La vicenda dei nuovi direttori dei musei, di cui anche noi abbiamo parlato a più riprese e alla quale abbiamo dato ampio spazio sia sulla nostra rassegna stampa che sulla nostra pagina Facebook, continua a tenere banco e a essere costantemente al centro dell’attenzione di un numero ormai altissimo di commentatori. Spesso, però, il dibattito ha perso di vista quello che probabilmente è l’aspetto più importante della questione: i problemi che i nuovi direttori dovranno affrontare.
Onestamente, fa un po’ sorridere leggere certi commenti di chi pensa bastino un buon ristorante, un bel bookshop e una rete wi-fi per far diventare moderni i nostri musei, magicamente e tutto d’un tratto. Certo, rendere più confortevoli le esperienze di visita di chiunque si rechi nei nostri musei, è un aspetto di grande importanza, ma c’è anche da tener conto del fatto che se oggigiorno molti musei sono lacunosi in fatto di comfort per i visitatori, ciò si deve a un generale disinteresse della politica nei confronti dei beni culturali. Un disinteresse che perdura da anni e da cui speriamo di risollevarci, ma che ha causato non poche difficoltà agli istituti del nostro paese.
Il primo e più urgente problema è la ormai endemica mancanza di fondi entro la quale i nostri musei sono costretti a lavorare. A partire dal 2008, il Ministero dei Beni Culturali ha subito continui tagli che lo hanno privato di circa il 25% delle risorse di cui poteva contare sette anni fa: si è passati dagli oltre due miliardi di euro del 2008, al miliardo e mezzo previsto dal bilancio preventivo del MiBACT per il 2015. Sono stati messi in conto piccoli incrementi nei bilanci 2016 e 2017, ma per tornare ai livelli del 2008 probabilmente ci sarà da aspettare. È chiaro che, in una situazione di limitatezza di risorse, i nuovi direttori avranno compiti non dissimili da quelli dei loro predecessori. Possiamo dunque ipotizzare che cercheranno di copiare il più possibile gli ex direttori, laddove questi ultimi sono riusciti, nelle difficoltà e nelle ristrettezze, a dirigere in maniera egregia i loro musei? Si fa un gran parlare di Antonio Natali, che dal 2006 dirigeva gli Uffizi: un grande professionista che ha saputo allestire un nuovo percorso espositivo in grado di dare maggior leggibilità alle opere, di inventarsi un progetto come La città degli Uffizi che ha portato mostre serie e di alto valore con le opere degli Uffizi in giro per l’Italia, di riuscire a far eseguire i lavori di restauro e riallestimento senza mai chiudere. E, cosa non da poco, Natali è stato in grado di dare, per le mostre organizzate all’interno degli Uffizi, un indirizzo molto serio.
Così scriveva nella presentazione della mostra Il Gran Principe Ferdinando de’ Medici (1663-1713) Collezionista e mecenate, svoltasi agli Uffizi nel 2013: “Davvero si crede che gli Uffizi non sarebbero capaci d’approntare ogni anno esposizioni sui feticci dell’industria culturale, da Botticelli agl’impressionisti? La Galleria è assolutamente consapevole che quell’esposizioni la renderebbero assai più gradita a chi crede che la “valorizzazione” sia solo questione di soldi. Il museo fiorentino ritiene invece che la “valorizzazione” riguardi prima di tutto la coscienza storica, l’intelligenza, la cultura e il gusto di quei giovani che domani, proprio in virtù di queste doti della mente e del cuore, si spera possano rendere il nostro paese migliore di quello che noi abbiamo loro lasciato”. Parole altissime che ci dimostrano come la Galleria degli Uffizi, sotto la direzione di Antonio Natali, abbia preferito investire in mostre importanti, di ricerca, divulgazione e vera valorizzazione, ottenendo peraltro anche buoni riscontri di pubblico. I nuovi direttori faranno altrettanto oppure punteranno più su eventi di cassetta?
