Se vi troverete a discorrere di rock con qualcuno che abbia una sufficiente cultura musicale e al contempo una certa intolleranza nei confronti delle star, molto probabilmente vi sentirete dire che David Bowie non è stato un genio, perché non ha inventato alcunché. Perché il glam rock iniziato col personaggio di Rainbow man è una rielaborazione dell’estetica e delle idee di Marc Bolan e dei suoi Tyrannosaurus Rex. Perché il suo fascino intellettuale, decadente e tenebroso, non fa altro che riecheggiare quello dei Velvet Underground. Perché in realtà la new wave non è una sua invenzione, ma la conseguenza del suo soggiorno negli Stati Uniti di metà anni Settanta, dove erano già all’opera gruppi come i Television e i Devo.
David Bowie a Chicago nel 2002. Foto di Adam Bielawski |
La musica, si sa, è un terreno sul quale le opinioni si scontrano con gran frastuono. E per mille motivi è alquanto difficoltoso stabilire un canone definitivo per costruire una storia del rock inappuntabile. Ma per quanto difficile sia tale operazione, sull’eventualità di inserire il nome di David Bowie all’interno di questa storia, più o meno tutti si trovano d’accordo. Perché per entrare a far parte della storia di un’arte, non è per forza necessario aver inventato qualcosa: se la storia dell’arte si riducesse a una storia di chi ha inventato generi e forme espressive, forse si esaurirebbe in poche pagine. Il merito di un artista consiste anche nel saper rielaborare e sviluppare intuizioni altrui, magari per portarle a compimento, per raggiungere un risultato che l’inventore di un genere non era riuscito a ottenere, o anche più semplicemente per presentare le idee originali sotto una forma più innovativa, oppure più appetibile per il pubblico e quindi più apprezzata. L’11 gennaio 2016, il giorno dopo la data della scomparsa del raffinato cantante e musicista britannico, sulle pagine del Guardian è apparso un interessante ricordo di Nile Rodgers, indiscusso simbolo della musica disco. Avete presente motivi ormai celeberrimi come Le freak, c’est chic oppure Good times, these are the good times? Ecco, gli Chic e le loro due principali hit sono creature di Nile Rodgers, che aveva collaborato con David Bowie per produrre la famosissima Let’s dance, che di fatto segnò il debutto del multiforme artista inglese nella musica dance.
Rodgers ha dato di Bowie una definizione decisamente calzante: “David Bowie era il Picasso del rock’n’roll. Perché mi accorsi che lui vedeva il mondo allo stesso tempo in astratto e nel modo in cui lo vediamo noi”. Anche Picasso, a volerla vedere in un certo modo, non inventò alcunché: rielaborò le idee di Cézanne dando a queste ultime una forma incredibilmente rivoluzionaria, e tutto ciò grazie alla sua innata e fecondissima creatività. Leo Stein parlava di una “infinita inventiva” che rendeva sempre viva la sua arte: si potrebbe dire lo stesso di David Bowie. Con una differenza sostanziale: l’arte di Picasso sapeva essere spesso aggressiva e violenta, quella di David Bowie era invece elegante e signorile. Anche se c’è stato un preciso momento in cui lo stesso Bowie si è concesso alla brutale forza espressiva dell’arte di Picasso: nel video di The Hearts Filthy Lesson del 1995, ambientato in un disordinato atelier, vediamo un gruppo di artisti che danno forma a un’inquietante scultura, con il cantante che sembra far da torvo cerimoniere, una sorta di Hermann Nitsch emendato però dalla più feroce truculenza. Perché se un artista è signorile di suo, continuerà a rimaner tale anche in mezzo a colate di sangue e processi creativi che somigliano più a riti dionisiaci. Il risultato finale è la statua di un minotauro: chiaro il riferimento a Picasso, dato che il personaggio mitologico del minotauro è centrale nell’opera dell’artista spagnolo. In Picasso, banalizzando, il minotauro è una figura che incarna i più ferini e bassi istinti dell’uomo: alter ego dell’artista, essere a metà tra uomo e animale che si perde tra lotte furibonde e orge animalesche, viene infine vinto dalla sua stessa brutalità ed è costretto a essere guidato da una bambina verso una rinascita sotto il segno del vero amore. Bowie interpretò il minotauro di Picasso nel suo concept album Outside (lo stesso da cui è tratta The Hearts Filthy Lessons): qui, il minotauro è uno spietato artista contemporaneo che uccide una ragazzina per esporla come macabra opera d’arte. Verso la fine dell’album, nel brano I’m deranged, un’oscura e frenetica ballata elettronica squarciata qua e là da inserti di pianoforte, l’artista-minotauro inizia a mostrare segni di pentimento e, come in Picasso, chiede alla bambina di guidarlo: I’m deranged / Cruise me, cruise me, cruise me baby (“Sono sconvolto / Guidami, guidami, guidami bambina”).
