continuò su toni piuttosto freddi e distaccati. Pur senza la regolarità e l’intensità della prima fase, i due seguitarono a scriversi fino al 1936. Oggi riconosciamo, in questo scambio epistolare tra due delle più influenti figure del XX secolo nei loro rispettivi campi, uno dei momenti salienti dell’arte del secolo scorso: chissà cosa sarebbe successo se il 2 gennaio del 1911 Kandinskij non avesse deciso di andare assieme ai suoi amici al concerto di Monaco di Baviera. Forse, la storia dell’arte avrebbe preso una piega diversa?

Bibliografia di riferimento

  • Vera Giommoni, Arnold Schönberg pittore, CLUEB, 2008
  • Walter Frisch, German Modernism: Music and the Arts, University of California Press, 2007
  • Hartwig Fischer, Sean Rainbird (a cura di), Kandinsky: the path to abstraction, catalogo della mostra (Londra, Tate Modern, 22 giugno - 1 ottobre 2006), Tate Gallery, 2006
  • Daniel Albright, Modernism and Music: An Anthology of Sources, University of Chicago Press, 2004
  • Fred Wassermann, Esther da Costa Meyer, Schoenberg, Kandinsky, and the Blue Rider, Scala Publishers, 2003
  • Vivian Endicott Barnet, Thomas M. Messere (a cura di), Kandinski, Mondrian: dos camins vers l’abstracció, catalogo della mostra (Barcellona, Sala d’Exposicions de la Fundació “la Caixa”, 25 novembre 1994 - 22 gennaio 1995), Fundació “la Caixa”, 1994
  • Mario De Micheli, Le avanguardie artistiche del Novecento, Feltrinelli, 1988 (prima ed. 1959)


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Federico Giannini

L'autore di questo articolo: Federico Giannini

Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).






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