Credo deba essere cognito, saltem per fama, alla Ex. V. la condicione et summa virtù del Pontano, quale meritamente se po dire non solamente alla età nostra, ma dapoi manchò Virgilio, la natura humana non havea producto homo de magiore doctrina né valuta de luy. Dove essendome accaduto parlare longamente cum seco, havendolo visitato per nome de lo Ill.mo S. vostro Consorte, avendo io in memoria il laudabile proposito de V. S. de fare formare una statua de Virgilio, secondo il rasonamento havuto cum quella, me parse consultarlo cum sua M. dicendoli havere così ordine et commissione da Lei, narrandoli el fine che moveva il Generoso animo suo ad fare tale opera. Queste righe, che avete appena letto, costituiscono l’inizio della lettera che Jacopo d’Atri, segretario dei Gonzaga e ambasciatore di Mantova a Napoli, scriveva a Isabella d’Este (1474 - 1539) il 17 marzo del 1499. Nella missiva, l’ambasciatore riferisce di un incontro avuto con Giovanni Pontano (1429 - 1503), dotto umanista, considerato retoricamente da Jacopo d’Atri come l’uomo “de magiore doctrina” da quando “manchò Virgilio” in poi, per discutere di un’interessante idea della marchesa di Mantova: la realizzazione di una statua da dedicare a Virgilio, il grande poeta dell’antichità originario di Pietole, l’antica Andes, un villaggio alle porte di Mantova, oggi frazione del comune di Borgo Virgilio.
Un racconto dai risvolti storici non del tutto documentati, narra che a Mantova, in piazza delle Erbe, esisteva un monumento al poeta, forse un busto, che avrebbe fatto però una brutta fine sul finire del quattordicesimo secolo. Era, per la precisione, il 31 agosto del 1397: il condottiero riminese Carlo Malatesta, alleato dei mantovani all’epoca in guerra contro il Ducato di Milano, riuscì ad avere la meglio sull’esercito visconteo ed entrò trionfante in Mantova. Raggiunta piazza delle Erbe, avrebbe però rimosso la statua di Virgilio, ufficialmente in quanto ritenuto idolo pagano, ma i veri motivi rimangono sconosciuti: forse il condottiero, persona fortemente devota, era davvero disturbato dal fatto che un poeta dell’antichità fosse ancora tenuto in così alta considerazione, o probabilmente il suo fu un gesto di spregio contro la plebe che tributava sempre grandi onori al poeta, arrivando anche, pare, a decorare la statua con corone di alloro nei giorni di festa. Sappiamo tuttavia che tutti i più grandi intellettuali del tempo, a cominciare da Coluccio Salutati e Pier Paolo Vergerio, rivolsero durissime parole contro la furia iconoclasta di Carlo Malatesta, ritenendo il gesto fortemente oltraggioso e indegno di un signore del suo calibro. Non conosciamo invece la reale sorte del monumento: pare sia stato gettato nelle acque del Mincio, ma sui contorni della vicenda il dibattito storiografico è sempre stato abbastanza vivace, pur senza che si potesse giungere a una conclusione certa.
E comunque, sta di fatto che Jacopo d’Atri, Giovanni Pontano e soprattutto Isabella d’Este erano concordi sul fatto che Mantova avesse bisogno d’un monumento che celebrasse il suo figlio più illustre. E, parola di Giovanni Pontano, Pier Paolo Vergerio sarebbe stato felicissimo di sapere che una donna così giovane, come era Isabella, si sarebbe resa protagonista di un’opera tanto magnanima ed elevata. Anzi: sarebbe stato più contento de lo generoso animo di Isabella, che triste per la vergognosa azione del condottiero romagnolo. Dunque, nella lettera viene riportata anche la discussione su come avrebbe dovuto essere realizzato il nuovo monumento: il materiale più adatto sarebbe stato il marmo perché, ancora che fosse più nobile il bronzo (secondo le convizioni di Pontano), il marmo sarebbe stato più indicato perché il bronzo avrebbe corso il pericolo che ad qualche tempo non se ne facesse campane, o bombarde. Insomma, si temeva una nuova distruzione del monumento. La statua, ancora secondo la descrizione riportata da Jacopo d’Atri, avrebbe dovuto avere una bella base de sotto ed essere posta in luogo degno. Arrivando poi alla figura di Virgilio, per sequire el stile de li antiqui, avrebbe dovuto essere sola cum la laura in testa, et con manto a l’anticha, cum l’abito togato col groppo in su la spalla, overo col abito senatorio che è la vesta et il manto sopra, e ancora senza cosa alcuna in mano, ma la statua semplice senza libro né altro sotto, e ancora cum le scarpe a l’antiqua et de sotto la basa poche parole, cioè P. Vergilius Mantuanus, et anche “Isabella Marchionissa Mantuae restituit”, o simile.
