Tra le pareti della Rocca di Vignola, si trova una cappella ricca di fascino e colma di rimandi simbolici, che ci consente di compiere un viaggio attraverso secoli di storia: è la Cappella Contrari, le cui vicende hanno inizio probabilmente nel terzo decennio del Quattrocento, quando il signore di Vignola, Uguccione Contrari, feudatario di Niccolò III d’Este, decise di far affrescare l’ambiente del castello destinato al raccoglimento e alla preghiera. L’opera è di un artista la cui identità è al momento ignota: sono stati proposti alcuni nomi dagli storici dell’arte che si sono affannati nei tentativi d’attribuzione (si va da Belbello da Pavia a Giovanni da Modena passando per Michele dai Carri) ma, per il fatto che non esistono altre opere che siano assegnabili con assoluta certezza alla stessa mano, l’autore degli affreschi è sempre stato genericamente noto come il Maestro di Vignola.
Vista della Cappella Contrari |
Prima di addentrarci nelle scene che decorano le pareti della Cappella, diciamo che questo ambiente della Rocca è rimasto chiuso per secoli, sparendo quasi del tutto dai documenti (viene solo citato come chiesuola in un inventario del 1642 e come cappelletta un paio di secoli dopo) e di conseguenza andando incontro all’oblio. Un oblio che però ha contribuito a conservare in ottimo stato lo splendido ciclo di affreschi che decora le pareti della Cappella Contrari: grazie a due interventi di restauro, il primo condotto tra il 1991 e il 1992, e il secondo condotto tra il 2005 e il 2006, gli affreschi sono stati ripuliti, risarciti dei difetti d’adesione, e opportunamente reintegrati.
Ma qual è il motivo di questa sorta di censura che ha colpito la Cappella Contrari? Occorre, intanto, compiere un salto indietro fino al XII secolo per lambire il pensiero di Gioacchino da Fiore (1130 circa - 1202), teologo e mistico calabrese, le cui teorie incontrarono spesso, lungo la storia, vive resistenze da parte della Chiesa ufficiale: basti pensare che la causa di beatificazione si protrae da secoli, è stata riaperta solo nel 2001, ed è attualmente ferma. Il ciclo è pregno di rimandi al pensiero di Gioacchino da Fiore, tanto che potremmo definirlo un ciclo gioachimita, e tra non molto vedremo per quali ragioni. Ma i motivi per cui il ciclo di Vignola è stato a lungo dimenticato vanno ricercati anche altrove: i testi da cui principalmente attingono gli episodi raffigurati, infatti, non sono i quattro Vangeli canonici, quelli cioè ufficialmente riconosciuti dalla Chiesa a partire dal Concilio di Trento. Gli episodi sono stati ispirati soprattutto dai testi apocrifi, i libri che vengono definitivamente espunti dal Canone ufficiale della Chiesa proprio con il Concilio di Trento che, lo ricordiamo, si tenne tra il 1545 e il 1563: se fino ad allora gli apocrifi potevano anche essere accettati come fonte d’ispirazione per la raffigurazione delle opere di Gesù, da quel momento in poi furono ritenuti contrari all’ortodossia cattolica. E, come se non bastasse, la cappella è anche ricca di riferimenti simbolici che il Concilio di Trento mise definitivamente al bando: alcune di queste iconografie, furono addirittura considerate eretiche.
In realtà, per la religiosità del quindicesimo secolo non c’era alcunché di eretico: si tratta di affreschi prodotti in un tempo in cui la religione cristiana conosceva forme, tradizioni, simboli e costumi diversi rispetto a quelli che sarebbero stati stabiliti in modo rigoroso circa un secolo e mezzo più tardi. Il viaggio all’interno degli affreschi può iniziare proprio dalla volta della cappella, dove troviamo le figure dei quattro evangelisti. Possiamo facilmente notare che gli evangelisti non sono accompagnati, come ci aspetteremmo, dai loro simboli tradizionali: il leone per san Marco, l’aquila per san Giovanni, il bue per san Luca e l’angelo per san Matteo. Possiamo riconoscere gli evangelisti soltanto se siamo a conoscenza del contenuto dei loro Vangeli: ognuno degli evangelisti è infatti ritratto nell’atto di vergare un libro con una frase in grafia gotica tratta dai rispettivi Vangeli, ed è accompagnato da una figura che fa riferimento al loro contenuto. E qui già ci rendiamo conto di un dato incontrovertibile: gli affreschi erano destinati a un ambiente culturalmente molto raffinato, che conosceva profondamente i testi sacri.