Tuttavia, l’autonomia di cui godono i venti “super-musei” a seguito della riforma del MiBACT rende di fatto possibile a questi musei di ottenere dei ricavi propri e di disporne per finanziare le proprie attività. Prima della riforma, i ricavi erano inviati dalla tesoreria di Stato alle Soprintendenze benché spesso in misura minore rispetto a quanto effettivamente ricavato: nel caso degli Uffizi, molti degli introiti servivano per far funzionare i musei più piccoli e meno visitati. Proprio la possibilità di disporre in modo autonomo degli incassi potrebbe portare i nuovi direttori a cercare di rimpinguare le entrate: sarà dunque questo il viatico che aprirà la strada ad affitti, magari scriteriati, di sale dei musei per usi privati, oppure a eventi commerciali che metteranno in ombra i progetti seri? Dubbi forse al momento prematuri, ma a nostro avviso più che leciti. E dobbiamo poi tener conto del fatto che, paradossalmente, per molti dei nuovi direttori i compiti saranno molto più difficili in quanto dovranno occuparsi di più musei: per rimanere sull’esempio degli Uffizi, alla Galleria fiorentina sono stati accorpati molti dei musei che facevano parte dell’ormai ex Polo Museale Fiorentino, ovvero tutti quelli che fanno parte del complesso di Palazzo Pitti. Il che significa che il nuovo direttore avrà a che fare con un patrimonio immenso la cui direzione fino a oggi era affidata a più persone. Una sfida non da poco, che riguarderà anche altri musei, come quello del Bargello, accorpato a Cappelle Medicee, Orsanmichele, Palazzo Davanzati e Casa Martelli.
Quanto detto sopra pertiene esclusivamente alla sfera del bilancio dei musei, ma ci saranno problematiche di altra natura che i direttori si troveranno ad affrontare. A cominciare dai semplici disservizi che trovano anch’essi ragione nella penuria di fondi e che rischiano di ledere l’immagine del museo. Giusto un esempio: uno dei venti musei autonomi, il Museo Nazionale di Capodimonte, appena pochi giorni fa, ha dovuto chiudere gran parte delle sale a causa della rottura dell’impianto di condizionamento, e i disagi sono stati tali da spingere il personale a sconsigliare la visita a bambini piccoli e anziani. Problemi diffusi, che si registrano in diversi musei d’Italia: alla Galleria Borghese come agli stessi Uffizi passando per il Castello di Rivoli e per la Pinacoteca Nazionale di Ferrara che invece ha avuto il problema opposto, essendo rimasta settimane, quest’inverno, con l’impianto di riscaldamento guasto. E quando certi musei hanno a che fare con impianti obsoleti, la cui manutenzione spesso non è resa possibile dalla mancanza di risorse, viene automatico pensare che i ristoranti e le reti wi-fi potrebbero non esattamente costituire una necessità primaria.
Roma, Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini |
Oltre a vedersela con le manutenzioni, i nuovi direttori dovranno poi necessariamente scontrarsi con l’opprimente burocrazia che stroncherebbe anche l’ottimista meglio motivato e che, soprattutto in una fase di transizione come quella che il Ministero sta vivendo in questi mesi, rischia anche di creare situazioni paradossali: un po’ come è successo al neonato Museo Archeologico Nazionale di Altino, dove si è creato un bizzarro conflitto di competenze tra Soprintendenza e nuovo polo museale regionale. Difficile sarebbe fare un elenco di tutte le volte in cui le pastoie burocratiche hanno comportato contrasti e ritardi: basti pensare solo al caso dei Nuovi Uffizi, con i lavori ultimati sempre in pesante ritardo rispetto a quanto preventivato. Come se la caveranno, dunque, i nuovi direttori (vien soprattutto da pensare a quelli stranieri che non hanno mai avuto a che fare con l’apparato burocratico del nostro paese) con la selva di normative, regolamenti, leggi, decreti, pratiche, competenze cui gli istituti devono sottostare? La prima prova sarà sulle gare d’appalto per i servizi di manutenzione, per il servizio di biglietteria online nazionale e per i servizi aggiuntivi: tre scadenze con le quali i nuovi direttori si troveranno alle prese tra pochi mesi (la gara per i servizi di manutenzione scade a ottobre). E non sarà facile: a Firenze, per esempio, l’affidamento delle caffetterie degli Uffizi, come fa sapere Repubblica, “è in proroga da anni, dopo una serie infinita di gare e conseguenti ricorsi al Tar”.