E chi sarebbe stato l’artista incaricato di eseguire il disegno per un monumento di così grande importanza per Mantova e per la sua comunità? Ovviamente l’artista più eccelso su cui i Gonzaga potessero contare: Andrea Mantegna (1431 - 1506), che nonostante l’età piuttosto avanzata (nel 1499 aveva sessantotto anni) godeva ancora di grandissima stima non solo presso la corte gonzaghesca (malgrado qualche piccolo attrito proprio con Isabella), ma anche presso gli umanisti napoletani. Data la passione e la sensibilità di Andrea Mantegna per l’antichità classica, non poteva esserci artista più adatto per un’impresa simile. Del progetto però non sappiamo granché: oltre alla lettera di Jacopo d’Atri, l’unica altra testimonianza diretta è la risposta di Isabella d’Este, che esprimeva apprezzamento per le parole di Pontano. Rimangono, tuttavia, un paio di disegni che potrebbero essere ricondotti all’impresa: uno, in condizioni di conservazione molto precarie, è conservato presso il Gabinetto dei Disegni e delle Stampe degli Uffizi (numero d’inventario 1672 F). Il primo a ipotizzare che il disegno sia stato realizzato nell’ambito del progetto, è lo storico dell’arte David Ekserdijan: tuttavia, lo stato in cui versa non permette di formulare ipotesi solide. Mancherebbe, per esempio, l’attributo della corona d’alloro (o, se c’è, non sarebbe più leggibile), e ovviamente mancano documenti che possano stabilire in che occasione il disegno fu realizzato.
Esiste poi, al Louvre, un disegno, meglio conservato rispetto a quello degli Uffizi ma di minor finezza esecutiva, e quindi probabilmente opera di scuola, che raffigura un ipotetico monumento a Virgilio rappresentato più o meno come nella descrizione della lettera di Jacopo d’Atri: è una figura dignitosa e severa, vestita con l’abito senatorio e coronata d’alloro. Rispetto alla lettera, il Virgilio mantegnesco ha però un libro in mano, simbolo della sua poesia, e l’iscrizione sulla base, decorata con putti che richiamano la classicità e con i festoni tipici dell’arte di Mantegna, differisce leggermente da quella proposta da Pontano. Benché i tratti dell’opera siano quelli duri e forti, tipici di Andrea Mantegna, è assai probabile che non si tratti di un autografo, anche perché il disegno è stato vistosamente ripassato, e questo pregiudica le valutazioni: oggi si tende quindi a considerarlo opera della sua cerchia.
Il progetto, tuttavia, non trovò mai compimento: forse, Isabella d’Este era presa da troppi pensieri e da troppi progetti (proprio nel 1499, peraltro, arrivò a Mantova Leonardo da Vinci) e Mantegna, data l’età avanzata, non aveva voglia né poteva permettersi di trascinarsi dietro per molto tempo un’opera così impegnativa e su cui gravavano diverse incognite. L’artista sarebbe scomparso appena sette anni dopo, nel 1506, e con lui se ne andò anche il sogno di ridare a Mantova un monumento al suo Virgilio. La città che ha sempre amato il poeta dovette aspettare fino all’Ottocento per vedere Virgilio onorato con una grande statua: ma questa è un’altra storia.
Cerchia di Andrea Mantegna, Monumento a Virgilio (disegno; 1499 circa; Parigi, Louvre, Cabinet des dessins; inv. RF 439) |
Gli autori di questo articolo: Federico Giannini e Ilaria Baratta
Gli articoli firmati Finestre sull'Arte sono scritti a quattro mani da Federico Giannini e Ilaria Baratta. Insieme abbiamo fondato Finestre sull'Arte nel 2009. Clicca qui per scoprire chi siamo