Volta della Cappella Contrari, con gli evangelisti e i loro simboli. © Fondazione Rocca di Vignola |
Nella vela che sovrasta la parete d’ingresso è raffigurato san Giovanni che scrive l’inizio del suo Vangelo (In principio erat Verbum, “In principio era il Verbo”), ed è accompagnato da un albero su cui notiamo una figura a tre teste. L’episodio a lui associato, nella parete, è quello della Pentecoste. Torniamo per un attimo al pensiero di Gioacchino da Fiore: secondo il teologo calabrese, la storia del mondo sarebbe da suddividere in tre età. La prima, l’età del Padre, è quella legata all’Antico Testamento. La seconda, quella del Figlio, è quella durante la quale Gesù si è rivelato e la Chiesa ne ha diffuso il messaggio. Infine la terza è quella dello Spirito Santo: un’età di grazia, giustizia e libertà, durante la quale l’umanità potrà attendere senza timori la nuova venuta di Cristo e il giudizio finale. Anche per questo il pensiero gioachimita fu spesso contrastato: perché riteneva che l’età della perfezione, quella dello Spirito Santo, sarebbe arrivata in futuro, e di conseguenza la Chiesa romana della seconda età sarebbe stata tutt’altro che perfetta. Sarebbe stata, cioè, una sorta di progetto in fieri, in corso d’evoluzione: una Chiesa rigida e dogmatica contro quella libera, mistica e spirituale dell’età dello Spirito Santo.
La Trinità trifronte. © Fondazione Rocca di Vignola |
Abbiamo detto che alla vela di san Giovanni corrisponde l’episodio della Pentecoste: è il momento in cui lo Spirito Santo discende su Maria e sugli apostoli sotto forma di colomba e colpisce ognuno di loro a guisa di lingua di fuoco, consentendo loro di parlare tutte le lingue del mondo. La metafora segna l’inizio della predicazione del messaggio di Gesù presso tutte le genti. Si comprende dunque il perché della scena della Pentecoste: non è altro che una sorta di inno allo Spirito Santo.
La Pentecoste. © Fondazione Rocca di Vignola |
Gesù Bambino. © Fondazione Rocca di Vignola |
L’Assunzione della Vergine. © Fondazione Rocca di Vignola |
Gesù porta Maria in cielo. © Fondazione Rocca di Vignola |
Una particolare rappresentazione della Resurrezione sulla parete posta frontalmente rispetto a quella d’ingresso ci introduce a un altro tema del pensiero di Gioacchino da Fiore, quello della riconciliazione tra cristiani ed ebrei e della conversione di questi ultimi prima dell’avvento dell’età dello Spirito Santo. L’evangelista associato all’episodio è Marco, identificato dalla frase Recumbentibus undecim (“[Apparve] agli undici mentre erano a tavola”, il soggetto è Cristo risorto) e dal simbolo del Cristo con il vessillo crociato, a sua volta simbolo della Resurrezione. Notiamo che nella scena dipinta sulla parete, oltre a Maria e ai dodici apostoli che assistono all’ascesa al cielo di Gesù, compaiono a destra tre personaggi con abiti da sacerdoti. Il riferimento, in questo caso, è al Vangelo di Nicodemo, un apocrifo in cui si narra che il giorno successivo alla resurrezione di Cristo, tre uomini, Adas, Finee e Aggeo (rispettivamente uno scriba, un sacerdote e un levita), si recarono al Sinedrio, il tribunale supremo della giustizia ebraica, per testimoniare la visione di Cristo risorto: il loro racconto avrebbe dunque spinto il popolo ebraico a partire alla ricerca di Gesù. La volontà di cercare Gesù è quindi assimilabile a quella riconciliazione di cui si diceva poco sopra.
La resurrezione. © Fondazione Rocca di Vignola |
Il serpente della rigenerazione. © Fondazione Rocca di Vignola |
La discesa di Cristo agli inferi. © Fondazione Rocca di Vignola |
Un programma iconografico dunque di non facile lettura, suggerito probabilmente da una figura illustre della cultura del tempo, Donato degli Albanzani (1328 circa - 1411 circa), precettore sia di Uguccione Contrari che di Niccolò III d’Este (e di quest’ultimo fu anche segretario), dotto umanista, allievo di Francesco Petrarca e custode della biblioteca del grande poeta toscano. Tutto il fascino della Cappella Contrari, ovvero di quello che un tempo era un locale riservato a pochi conoscitori dei testi sacri e della teologia di Gioacchino da Fiore, è oggi parte integrate del percorso di visita della Rocca di Vignola. E ci dà modo di entrare a contatto con uno degli ambienti più raffinati del tempo: un ambiente pregno di una cultura vivacissima e sofisticata, la cui spiritualità e le cui speranze per il futuro sono da scoprire lasciandosi guidare dalla forza delle immagini del maestro di Vignola, capaci di rendere con efficacia la straordinaria complessità di questi coinvolgenti affreschi, testimonianza di un fecondo e suggestivo legame tra religione, misticismo, arte e cultura umanista.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).