Occorre poi considerare un ulteriore nodo molto importante, quello del personale: molti musei sono sotto organico e i direttori dovranno gestire in modo accorto ferie e turnazioni per evitare che parti dei loro musei siano costrette a chiudere a causa di carenza di personale, come spesso succede (all’inizio della nostra attività su Finestre sull’Arte avevamo documentato noi stessi il caso della Galleria Nazionale d’Arte Antica di Palazzo Barberini a Roma). Ma se i problemi si limitassero alla gestione di un personale fortemente sottodimensionato, ai nuovi direttori andrebbe anche troppo bene: spesso, infatti, i pagamenti dal Ministero giungono in ritardo, comportando conseguenti proteste, l’ultima delle quali appena un mese fa, ad opera dei lavoratori dei musei statali fiorentini. Immaginiamoci un entusiasta Eike Schmidt, il neodirettore degli Uffizi che snocciola i suoi progetti nelle prime interviste, a dover mediare con i sindacati per scongiurare la chiusura dei musei, anche perché, malgrado l’autonomia degli istituti, i lavoratori dipenderanno sempre dal Ministero.
C’è dunque da domandarsi se i nuovi direttori, al netto dell’ottimismo che trapela dalle loro dichiarazioni preliminari, siano preparati ad affrontare situazioni delicate come quelle sopra descritte. Per il bene dei musei che dirigeranno ci auguriamo, infatti, che non vengano mandati allo sbaraglio e che, prima della loro nomina, siano stati adeguatamente informati e preparati su ciò che si troveranno a dover fronteggiare. Nelle prossime settimane riusciremo dunque a capire se le figure scelte dal ministro saranno state quelle giuste. A proposito: sul suo blog, Tomaso Montanari ci fa sapere che, stando a quanto dichiaratogli dal capo ufficio stampa del MiBACT, Mattia Morandi, la prossima settimana il ministro Dario Franceschini “firmerà i decreti di nomina dei nuovi direttori” e in questi decreti “il nome del vincitore sarà seguito da quelli dei due sconfitti, e dalle motivazioni che giustificano questa discrezionalissima scelta”. Quello che tutti ci aspettavamo per avere una panoramica più completa sulle scelte del ministro: come Montanari fa notare, “si capirà, dunque, se sono fondate le voci che circolano da giorni: e cioè che in quasi tutte le terne ci fossero interni del Mibact giudicati del tutto idonei dalla commissione, e poi sistematicamente cassati dal ministro e dal direttore generale che al ministro risponde”.
L'autore di questo articolo: Federico Giannini
Nato a Massa nel 1986, si è laureato nel 2010 in Informatica Umanistica all’Università di Pisa. Nel 2009 ha iniziato a lavorare nel settore della comunicazione su web, con particolare riferimento alla comunicazione per i beni culturali. È giornalista iscritto all’Ordine dal 2017, specializzato in arte e storia dell’arte. Nel 2017 ha fondato con Ilaria Baratta la rivista Finestre sull’Arte, iscritta al registro della stampa del Tribunale di Massa dal giugno 2017. Dalla fondazione è direttore responsabile della rivista. Collabora e ha collaborato con diverse riviste, tra cui Art e Dossier e Left, e per la televisione è stato autore del documentario Le mani dell’arte (Rai 5) ed è stato tra i presentatori del programma Dorian – L’arte non invecchia (Rai 5). Ha esperienza come docente per la formazione professionale continua dell’Ordine e ha partecipato come relatore e moderatore su temi di arte e cultura a numerosi convegni (tra gli altri: Lu.Bec. Lucca Beni Culturali, Ro.Me Exhibition, Con-Vivere Festival, TTG Travel Experience).