La scena della creazione del minotauro nel video di The Hearts Filthy Lesson |
Pablo Picasso, Minotauro guidato da una bambina (1934-1935; acquatinta; Santa Barbara, Santa Barbara Museum of Art) |
Non è un mistero il fatto che Picasso fu, per il cantante, una luminosa fonte d’ispirazione. Intervistato dal giornalista Neil Strauss, David Bowie avrebbe detto che “Non puoi osservare Picasso senza essere completamente ispirato. Lui giocava sempre con la sua mente e con le sue reazioni alla vita, ed era sempre innovativo e genuino allo stesso tempo. Credo sia la conseguenza dell’essere sempre meravigliato da cosa è in grado di fare il mondo”. Forse anche per via di questa sua passione per Picasso, David Bowie nel 2003 decise di proporre una reinterpretazione della scherzosa canzone, semplicemente intitolata Pablo Picasso e scritta nel 1972 da Jonathan Richman dei Modern Lovers, che presentava il pittore spagnolo come un incallito donnaiolo di successo: Well, some people try to pick up girls / And get called assholes / This never happened to Pablo Picasso (“Beh, ci sono uomini che provano a rimorchiare le ragazze, e vengono chiamati stronzi: questo non è mai successo a Pablo Picasso”).
Nel 1994, quando David Bowie iniziò a collaborare con la rivista d’arte Modern Painters (per i quattro anni seguenti il suo compito fu quello di intervistare grandi artisti), viaggiò fino a Rossinière, il piccolo villaggio sulle Alpi della Svizzera romanda, per conversare con il grande Balthus, che sulle montagne elvetiche aveva scelto di risiedere. Un’intervista tanto più preziosa, se pensiamo che Balthus era particolarmente restio a concedersi ai giornalisti. E Bowie, per il suo esordio su Modern Painters pensò, tra le altre cose, di proporre a Balthus un parallelo tra Alberto Giacometti e Picasso. Quanto era elegante il primo (e gran disegnatore, si era premurato di sottolineare Balthus), tanto era giocoso il secondo. Balthus, parlando con Bowie, aveva ambiguamente definito Picasso “un pattinatore”. Il cantante invece continuava a proporre per Picasso lo stesso aggettivo che aveva già utilizzato in altre occasioni: childlike, difficile da rendere in italiano, perché l’infantilismo che Bowie attribuiva a Picasso era da vedersi in modo positivo. Picasso, cioè, aveva la facoltà di avvicinarsi al mondo con la fervida immaginazione d’un bambino, e di saper cogliere con stupore quasi infantile tutte le suggestioni che la realtà gli forniva.
Balthus e David Bowie (da Pinterest) |
La versatilità di Picasso è la stessa che contraddistingue David Bowie, un genio eclettico capace di filtrare gli spunti più disparati e di avvalersi di collaborazioni importanti per creare le proprie opere d’arte. Un artista capace di rivolgersi a un pubblico eterogeneo, spaziando dalla lugubre recitazione di Please, Mr. Gravedigger alle sonorità commerciali di Let’s dance passando per il rock glamour e lascivo di Suffragette City: solo tre episodi, e neanche troppo simbolici, di una carriera durata circa cinquant’anni e quindi impossibile da riassumere in poche battute. Così come impossibili da riassumere sono i riferimenti artistici che permeano di continuo la sua opera: dalle scenografie per il tour di Diamond Dogs ispirate dai dipinti di George Grosz agli abiti utilizzati nel 1979 per una performance allo show americano Saturday Night Live, che erano una diretta derivazione di quelli disegnati da Sonia Delaunay per Le coeur à gaz di Tristan Tzara, per non parlare dei numerosi rimandi a Andy Warhol. David Bowie avrà pur cavalcato le mode, e sarà pur stato pienamente inserito nel contesto dello star system internazionale, diventando a sua volta personaggio da giornali di gossip e icona pop spesso banalizzata, ma ha saputo creare opere raffinate e colte che hanno consegnato alla storia della musica la sua immagine di dandy astratto, fascinoso, sofisticato e ricco d’interessi, degno d’esser ricordato anche perché capace d’aver reso popolari generi altrimenti riservati a cerchie d’intenditori, influenzando schiere di artisti, cantanti e musicisti che a più riprese lo hanno citato tra i loro punti di riferimento.
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L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).